Povera Argentina

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CLAUDIO MADRICARDO 18 Giugno 2024

Gli interventi shock di Javier Milei stanno già mettendo in ginocchio il gigante sudamericano, tutt’altro che mal messo prima del suo avvento, diversamente dalla narrazione del neo presidente in campagna elettorale.

Milei aveva vinto le elezioni presidenziali con la promessa di porre fine all’altissima inflazione dell’Argentina attraverso una trasformazione dello Stato basata sul libero mercato. Raddoppiata durante il suo primo mese di presidenza, recentemente l’inflazione ha registrato un rallentamento e in aprile è scesa all’8,8 per cento, per quanto i dati dell’Indec, l’istituto nazionale di statistica, pubblicati a maggio, parlano di una percentuale annua vicina al trecento per cento, la più alta a livello mondiale. 

Dal picco del 25,5 per cento di dicembre, il primo mese di mandato del governo di Javier Milei, a gennaio l’indice ufficiale era stato del 20,7 per cento; a febbraio del 13,2 per cento; a marzo dell’11 per cento. Finché aprile ha portato per la prima volta l’indice al di sotto delle due cifre. La tendenza al ribasso troverà il suo primo freno a giugno secondo le proiezioni dei consulenti economici della Banca Centrale. E se a maggio ha raggiunto il 4,2 per cento, in giugno dovrebbe essere tra il 5,5 e il 6 per cento, in gran parte a causa dell’impatto degli aumenti della luce e del gas.

Se il risultato è stato applaudito dal Fondo monetario internazionale, l’economia reale ne ha pesantemente risentito. L’organismo diretto da Kristalina Georgieva prevede per l’anno in corso una contrazione del PIL del 2,8 per cento, mentre nel primo quadrimestre di quest’anno il potere di acquisto dei lavoratori dipendenti è diminuito del trenta per cento, il tasso di povertà ha raggiunto il 55 per cento, la produzione industriale è crollata del 21,2 per cento, e il settore delle costruzioni, particolarmente colpito per il blocco dei lavori pubblici deciso dal governo, si è contratto del 42,2 per cento. 

Gli economisti neoliberisti ritengono l’Argentina uno degli esempi più importanti al mondo di come le politiche economiche progressiste possono portare al disastro. Pensano che, quando è stato governato dai conservatori alla fine del XIX e all’inizio del XX secolo, il Paese era tra le principali economie del mondo, prima che i governi di sinistra arrivassero al potere e gonfiassero la spesa pubblica con programmi di aiuti sociali insostenibili, il che ha generato il problema dell’inflazione cronica. Con la cura Milei, l’Argentina si è lasciata alle spalle dodici anni di deficit fiscale primario, registrando più entrate che spese nei suoi conti pubblici per la prima volta dal 2008. I dati ufficiali indicano che nel primo trimestre dell’anno, la spesa totale dell’amministrazione nazionale è scesa del 29,7 per cento rispetto all’anno precedente.

Nel suo discorso di investitura del 10 dicembre, Milei ha espresso la sua nostalgia per il passato, quando, a suo dire, era “il Paese più ricco del mondo”. Ed è riuscito a sedurre gli elettori con la promessa di porre fine alla lunga agonia economica prodotta dai governi peronisti, sparando ad alzo zero contro la sua causa originaria: “l’aberrazione chiamata giustizia sociale”.    

Nonostante tutto, l’Argentina non è l’assoluto disastro economico che Milei vuol farci credere che sia, dal momento che ha una base industriale diversificata ed è uno dei principali esportatori agricoli. Possiede il secondo più alto indice di sviluppo umano in America Latina – al primo posto c’è il Cile – ed è la sua terza economia dopo il Brasile e il Messico. Ha una popolazione con un alto livello di studi e una classe media malconcia, ma che sa ancora come lottare per i suoi diritti.  

Il presidente argentino incolpa i governi progressisti di Cristina Fernández de Kirchner e del suo successore Alberto Fernández dei numerosi mali del Paese, e ha quindi iniziato a smantellare i programmi di aiuti sociali e a cessare gli investimenti dello Stato nell’istruzione e nella salute. Il 29 dicembre ha promulgato un Decreto di necessità e urgenza con il quale si auto concedeva il potere di introdurre una serie di cambiamenti per tagliare la spesa senza l’approvazione del Congresso. Ma il Decreto, mutilato dai tribunali sulla parte che riguardava le riforme delle normative sul lavoro e la liberalizzazione dei prezzi dell’assicurazione sanitaria privata, è stato bocciato dal Senato lo scorso marzo. Anche se rimane in vigore finché la Camera non sarà chiamata a esprimersi.

Una uguale sorte negativa ha avuto la cosiddetta “legge omnibus” orientata al libero mercato, la pietra angolare del suo piano economico che gli avrebbe permesso di privatizzare le imprese statali e di deregolamentare ampi settori dell’economia, comprese alcune protezioni ambientali e il mercato del lavoro.  Il governo si è visto obbligato a ritirarla, e ha inviato al legislativo una Ley Bases che ha ridotto il numero delle aziende che vuole privatizzare. Al momento della sua presentazione alla Camera, il nuovo disegno di legge è passato da 664 articoli a una versione di 279, con il che il governo si aspettava l’appoggio di una parte dell’opposizione che aveva rifiutato di approvarlo il 6 febbraio. Milei chiede ancora le attribuzioni legislative di emergenza in materia amministrativa ed economica che i deputati si sono rifiutati di concedergli a febbraio, ma ora le chiede per un solo anno – invece dei due prorogabili per altri due del testo originale – e con l’impegno di informare il Congresso ogni mese dei “risultati ottenuti”. 

Sospesa dalla magistratura quando faceva parte del DNU 70/2023, il partito di governo ha deciso di includere la riforma del lavoro nella nuova versione della legge. Il capitolo, ridotto per ottenere i voti per l’approvazione, include l’eliminazione delle multe per il lavoro non registrato, la possibilità di sostituire le indennità con un fondo di cessazione del lavoro e l’estensione del periodo di prova a sei mesi, estendibile fino a un anno per le aziende con meno di cinque lavoratori.

Il punto più controverso della riforma, tuttavia, è la creazione di una nuova categoria di lavoratore “indipendente” che può, a sua volta, subappaltare fino ad altri cinque lavoratori indipendenti con i quali non avrà alcun tipo di legame di dipendenza. Questa categoria funziona come una sorta di ombrello legale per l’enorme quantità di posti di lavoro non registrati in cui i lavoratori non hanno alcun tipo di diritto del lavoro: né ferie né gratifica natalizia né congedi, tanto per intenderci.

Javier Milei con Giorgia Meloni

L’approvazione da parte della camera con 142 voti a favore, 106 contrari e cinque astensioni lo scorso 30 aprile è stata una boccata di aria fresca per il governo dopo il fallimento del progetto originale lo scorso febbraio. La Libertad Avanza, il partito di Milei, ha appena 42 deputati, e ha ottenuto la sua approvazione grazie al sostegno di maggioranza del PRO, l’Unione Civica Radicale (UCR), Hacemos Coalición Federal, Innovación Federal e il Movimiento Popular Neuquino (MPN).  Il governo ha anche ottenuto che i capitoli che generavano più polemiche – facoltà delegate, privatizzazioni, riforma dello Stato, riforma del lavoro e Regime di Incentivo ai Grandi Investimenti (RIGI) – fossero approvati con voto particolare. Al Senato, Unión por la Patria, il principale partito di opposizione del governo, ha 33 senatori su 72. La Libertad Avanza ne ha appena 7.

Nelle intenzioni del governo il dibattito al Senato avrebbe dovuto portare all’approvazione definitiva della legge prima del 25 maggio, il giorno in cui avrebbe dovuto essere sottoscritto a Córdoba il “Patto di Maggio”, il “nuovo contratto sociale” con governatori, ex presidenti e leader dei principali partiti politici che Milei aveva pomposamente annunciato il 1° marzo all’apertura delle sessioni ordinarie del Congresso. Ma non se ne è fatto nulla. I critici della legge sostengono che il progetto favorisce gli imprenditori e danneggia il popolo, mentre Milei è accusato di “vendere la patria”. Chi si oppone alla legge voluta da Milei punta il dito, in particolare, contro la delega dei poteri all’esecutivo, contro la riforma del lavoro, la privatizzazione delle imprese statali e l’istituzione di un regime speciale di investimenti, il cui fine è deregolare l’economia e diminuire l’intervento statale. Ai molti critici sembra inutile avere buoni indicatori macroeconomici se aumentano la disoccupazione, la povertà e la disuguaglianza. Juan Grabois, leader sociale molto vicino a Papa Bergoglio ed ex pre-candidato alla presidenza per l’Unione per la Patria, ha definito il martedì 30 aprile alla Camera dei deputati come una “giornata infame nella storia argentina”. Secondo Grabois, con quell’approvazione

le multinazionali hanno vinto, l’industria nazionale ha perso; le élite privilegiate hanno vinto, le maggioranze popolari hanno perso; hanno vinto i riciclatori di droga, hanno perso i contribuenti. Lo ha scritto il cerchio rosso, lo ha firmato il suo governo libertino e lo ha votato la tanto citata casta.

Quando Milei è entrato in carica come presidente dell’Argentina, a dicembre, lo Stato aveva alle sue dipendenze 341.477 persone. Due mesi dopo, il governo aveva già eliminato novemila posti di lavoro, e qualche settimana fa ha ordinato altri quindicimila licenziamenti. Nuove cessazioni del personale sono in arrivo, ma non si sa quanti o chi saranno. In questo clima di incertezza vivono circa cinquantamila lavoratori: sono quelli che non hanno un posto fisso, ma contratti temporanei. L’Argentina è nel mezzo di una crisi economica e di un crollo del consumo dove la maggior parte delle aziende non assume, ma riduce il personale. 

L’insieme dei salari è aumentato, nominalmente, del 180,99 per cento tra gennaio 2023 e gennaio 2024. Nello stesso periodo l’inflazione è stata del 254,2 per cento. Nel bimestre che comprende dicembre 2023 e gennaio 2024, i salari totali sull’insieme dei lavoratori sono aumentati del 26,8 per cento, contro un’inflazione bimestrale del 51,33 per cento. Da quando Javier Milei è arrivato al governo, il settore più danneggiato sembra comunque essere quello dei lavoratori formali del settore pubblico. Se guardiamo all’ultimo anno, da marzo a marzo, i salari del settore pubblico e privato hanno segnato un aumento medio del 200,8 per cento secondo l’Indec, mentre l’inflazione del periodo è stata del 287,9 per cento. Quanto all’eccedenza fiscale, essa si basa su ciò che lo Stato ha smesso di pagare. L’Ufficio del bilancio del Congresso (OPC) ha reso noto che l’aggiornamento di fronte all’inflazione ha comportato una diminuzione reale del 31,4 per cento per le pensioni. L’investimento in opere pubbliche è crollato dell’83,3 per cento per cento su base annua e le spese nei programmi sociali sono diminuite tra il 45 per cento e l’81 per cento, secondo i casi.

Va da sé che in questo contesto, la recessione si è espansa e il consumo è crollato. Lungi dall’iniziare la tanto menzionata ripresa a V di cui Milei si dice certo, il calo dell’attività economica sembra aumentare ogni giorno di più. Recentemente, alcuni rapporti, sia ufficiali che privati, confermano uno scenario critico in alcuni casi paragonabile all’epoca della pandemia. Il 5 giugno, l’Indec ha pubblicato l’indice di produzione industriale manifatturiera dove è stato evidenziato un forte calo anno su anno del 16,6 per cento in aprile. La cosa più preoccupante è che le sedici attività economiche principali hanno avuto risultati negativi e alcune hanno subito perdite superiori al trenta per centi nel quarto mese dell’anno. Allo stesso modo, tutti i settori hanno chiuso il primo trimestre con un bilancio negativo. L’attività di costruzione è scesa del 37,2 per cento nell’aprile di quest’anno rispetto allo stesso mese del 2023. Le vendite di tutti i materiali sono diminuite, la quantità di manodopera assunta si è contratta e l’area autorizzata per i nuovi permessi di costruzione si è ridotta. In sintesi, tutti i dati sono stati negativi. In questo caso bisogna tenere presente che, oltre alla crisi economica che colpisce tutte le attività, il settore delle costruzioni sta subendo un inevitabile calo a causa della decisione del governo di eliminare il finanziamento dei lavori pubblici con l’obiettivo di tagliare le spese per dare priorità all’equilibrio fiscale. Secondo la Camera argentina delle costruzioni, ci sono circa quattromila progetti di lavori pubblici bloccati e centomila posti di lavoro sono già stati persi dall’assunzione dell’amministrazione di Javier Milei. È tutta l’economia che sta cadendo a pezzi. 

L’ultimo stimatore mensile dell’attività economica (EMAE) pubblicato dall’Indec, ha rivelato che nel primo trimestre dell’anno l’economia si è contratta del 5,3 per cento. Per trovare un risultato positivo bisogna andare allo scorso ottobre, quando l’EMAE ha mostrato una variazione dell’uno per cento. L’indice di produzione industriale manifatturiera di aprile ha registrato un calo del 16,6 per cento rispetto allo stesso mese del 2023, mentre il cumulativo del 2024 presenta una diminuzione del 15,4 per cento.

Sono state registrate diminuzioni in “Alimenti e bevande”, 9 per cento; “Macchine e attrezzature”, 29 per cento; “Prodotti minerali non metallici”, 35,2 per cento; “Industrie metalliche di base”, 19,3 per cento; “Sostanze e prodotti chimici”, 10,2 per cento e “Mobili e materassi, e altre industrie manifatturiere”, 35 per cento. Sono crollate anche le voci di “Altre attrezzature, apparecchi e strumenti”, 35,5%; “Legno, carta, editing e stampa”, 13,7 per cento; “Prodotti in gomma e plastica”, 22,9 per cento; “Prodotti in metallo”, 18,9 per cento; “Indumenti, pelle e calzature”, 15,4 per cento; “Veicoli automobilistici, carrozzerie, rimorchi e ricambi auto”, 13,6 per cento; “Prodotti tessili”, 26,2 per cento; “Prodotti del tabacco”, 26,0 per cento; “Raffinazione del petrolio, coke e carburante nucleare”, 3,3 per cento; e “Altre attrezzature di trasporto”, 4,7 per cento. L’Indec ha condiviso nel rapporto un’analisi di ciò che è successo specificamente nell’industria alimentare, che è la più alta incidenza sull’attività industriale totale. Secondo lo studio, il principale calo all’interno di questo settore è stato nella produzione di bevande gassate, acqua, soda, birre, succhi di diluizione, sidri e liquori, che hanno mostrato un calo congiunto su base annua del 27,0%. Nella misurazione anno su anno, sei settori di attività che compongono l’EMAE hanno registrato aumenti, tra cui l’agricoltura, l’allevamento, la caccia e la silvicoltura (+14,1 per cento) e lo sfruttamento di miniere (+5,9 per cento). Le altre attività che sono migliorate sono state “servizi sociali e sanitari” (+1 per cento), “insegnamento” (+0,9 per cento) e “amministrazione pubblica e difesa”.

Il calo del consumo è stato esplicitato nelle vendite nei supermercati: l’Indec ha dettagliato, per l’arco gennaio-marzo, un calo dell’11,5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2023. L’impatto ha raggiunto anche l’occupazione. Gli indicatori del Ministero del Lavoro indicano che ci sono quattro mesi consecutivi di calo, con una perdita dell’1,4 per cento a marzo. Anche nei dati associati al consumo si vede chiaramente l’effetto della recessione. Lo scorso marzo, le vendite dei supermercati hanno subito un calo del 9,3 per cento su base annua, mentre i centri di acquisto hanno registrato un calo dell’11,3 per cento. E dopo molti anni in cui si è registrata la tendenza inversa, nei primi quattro mesi del 2024 gli argentini hanno venduto più dollari di quelli che hanno comprato nel mercato ufficiale dei cambi. 

Vista la situazione, si sta facendo strada tra gli osservatori l’opinione che, se pur una correzione dei prezzi relativi era da farsi, ciò sia stato fatto in maniera brutale da parte di Milei. Il risultato è l’insostenibilità di una situazione che vede coesistere i vecchi stipendi con i prezzi nuovi, con il risultato che la recessione si è aggravata. A tal punto che qualcuno pensa che possa arrivare al sei per cento, diventando la sesta recessione più profonda della storia contemporanea dell’Argentina.

Il presidente argentino in campagna elettorale permanente.

Dato il malessere sociale generato dagli aumenti record del settore e dopo aver dato il via libera all’aumento dei prezzi, il Ministero dell’Economia è stato costretto a intervenire e fissare come e quanto dovrebbero aumentare le tariffe sanitarie private. È stato così che il settore per sei mesi non sarà libero ma tornerà al prezzo di dicembre e, da lì, saranno applicati aumenti in base all’inflazione mensile. Questo si tradurrebbe, attraverso l’intervento dello Stato – quindi in contraddizione con la filosofia di Milei – in un aumento del trenta per cento inferiore a quello generato dai prezzi liberi. In poche parole, poiché il mercato della medicina prepagata non è stato moderato o in competizione per i prezzi al ribasso, ma ha fatto il contrario, il presidente ha deciso di regolare di nuovo il settore per evitare una mancanza di controllo dei prezzi.

Milei ha dovuto affrontare le manifestazioni nelle strade, uno sciopero generale della CGT a gennaio, e un altro di 24 ore dello stesso sindacato il 9 maggio. Si è imbattuto in un muro al Congresso ed ha affrontato un braccio di ferro con i governatori delle province per i tagli dei trasferimenti dei fondi. Perfino il Fondo Monetario Internazionale ha chiesto mesi fa che il peso dell’aggiustamento che il governo argentino sta portando avanti “non ricada in modo sproporzionato sulle famiglie povere e lavoratrici”, che “il valore reale delle pensioni” sia preservato e che ulteriori aiuti siano destinati ai settori più vulnerabili. Inoltre, agli inizi di giugno e a pochi giorni da quando si è saputo che il numero di poveri in Argentina è aumentato di dieci punti e che il 55 per cento della popolazione si trova in questa situazione, la portavoce del FMI, Julie Kozack, ha ribadito il sostegno al piano di aggiustamento del governo, ma ha insistito sulla necessità di attuare più misure economiche per proteggere “i più vulnerabili”. Kozack ha definito “delicata” la situazione che vive il Paese, ed ha ricordato la “necessità di migliorare la qualità del consolidamento fiscale” e di “ampliare il sostegno politico” per attuare le riforme macroeconomiche. Tuttavia, e nonostante le lodi, il FMI ha escluso di dar corso ad un esborso extra di quindicimila milioni di dollari che Javier Milei chiedeva per rafforzare le riserve della Banca centrale.

Dopo averlo attaccato durante la campagna elettorale definendolo “imbecille”, “gesuita che promuove il comunismo”, “rappresentante del Male”, Milei lo scorso febbraio ha fatto visita a Papa Francesco in Vaticano. La sorprendente cordialità dell’incontro tra i due aveva consentito alla macchina della comunicazione di Milei di far circolare la notizia che Francesco appoggiava la politica economica dell’anarco liberista. In tal modo, il giornale argentino online “Infobae” aveva scritto che il sommo pontefice era “soddisfatto del programma economico”, facendo seguito a un dialogo di Milei con il giornalista Román Lejtman, che lo aveva accompagnato durante il tour in Israele e a Roma.  La cosa ha contrariato il Papa, e la smentita è giunta attraverso un sacerdote suo amico, Juan Carlos Molina. “Questo non è vero, ve lo assicuro”, ha dichiarato Molina rispetto al presunto gradimento di Bergoglio nei confronti delle scelte economiche di Milei.

Mentre, solo una settimana dopo che il presidente argentino aveva ricevuto alla Casa Rosada i vertici della chiesa cattolica, la Conferenza episcopale argentina (Cea) ha pubblicato un durissimo giudizio sui primi cento giorni di Milei in cui accusa il governo di aver attuato un aggiustamento fiscale che ricade sulle spalle dei più vulnerabili e di essere insensibile alle sue conseguenze.

Siamo preoccupati che lo shock dell’aggiustamento sia caduto sul conto delle pensioni – a valori reali: -38,1 per cento su base annua – che, per la sua grandezza, corrisponde a un terzo del taglio, provocando una gravissima diminuzione del reddito delle pensioni e delle prestazioni sanitarie e di disabilità. Mentre i benefici fiscali a favore delle grandi imprese continuano a non essere toccati, la diminuzione del deficit è stata ottenuta a spese dei lavoratori e dei pensionati.

I vescovi avvertivano che la contrazione dell’attività economica e, soprattutto, la paralisi dei lavori pubblici decretata da Milei, aveva già causato la distruzione di sessantamila posti di lavoro, e che il freno a questo settore mette a rischio “l’immediato futuro di 1.400 aziende e duecentomila posti di lavoro”. Nel loro comunicato, i vescovi argentini denunciavano anche come l’industria automobilistica fosse tra le più colpite dal crollo diffuso del consumo, dato che circa ventimila licenziamenti erano stati registrati fino ad allora. La CEA sottolineava, inoltre, che i tagli violano i diritti elementari come l’accesso all’istruzione, alla salute e persino al cibo. “La situazione nelle mense popolari è pressante a causa dell’aumento del numero di persone che partecipano e della mancanza di fornitura di cibo”, denunciava il testo. Circa cinque milioni di persone dipendono da queste mense per non morire di fame, ma il governo di Milei ha rallentato la consegna del cibo fino a controllare i conti delle organizzazioni che li gestiscono. Il vertice della chiesa cattolica argentina accusava il governo di una “enorme insensibilità sociale” nelle misure di aggiustamento e mostrava una grande preoccupazione per l’avanzata della “cultura dell’odio e dell’individualismo estremo”. Inoltre, chiedeva a Milei di evitare di governare per decreto e di farlo attraverso leggi discusse dal Congresso. Recentemente è scoppiata una polemica per la mancata consegna di cinquemila tonnellate di cibo che ha coinvolto il Ministero del capitale umano e la sua ministra Sandra Pettovello.  Alla quale la giustizia ha ordinato di distribuire urgentemente migliaia di chili di latte in polvere che stavano per scadere. Dal canto loro, i responsabili di La Libertad Avanza hanno fatto propria la linea del presidente, che ha affermato che Pettovello è criticata da un settore dell’opposizione perché è venuta a “porre fine alla corruzione e quindi l’aiuto arriva senza intermediari”. Mentre le accuse contro di lei sono la conseguenza delle sue denunce contro importanti leader sociali e politici, come il leader del Polo Obrero, Eduardo Belliboni, l’ex segretario dell’Economia sociale, Emilio Pérsico, l’ex ministro dello Sviluppo Sociale, Victoria Tolosa Paz, Juan Grabois e persino l’ex presidente Alberto Fernández.

Intanto, gli ambienti economici internazionali attendono di sapere se e a che prezzo potranno accaparrarsi le imprese statali di cui Milei intende disfarsi. Se il nuovo presidente sarà in grado di dar seguito all’affermazione fatta il primo marzo nel suo discorso al parlamento quando ha dichiarato che “lo Stato è una organizzazione criminale”, al cui posto far nascere un sistema economico con poche normative e molta più libertà di mercato. In un Paese come l’Argentina, dove lo Stato è uno dei grandi datori di lavoro, non è impresa da poco. Per non farsi smentire, Milei ha fatto intanto chiudere Télam, la più grande agenzia di stampa dell’America Latina e la seconda più importante in lingua spagnola, mentre l’Universidad de Buenos Aires, che garantisce la gratuità dei corsi di laurea e l’eccellenza accademica, al 67simo posto nella graduatoria delle migliori università del mondo, si è dichiarata in emergenza per mancanza di fondi a causa del mancato adeguamento del contributo statale all’inflazione. Il sistema argentino di scienza e tecnologia sta affrontando il peggior aggiustamento della sua storia, tra licenziamenti arbitrari, tagli di borse di studio e fondi per finanziare progetti, e mancanza di risorse per sostenere gli istituti. 

Nella nuova Argentina guidata dall’estrema destra di Javier Milei, i ricercatori sono descritti come “parassiti”. E anche se le autorità assicurano che si sta realizzando una ristrutturazione, non forniscono linee guida agli organismi scientifici, mentre si moltiplica la paura di una nuova “fuga di cervelli” come è già successo in passato con l’espulsione di migliaia di scienziati all’estero. Centinaia di migliaia di argentini sono scesi in piazza a fine aprile nelle principali città del Paese a difesa delle università pubbliche colpite duramente dalla motosega del presidente. È stata la maggiore protesta a cui si è assistito dall’insediamento del governo, il 10 dicembre, con un’adesione trasversale di tutti i partiti dell’opposizione e dei sindacati. 

Secondo gli organizzatori, solo nella capitale Buenos Aires, al corteo confluito nella storica Plaza de Mayo, hanno partecipato ottocentomila persone. Un’adesione maggiore anche a quella registrata nella manifestazione in occasione dello sciopero generale del 24 gennaio e nella manifestazione dell’8 marzo a difesa della legge sull’aborto. La sua intenzione di smettere di finanziare le università pubbliche e di promuovere l’educazione privata con sussidi alle famiglie che la scelgono è stata stoppata dalla manifestazione di massa. Il presidente ha fatto marcia indietro, non prima di accusare i suoi oppositori di “prendere una causa nobile”, come la difesa dell’educazione gratuita, per “prostituirla”. Mentre il deputato libertario Bertie Benegas Lynch ha avuto modo di far sapere cosa pensa riguardo l’educazione, avendo affermato che “la libertà è che se non vuoi mandare tuo figlio a scuola perché ne hai bisogno in officina, puoi farlo.” Milei non tollera il dissenso, ed ha annunciato di voler introdurre una legge per punire qualsiasi forma di “indottrinamento” nelle scuole, puntando il dito contro gli insegnanti che “manifestano una chiara appartenenza ideologica”. Lo ha annunciato il portavoce del governo argentino Manuel Adorni: “Il governo creerà un canale in modo che genitori e studenti possano denunciare attività politiche nelle scuole che non rispettano la libertà di espressione, o quando non sentono che il loro diritto all’istruzione viene rispettato.”

“Ministero delle donne, del genere e della diversità, fuori!”, aveva promesso Javier Milei in campagna elettorale. Sei mesi dopo, il governo ha annunciato la sua chiusura. Le migliaia di vittime della violenza maschile in Argentina saranno ancora meno protette in un Paese dove l’anno scorso, secondo i dati della Corte Suprema, sono stati registrati 250 femminicidi, mentre nel passato decennio la cifra ammonta a 2.500 donne ammazzate. La chiusura del Ministero delle Donne, che già era stato declassato da Milei a Sottosegretariato per la protezione contro la violenza di genere, fa temere che la cifra aumenterà ancora di più.

Il governo di Javier Milei ha scelto il 24 marzo, giorno in cui l’Argentina commemora le vittime del golpe del 1976, per diffondere dalla Casa Rosada un video che relativizza il terrorismo di Stato e nega che ci siano stati trentamila persone scomparse. Il video diffuso dal governo di Milei mentre decine di migliaia di persone scendevano in piazza in tutto il Paese nella Giornata della Memoria per la Verità e la Giustizia è stata l’ultima delle provocazioni dell’esecutivo. 

Come un fiume in piena, Milei si scaglia contro tutti coloro che in qualche misura ostacolano la sua corsa, accusandoli di essere parte della casta per distruggere la quale è stato votato dalla maggioranza degli argentini. Dimenticando che pure i deputati dell’opposizione, dei quali i peronisti rappresentano la formazione parlamentare più consistente, sono stati eletti da una parte consistente del popolo con il mandato di rappresentarlo. Ciò dovrebbe spingerlo a cercare una strada differente e a privilegiare un approccio più pragmatico, anche per assicurarsi l’appoggio delle formazioni politiche a lui più vicine, come Juntos por el Cambio e come i radicali. Ma Milei, prigioniero del mito che lui stesso ha creato sul suo personaggio, insiste a voler interpretare l’uomo della motosega, come fosse ancora l’ospite delle trasmissioni televisive che hanno fatto la sua fortuna, o ancora in campagna elettorale. E anziché mediare, anziché cercare il compromesso, vuole che siano gli altri a farsi da parte e a sgombrargli la strada. 

Nel frattempo, il malcontento si fa sentire nelle piazze. E se Milei invoca ancora la pazienza della gente, con la promessa che verrà il momento che gli effetti benefici della sua politica si faranno sentire, c’è anche chi questa pazienza l’ha esaurita, dal momento che nelle ultime settimane hanno scioperato gli insegnanti, i medici, i lavoratori della ferrovia, e perfino della polizia della provincia di Misiones. Ma se il piano di Milei è riuscito a incidere sull’inflazione e il deficit, ciò è avvenuto grazie a una vasta recessione, al declino dell’occupazione e a un forte calo del reddito. Il presidente pensa che l’inflazione è destinata a scendere mentre la paralisi dell’attività economica toccherà il suo apice a metà anno per poi riprendere a crescere. Ma c’è chi è pronto a scommettere in una nuova forte svalutazione che segnerebbe il ritorno dell’inflazione destinata a mettere fine bruscamente alla sua marcia trionfale. Negli ultimi giorni si è aggiunto il risveglio del dollaro. Mentre il governo punta a mantenere il tasso di cambio ufficiale regolato – oggi circa novecento pesos per ogni dollaro – nel mercato informale la valuta è aumentata di circa il 36 per cento negli ultimi giorni ed ha chiuso a 1250 pesos. Il rischio è che si passi dalla iper-inflazione alla iper-recessione. 

A dirlo non sono solo i critici di Milei, ma l’ex ministro delle finanze di Mauricio Macri, Alfonso Prat-Gay, uno dei sostenitori dell’attuale governo. Mentre l’economista Carlos Rodríguez, consigliere di Milei fino all’anno scorso, ha avvertito che “quello che stanno facendo non funziona”. Mentre per Diego Giacomini, ex socio del presidente: “Questi mesi sono la cosa migliore che il programma economico possa dare”. Dagli avversari è giunta l’osservazione del presidente colombiano Gustavo Petro secondo il quale “la promessa di Milei di riprodurre il sistema neoliberista di trenta anni fa potrebbe essere un fallimento annunciato.” Il presidente argentino ha insultato Gustavo Petro, che ha chiamato “assassino e terrorista”. Ne ha avuto anche per il messicano Andrés Manuel López Obrador che ha chiamato “ignorante”. In un primo momento ha anche minacciato di non commerciare con “comunisti” come la Cina, partner commerciale chiave dell’Argentina. E con lo stesso Brasile governato dal comunista Lula da Silva. Intanto, tra gli analisti si sta facendo strada l’idea che la pressione del cambio unito all’aumento recente del rischio paese potrebbe far sì che giugno possa registrare un possibile freno o addirittura un’inversione del processo di marcata diminuzione dell’inflazione degli ultimi mesi, che probabilmente rappresenta il più grande risultato ottenuto fino a qui dalla gestione di Javier Milei. 

A Milei non importa la politica estera, e nei numerosi viaggi all’estero che ha fatto da quando sta alla Casa Rosada, non si registrano molti incontri ufficiali con autorità governative almeno fino al G7 di Borgo Egnazia. Avendo in massimo disprezzo lo Stato, Milei è un libertario prima di un presidente. Anche il suo sostegno a Israele si basa su questioni molto lontane dalla geopolitica concreta, e va ricercato oltre al suo avvicinamento a gruppi chassidici come Jabad-Lubavitch, nel fatto che “il massimo eroe della libertà di tutti i tempi è Mosè”. Quanto agli Stati Uniti, non si avverte un chiaro sostegno del governo al programma economico argentino, anche se la situazione potrebbe cambiare nel caso in cui Donald Trump occupi di nuovo la Sala Ovale nel 2025. Ciò rivela un’altra particolarità della politica internazionale del governo argentino: nonostante Milei sostenga che il nucleo centrale della sua politica estera sia il rapporto con Washington – indipendentemente da quale partito occupa la Casa Bianca – in pratica il presidente argentino esercita una sorta di diplomazia in cui si dà priorità ai legami politici con partiti, leader e attori economici che non governano, da figure dell’estrema destra agli uomini d’affari come Elon Musk e Mark Zuckerberg. In larga misura, il posizionamento di Milei nell’arena internazionale è estremamente ideologico e superficiale. 

Le relazioni diplomatiche tra l’Argentina e la Spagna hanno vissuto un momento delicato quando Milei ha definito “corrotta” la moglie di Pedro Sánchez, Begoña Gómez, nel corso dell’evento organizzato dal partito di estrema destra Vox a Madrid. Il governo spagnolo ha deciso di ritirare la sua ambasciatrice a Buenos Aires, María Jesús Alonso, un fatto che comunque non implica la rottura delle relazioni diplomatiche tra Spagna e Argentina. Del resto, fintanto che la contesa rimane circoscritta alle schermaglie diplomatiche, non ci sarà danno economico per nessuna delle due. A Milei fa gioco accreditarsi come la punta di diamante di una nuova estrema destra a livello globale. La rabbia e l’odio che gli hanno procurato la vittoria elettorale alle presidenziali sono gli ingredienti con cui ricerca e consolida anche ora il suo appoggio popolare. 

“La rinascita della libertà in Argentina e oltre“. La conferenza del beniamino del Cato Institute, il think tank iperconservatore di Washington [nell’immagine di copertina]

Contrariamente ai sovranisti di ogni risma e contrada, anziché mettere al di sopra di tutto il suo Paese, Milei punta ad accreditarsi come il paladino mondiale dell’anarcoliberismo e delle dottrine di cui è portatore.  La copertina che la rivista Time gli ha recentemente dedicato è il riconoscimento della novità da lui rappresentata nel panorama della destra, in buona parte ancora legata ad uno Stato che Milei vuol distruggere, e venata da nazionalismi che, messi al confronto con le sue teorie dinamitarde, rischiano di apparire anacronistici. Così operando, Milei si propone come leader della destra globale, nel mentre galvanizza i suoi distraendoli dalla situazione in cui versa l’Argentina.  Con ciò facendo guadagna tempo, sperando di vincere la scommessa economica in cui ha impegnato il Paese. Consapevole che la prossima tornata elettorale nel 2025 eleggerà 24 senatori e 127 deputati nazionali preziosi per le sue scelte di governo, ritiene che il molto rumore in politica estera riesca a colmare il magro bilancio dei risultati economici e a nascondere le palesi contraddizioni in cui è incappato in sei mesi da presidente. 

Tuttavia, pur ritagliando per sé un ruolo dottrinario ed ideologico, di fronte alla necessità di portare a casa risultati che soli possono venire dalla mediazione parlamentare, a fasi alterne sembra consentire al suo governo di ispirarsi ad un necessario pragmatismo dato che da quando è presidente non è riuscito a far approvare in modo definitivo nessuna legge. Così vanno lette, infatti, le dimissioni di Nicolás Posse da capo di gabinetto dell’esecutivo e la sua sostituzione con il ministro degli Interni, Guillermo Francos. L’obiettivo ufficiale è quello di “dare maggior volume politico” all’incarico che funge da coordinatore del consiglio dei ministri. Ma è evidente che a Francos, la personalità più politica della squadra di governo, è stato affidato il compito di costruire maggioranze capaci di farlo uscire da una impasse legislativa che ormai dura da troppo tempo e che a lungo andare rischia di azzopparne l’azione. 

Esiste nel parlamento argentino un insieme di deputati e senatori che non rientrano nella dialettica kirchnerismo-antikirchnerismo, qualcosa di simile al Centrão brasiliano, una palude con la quale il nuovo capo di gabinetto Francos ha trattato dal suo ufficio alla Casa Rosada facendo concessioni in vista del voto al Senato sulla Ley Bases e il pacchetto fiscale. Sono politici che rispondono a governatori o a leader senza un riferimento ideologico, e ne fanno parte i partiti provinciali, il peronismo non ultrakirchnerista e il PRO non ultramacrista e, soprattutto, il radicalismo. Per Milei, averli a favore o contro significa la vittoria o la sconfitta.

Il 5 giugno alla Camera dei Deputati i radicali, il kirchnerismo e altre formazioni non allineate col governo hanno approvato con 162 voti a favore, 72 contrari e otto astensioni un disegno di legge che sostituisce la formula di aggiornamento delle pensioni decretata da Milei. Se sarà approvato anche dal Senato, come molti ritengono probabile, ci sarà un aumento delle pensioni dell’8% contro il quale il governo si oppone per non non dover dire addio all’equilibrio fiscale. La sconfitta è schiacciante perché a favore del piccolo aumento ha votato i due terzi dei presenti, e perché è raro che il parlamento imponga una legge a un presidente. Non appena il risultato del voto è stato conosciuto, Milei ha espresso la sua opposizione attraverso i social media: “Difenderò la cassa a puro veto se necessario. A puro deficit hanno impoverito il Paese, quindi non permetterò in nessun modo che questo si ripeta.” In caso di veto presidenziale, la Costituzione argentina prevede che il ramo legislativo possa ripetere il voto. Se due terzi di ciascuna delle Camere votano la legge, questa è approvata. Si prevede, pertanto, un altro scontro tra il legislativo e l’esecutivo, dato che Milei ha chiamato chi l’ha votata “degenerati fiscali”. Secondo l’Ufficio di bilancio del Congresso, la formula di aggiornamento delle pensioni ha un costo fiscale dello 0,43% del PIL argentino. Una volta approvata, manderebbe a farsi benedire il surplus dei conti pubblici raggiunto da Milei grazie al taglio delle pensioni, degli stipendi e dei lavori pubblici, ma sarebbe un certo sollievo per le tasche degli anziani.

Sta di fatto che preoccupa il fenomeno dell’abbandono di importanti funzionari del governo – di maggior peso quello del capo di gabinetto Nicolás Posse – appena dopo sei mesi dal suo insediamento, che nel ministero del Capitale Umano, sotto accusa per l’inspiegabile mancata distribuzione di cibo alle mense popolari, ha visto la fuga di una ventina di addetti. Un’emorragia che mette in luce un pericoloso sfaldamento dell’esecutivo in un orizzonte politico che lascia intravedere per i prossimi mesi un panorama incerto, per la maggiore difficoltà di abbassare l’inflazione e, ancor più, per una rapida ripresa economica che sembra non venire. Per intanto Milei gode ancora di un sostegno sociale che per alcuni analisti si sta erodendo, ma che sembra rimanere solido, dato che molti di coloro che l’hanno votato è disposto a concedergli tempo. Juan Mayol, consulente politico e direttore di Opinaia, conferma che la società argentina è molto polarizzata tra il sostegno e il rifiuto e che l’approvazione di Milei rimane a livelli simili a quelli del ballottaggio del 2023: il 52% lo approva.

Il presidente galvanizza ancora con successo i suoi dicendo ‘sono Terminator’, ‘vengo da un futuro apocalittico’, ‘mi sento obbligato ad avvertire il pianeta…’, ‘amo essere la talpa dello Stato’. Gli attacchi contro la “casta politica” e le denunce di corruzione contro i deputati che gli hanno voltato le spalle, accusati di essere ratti, idioti, golpisti, lillipuziani, disabili mentali, lo aiutano ad assicurarsi il sostegno. Mentre, per gli equilibri parlamentari esistenti, il governo cerca di gettare ponti alla mediazione, l’unica via che può portare alla approvazione delle leggi di riforma non approvate in cui l’esecutivo da tempo è impantanato. 

In virtù di questa opera di mediazione, finalmente il 12 giugno il Senato ha approvato una versione ampiamente modificata della Ley Bases grazie a 36 voti a favore e 36 voti contrari, a cui si è aggiunto quello decisivo della presidente dell’assemblea Victoria Villarruel. Ciò è accaduto mentre in strada, nei pressi dell’edificio che ospita il Senato, manifestanti che gridavano “La patria no se vende, se defiende” e la polizia hanno dato vita a scontri con bottiglie molotov, auto incendiate, gas lacrimogeni e uso di proiettili di gomma che hanno causato decine di feriti e una trentina di arresti. Alcuni osservatori, tra cui qualche deputato dell’opposizione, hanno denunciato la presenza di agenti provocatori ai quali pare si debbano gli atti di vandalismo. Mentre “cacerolazos” di protesta sono stati organizzati in molte città. Uno dei punti più importanti del testo è quello che concede al presidente poteri straordinari per un anno, dichiarando “l’emergenza pubblica in materia amministrativa, economica, finanziaria ed energetica”. Questo permetterà a Milei di avere, fino alla metà del 2025, poteri che normalmente spettano al ramo legislativo.

Alla fine, è stato approvato un testo ampiamente modificato rispetto a quello che era passato alla Camera. Per quanto ciò rappresenti un punto a favore di Milei, esso dovrà ritornare ai deputati che, pare certo, lo approveranno. Il progetto originario di ampie privatizzazioni di Milei, già ridimensionato dalla Camera bassa, al Senato ha subito ancora più tagli per ottenere i voti necessari per passare.  In tal modo, delle quaranta aziende che originariamente Milei voleva privatizzare, alla fine ne sono rimaste solo otto che andranno totalmente o parzialmente al privato, mentre rimarranno pubbliche Aerolíneas Argentinas, Correo Argentino e Radio y Televisión Argentina. Tuttavia, nonostante le concessioni e le bocciature, il voto del Senato è stato interpretato come un enorme sollievo e come un capitale politico determinante per il governo. Che pur non ha potuto evitare di pagare un conto salato, visto che un altro insuccesso legislativo sarebbe stato difficilmente sostenibile. 

Alle mancate privatizzazioni, vanno aggiunte la marcia indietro sulla eliminazione della moratoria che consente di andare in pensione senza la quantità di contributi previsti dalla legge, e la fine del blocco delle opere pubbliche i cui lavori sono in stato avanzato o finanziate con fondi stranieri. Al presidente sarà anche interdetta la possibilità di chiudere organismi pubblici vincolati con la scienza e la cultura, mentre si è ristretto il campo delle aziende alle quali potrà essere applicato il Régimen de Incentivo de Grandes Inversiones (RIGI). Il RIGI prevede benefici fiscali, doganali e di cambio per trent’anni, così come la stabilità normativa e la protezione contro gli abusi statali, per progetti che superano i 200 milioni di dollari, al fine di incoraggiare grandi investimenti, sia nazionali che stranieri, a lungo termine.

 I critici affermano che darà un vantaggio importante alle grandi aziende, in particolare alle multinazionali, e che danneggerà le piccole e medie imprese argentine (PMI), che oggi generano il 70% dell’occupazione. L’ex presidente Cristina Fernández de Kirchner ha sostenuto che il RIGI porterà allo sfruttamento delle risorse naturali argentine per mano di aziende straniere, generando “un’economia estrattivista senza valore aggiunto” e instaurando un “colonialismo, versione XXI secolo”. Intanto, per la prima volta da quando Javier Milei è entrato in carica come presidente, la disoccupazione è diventata la principale preoccupazione degli argentini. Secondo l’ultimo rapporto su “Expectativa Económica” realizzato dalla società di consulenza Opina Argentina, supera l’inflazione e rappresenta un segnale di allarme per il governo di quello che si attende la gente rispetto all’evoluzione generale dell’economia. Secondo lo studio, la paura delle persone di perdere il lavoro è cresciuta di otto punti nell’ultimo mese ed è del 37%, ben al di sopra dell’inflazione (29%) e della corruzione (22%). Un dato positivo ed incoraggiante per il governo riguarda la situazione economica personale che sembra migliorare, dato che, tra aprile e giugno, la percentuale che dice di non arrivare a fine mese è scesa dal 40 al 29%. Anche se solo tre intervistati su dieci credono che la loro situazione economica migliorerà nell’immediato futuro, tra gli elettori libertari l’ottimismo raggiunge il 60%.

Nelle prossime settimane, non appena i deputati avranno riapprovato il nuovo testo della Ley Bases, Milei inviterà  nuovamente il mondo della politica “ad abbandonare le vecchie ricette del fallimento, a dimenticare le differenze politiche, ad abbracciare le idee di libertà e a stabilire dieci politiche di rifondazione per restituire il futuro agli argentini” mediante la firma “di un impegno storico per togliere l’Argentina dal pozzo in cui l’hanno sommersa le vendette personali, gli interessi meschini e l’ideologia impoverente degli ultimi cento anni”.

Il Senato ha anche approvato con voto generale il pacchetto fiscale, un progetto con diversi articoli che prevedono la reintroduzione dell’imposta sul reddito, sul riciclaggio e sui beni personali. Ma nel voto articolo per articolo ha eliminato quelli che abbassavano il minimo non imponibile dei redditi e modificavano l’attuale schema dei beni personali. L’attuale regime prevede che i lavoratori che percepiscono salari lordi superiori a 3.514.725 dollari paghino l’imposta sul reddito, e chi sta al di sotto di questa soglia, ne sia esentato. 

Il nuovo capo di gabinetto Francos è stato il principale negoziatore del governo in entrambe le leggi approvate. Pur definendo il risultato del voto come “un trionfo impressionante”, ha riconosciuto che l’esecutivo cercherà di insistere con quelle riforme che sono state eliminate dall’opposizione nella Ley Bases, come quella che riguarda la privatizzazione di Aerolíneas Argentinas.

In pratica, il governo cercherà di far introdurre alla Camera quello che al Senato è stato modificato o cancellato. Ciò detto, sarà interessante capire se la scelta della strada della mediazione è stata solo una soluzione dovuta all’emergenza o se rappresenta una svolta più realistica e di fondo che porti all’abbandono del dogmatismo nel modo di intendere l’esercizio del potere. Oltre a ciò, rimane più di qualche dubbio su come il governo deciderà di gestire la protesta sociale che difficilmente andrà scemando nei prossimi mesi.  

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