IL CORAGGIO DEI CURDI

Da un email ricevuta

Puntare sulla pace per avere ancora un futuro

“Il PKK ha compiuto la sua missione storica”, con queste parole il Partito dei lavoratori e delle lavoratrici del Kurdistan, il 12 maggio 2025, dopo 47 anni di conflitto, ha annunciato lo scioglimento della sua struttura organizzativa e la fine unilaterale della lotta armata. Non perché sia stato sconfitto, ma “per consentire l’avvio a un nuovo inizio che coinvolga la società tutta a una coesistenza tra etnie, religioni e culture, pacifica e proficua”.

Il Medio Oriente ci ha abituato a tutto e anche di più, a guerre, massacri, colpi di stato, soprusi, califfati, dittature, gruppi armati fino ai denti sostenuti da diverse e contrapposte potenze regionali ed internazionali ma a questo non ci aveva preparato. Non avevamo contemplato, mai, un Partito armato che si scioglie non perché sia stato sconfitto ma perché valuta che la terra che abitano, da troppo tempo tormentata dalla sofferenza (popoli costretti alla fuga, braccati e umiliati, senza casa e senza terra; assassini diabolici, bombardamenti e prigioni, assedi e torture, opinione pubblica tacitata, giornalisti uccisi, stupri e corruzione) e da orribili massacri passati e presenti, debba, per scongiurare atrocità a venire, avere il coraggio di osare la pace. Il momento è questo, non ce ne sono altri: o prendi quel treno e ci finisci sotto.

Per fare una cosa così incredibilmente audace ci vuole, onestà, coerenza e tanto coraggio, molto di più che a imbracciare le armi. Vuol dire uscire dal conformismo che sclerotizza tutte le strutture che conservano sé stesse per troppo tempo, perché consolida i poteri, anche quelli piccoli, le gerarchie e i comportamenti stereotipati anche in chi combatte per la libertà, col rischio di perdere di vista il fine ultimo del suo agire che non è la guerra ma la pace. Che si sappia, non ci sono esempi come questo, forse solo quegli strani soggetti che sono stati Giuseppe Garibaldi e Pepe Mujica. 

In Medio Oriente, insomma, stanno succedendo fatti straordinari che ci sollecitano ad attivarci nel presente superando la depressione che pare aver contagiato la gran parte della società europea in resistenza. Disorientata e impotente di fronte alla volgarità mercantilista dei potenti della terra e alla passione guerrafondaia che è riuscita a intossicare la mente anche di chi vorrebbe un mondo più giusto ed equo. Ci sentiamo “giusti” difendendo a parole questa o quella bandiera purché non ci chiedano di impegnarci seriamente per la pace, quello sì che ci costerebbe la fatica di rimboccarci le maniche, scendere in piazza, rinunciare a qualche privilegio, sfidare qualche grosso prepotente, magari perdere il lavoro e, a quel punto, svegliarci dalla nostra pigra depressione.

C’è in quel movimento delle donne e degli uomini curdi una forza giovane che noi in occidente abbiamo perso e che fa loro capaci di scommettere sul futuro. Noi, sinistra occidentale, ci siamo abituati alla sconfitta, alla pigrizia. Quella stessa attitudine che, quando Ocalan, il 27 febbraio del 2025, lanciò l’appello per deporre le armi, ci ha fatto sobbalzare sulle nostre comode poltrone e pensare: venti anni di isolamento gli hanno bruciato il cervello. Salvo poi accorgerci, che quella stessa, improbabile proposta ci regalava un sorriso di speranza. Era una voce diversa, onesta e lungimirante che invitava ad agire. Dobbiamo seminare pace se vogliamo far fiorire un futuro. Dobbiamo osarla ora, prima che sia troppo tardi.

Salterà tutto? Forse, ma è comunque bellissimo che in mezzo a tutti questi guerrafondai e guerrafondaie ci sia un intero popolo che scommette sulla pace.

Ci si può fidare di Erdogan? Naturalmente no. Mentre il PKK ha dichiarato il suo scioglimento la Turchia bombarda il Kurdistan meridionale,  solo ieri 31 attacchi. Kameran Osman, membro dell’American Peacebuilding Teams (CPT) ha dichiarato: “Dopo che il PKK ha annunciato la cessazione delle sue attività armate con la decisione del XII Congresso, ci si aspettava che gli attacchi dell’esercito turco sarebbero cessati e che questo processo si sarebbe basato sulla legalità. Tuttavia, gli attacchi continuano”. Un processo che era iniziato nell’ottobre del 2024, quando Devlet Bahceli, rappresentante del MHP – il partito nazionalista turco -, nel Parlamento turco, sorprendendo tutti, ha lanciato un appello a Abdullah Ocalan per  invitare il PKK a sciogliersi e abbandonare la lotta armata affinché si potesse realizzare la democratizzazione del paese.

Successivamente, e per due volte, Ocalan fu autorizzato ad incontrare una delegazione del Partito d’opposizione turco Dem, vicino al Movimento curdo. Il 27 febbraio Ocalan invita pubblicamente la sua organizzazione a prendere una decisione in questa direzione in cambio di garanzie da parte del governo di serietà del processo e di disponibilità a riconoscere i principi irrinunciabili del Movimento curdo. E, tuttavia, l’esercito turco bombarda le montagne del nord del Kurdistan e quegli uomini e quelle donne che hanno fermato l’Isis. Quali riflessioni possiamo fare?

Non è facile rispondere, ma tutto ci spinge a pensare che non sia al governo del sultano Erdogan che il PKK si rivolge, ma piuttosto alla società turca tutta che, oggi, si trova davanti a una possibile svolta. È a quel popolo che – dai tempi della rivolte di Gezi park, dell’estate del 2013,  ha continuato, nonostante il carcere, l’esilio, le botte, la perdita il lavoro a scendere in piazza comunque – si rivolge il Partito curdo dei lavoratori e lavoratrice, non più “terrorista” visto che ha deposto le armi. È per tutte le etnie, generi e religioni che il Movimento curdo mette a disposizione il paradigma del Confederalismo democratico insieme alla coerenza e alla determinazione che li ha visti costruire un percorso politico capace di convincere, meglio ancora di far innamorare, la più bella gioventù della società curda ma anche di quella mondiale. Mostrando la forza delle donne, la solidità di un progetto che nasce dal basso e lì pianta le sue radici, che mette al centro l’ecologia, l’ascolto di ogni cultura non autoritaria, ma anche la forza etica di una autodifesa consapevole. Non abbiamo nessuna fiducia in Erdogan ma ne abbiamo nel popolo curdo che, con estremo coraggio, sfida tutti noi alla pace e ci impegna a difenderla con la stessa determinazione di sempre.

La speranza ha una data il 2028, quando la Turchia andrà a votare per le presidenziali, alle quali Erdogan vorrebbe strappare un terzo mandato e conservare potere e vantaggi. Anche il sultano Erdogan gioca la sua partita, cercando –  in questa fase in cui la Turchia sprofonda in una crisi economica (l’inflazione galoppa), politica (da due mandati il partito di Ergodan , l’Akp, ha perso la maggioranza), militare (compressa com’è la Turchia tra Israele e l’Iran), geopolitica (chi incamererà i brandelli di Siria, la Turchia, Isreale o l’Hts) – di distrarre l’attenzione dei turchi dal tentativo di violare la costituzione cercando un terzo mandato sventolando la caramella di una tregua con chi è alle spalle del terzo partito del Paese (il partito Dem succeduto all’Htp). Tutto ciò, approfittando, anche, di una informazione asservita al potere e dei suoi “maneggi” con le potenze geopolitiche interessate al Medio Oriente e insieme cercando, dall’abile tessitore di trame che pensa di essere, di evitare di rispondere alle chiare richieste dello sciolto Pkk per arrivare alla pace.

Anche se alcuni passi materiali si facessero resterebbero in campo molti quesiti radicali. Cosa sarà di chi, fino ad adesso, era parte di un esercito armato? Se guardiamo quello che succede in Siria pare che il tentativo di Ahmed al Sharara, presidente ad interim della Siria del dopo Assad e tagliagole convertito, vorrebbe disarmare tutti e disperdere le forze guerrigliere tra corpi diversi e distanti. Cosa sarà di quelle migliaia di prigionier@ politic@ nelle carceri turche e di tutti quell@ costretti alla diaspora? Ci saranno leggi per loro? Come far digerire una amnistia a un popolo che ha visto 40mila morti da una parte e dall’altra, dove l’odio raziale è stato fomentato per decenni. Come far accettare, infine, a una società maschilista e patriarcale il diritto delle donne a una vita piena e, l’accesso a ogni professione, compresa quella militare?

Tanti i quesiti che, però, non inficiano il valore di quel gesto limpido che, in un contesto come quello attuale dove l’idea del riarmo ha conquistato il mondo, dove un presidente degli Stati uniti d’America tratta gli altri stati come un sensale di bestiame tratta i suoi buoi, o come un bandito, resta una scelta spiazzante e profondamente rivoluzionaria, l’unica via per continuare a credere in un possibile futuro.

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