Il paradosso moderno: siamo più consapevoli o più fragili emotivamente?

Dal blog https://angolopsicologia.com/

Oggi, tutto ci influenza. Un commento ci infastidisce, un gesto ci ferisce, un silenzio ci turba. E in molti casi, lo giustifichiamo dicendo che “siamo più consapevoli”. Ma siamo onesti: siamo davvero più connessi al nostro mondo emotivo… o siamo semplicemente diventati più fragili? Perché con così tanta analisi emotiva, a volte sembra che non sappiamo più distinguere tra una vera ferita e un semplice disagio.

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In effetti, c’è una crescente sensazione che molte persone siano emotivamente sopraffatte da cose che, una o due generazioni fa, si sarebbero risolte semplicemente dormendo tranquillamente, avendo una conversazione illuminante o semplicemente dicendo: “svegliati!”. Forse siamo intrappolati in un paradosso per cui più guardiamo dentro di noi, più diventiamo sensibili e vulnerabili.

Dalla repressione al dramma

Veniamo da un’epoca in cui non si parlava di emozioni. Un’epoca in cui si dicevano frasi come “gli uomini non piangono” o “la vita è dura, abituati”.

Ciò, ovviamente, ha lasciato molte cicatrici. Analfabetismo emotivo, traumi mascherati da carattere forte e malattie psicosomatiche in abbondanza. Le emozioni sono rimaste inespresse; sono state nascoste sotto il tappeto.

Ma siamo passati da quel silenzio emotivo… al megafono emotivo. Tutto viene detto, condiviso, espresso. A volte in modo eccessivo. Ora ci viene insegnato che se qualcosa ci infastidisce, dovremmo verbalizzarlo immediatamente. Che se qualcosa ci mette a disagio, dovremmo evitarlo. Che se qualcuno non reagisce come vorremmo, dobbiamo stabilire dei limiti per proteggere la nostra pace interiore.

Mai prima d’ora abbiamo avuto così tante risorse o dedicato così tanto tempo ed energie alla gestione del nostro mondo interiore. Ma, con così tanta consapevolezza emotiva… non stiamo forse alimentando anche la fragilità?

Stiamo confondendo la consapevolezza con l’ipersensibilità?

La consapevolezza emotiva implica osservare ciò che proviamo, capire da dove proviene, riconoscerlo… e poi fare qualcosa di utile al riguardo. Non si tratta solo di provare emozioni; si tratta di comprenderle e gestirle.

PER TELa paura di uscire dalla zona di comfort

L’ipersensibilità emotiva, d’altro canto, implica il lasciarsi travolgere dall’intensità. Tutto ci sconvolge. Ci scuote. Ci travolge. È come se la nostra bussola interiore si fosse sbilanciata, portandoci a interpretare qualsiasi emozione spiacevole come un segnale che qualcosa non va.

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Curiosamente, questa ipersensibilità non deriva da una maggiore consapevolezza, ma da un ego troppo fragile e vulnerabile per affrontare qualsiasi cosa diversa o che causi disagio. Quando reagiamo praticamente a qualsiasi cosa, è perché il nostro sistema limbico la considera una minaccia. E se la classifica in questo modo, è perché non ci sentiamo abbastanza sicuri delle nostre capacità e risorse per affrontare quelle situazioni.

Pertanto, è essenziale non confondere la consapevolezza emotiva con l’ipersensibilità emotiva. La consapevolezza ci dà un margine di manovra. Il margine di manovra per sentire prima di agire, per pensare prima di rispondere, per distinguere se ciò che sentiamo ha più a che fare con la situazione attuale o con vecchie ferite riattivate. L’ipersensibilità emotiva, d’altra parte, elimina questo margine di manovra. Tutto diventa urgente, reattivo, viscerale… Non c’è pausa o filtro. Ogni emozione ci spinge a reagire.

La ferita come identità

Non c’è dubbio che sia essenziale parlare di più delle nostre emozioni, riconoscerle, convalidarle, comprenderle e dare loro spazio. Tuttavia, oggi non parliamo solo di emozioni; le trasformiamo in etichette. Non è che io sia triste; è che ho un attaccamento ansioso. Non è che una critica mi abbia ferito; è che soffro di disforia emotiva post-feedback negativo. Non è che quello che hai detto mi abbia infastidito; è che sto fissando dei limiti per proteggere il mio bambino interiore.

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Ovviamente, molte di queste situazioni e sensazioni sono reali. Ma quando cerchiamo di racchiudere la nostra esperienza emotiva in diagnosi, ferite o traumi, corriamo un rischio enorme: abbandoniamo la responsabilità e iniziamo a scivolare nel regno della fragilità.

Trasformiamo la ferita in un’identità, una scusa per non dover cambiare. Non gestisco, non rifletto, non osservo. Reagisco. Mi offendo. Mi ritiro. Mi sento sopraffatto. Pretendo supporto e convalida al minimo tocco. E se qualcuno non me lo offre, lo etichettiamo come tossico o narcisista.

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Ma forse stiamo solo usando termini altisonanti per descrivere nuove forme di immaturità emotiva. Questo è ciò che accade con gli adulti che pretendono una convalida costante, come se il mondo intero dovesse operare in modalità “terapia personalizzata”.

Stiamo trovando sempre più difficile dissentire senza discutere. Sopportare le critiche senza arrabbiarci. Sentire un “no” senza provare risentimento. Accettare l’opinione diversa di qualcuno senza prenderla come un attacco. È questa coscienza o fragilità?

La vera maturità emotiva non si misura da quanto si parla delle proprie emozioni, ma da quanto si riesce a gestirle senza crollare o creare drammi. Questo richiede meno ego e più connessione con se stessi. Meno giustificazioni e più autocontrollo.

Come uscire da questa trappola?

Non si tratta di tacere, reprimere le emozioni o sopportare tutto. Si tratta di capire che non tutto ciò che sentiamo dovrebbe guidare le nostre azioni. Che a volte viviamo esperienze che non sono così gravi come sembrano. Che non tutto ciò che ci tocca merita di diventare una crociata emotiva. E che maturare significa anche sapere quando lasciar andare.

Possiamo acquisire consapevolezza emotiva senza diventare emotivamente fragili. Possiamo dare valore senza vittimizzare. Possiamo parlare senza imporci. E, soprattutto, possiamo ricordare che la vita non consiste nel cercare di adattare il mondo a noi.

E se tutto il resto fallisce, possiamo sempre fare un respiro profondo, spegnere i telefoni, fare una passeggiata… e prenderci meno sul serio. Perché in fin dei conti, anche il senso dell’umorismo è una parte importante della salute mentale, un’abilità sempre più rara in un mondo in cui sembra che prendiamo tutto così sul serio.

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Jennifer Delgado Suárez

Psicóloga Jennifer Delgado Suárez

Sono una psicologa e da molti anni scrivo articoli per riviste scientifiche specializzate in Salute e Psicologia. Il mio desiderio è aiutarti a realizzare esperienze straordinarie. Se desideri sapere di più clicca qui.

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