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24 Giugno 2025 Francesco Torri e Lova Andrianaivomanana
Prima che sorga il sole sul canale di Mozambico, decine di piroghe a vela decorano l’orizzonte. Sono pescatori dell’etnia vezo che popolano le spiagge bianche del sud-est del Madagascar, nella provincia di Toliara. Qui la pesca tradizionale è la principale attività economica e sono quasi 200 i villaggi della costa abitati da pescatori e pescatrici. Gli uomini pescano lungo il perimetro della barriera corallina, spingendosi oltre ad essa solo quando necessario, pescando a tramaglio o con arpioni rudimentali. Le donne invece raccolgono frutti di mare nelle zone della barriera raggiungibili a piedi e si occupano della fase di trasformazione e commercio del pesce.
“Il mare e i venti stanno cambiando” spiega Felix, pescatore della comunità di Itampolo “prima c’era pesce a sufficienza per tutti, ora siamo costretti spingerci al largo, in zone pericolose per garantirci del buon pescato… Prima uscivamo fino a 21 giorni al mese in mare, ora se arriviamo a 12 è tanto!”
Toliara è una delle regioni più povere del Madagascar, con il 75% della popolazione che vive sotto la soglia della povertà ed elevati tassi di malnutrizione, dove la sopravvivenza è ulteriormente aggravata dalle pressioni dei cambiamenti climatici. I periodi di siccità sempre più lunghi costringono i contadini dell’entroterra a migrare verso la costa, creando competizione sulle risorse ittiche, quindi conflitti inter-comunitari e danni all’ecosistema marino dovuti all’implementazione di tecniche di pesca invasive. Inoltre, i cicloni sono sempre più frequenti. Solo tra febbraio e marzo 2025 se ne sono abbattuti 3 sulle comunità costiere, radendo al suolo case, raccolti e uccidendo il bestiame.

“Siamo rimasti senza casa e senza raccolto dopo i cicloni e non abbiamo ricevuto alcun supporto dal governo” spiega Nestor Armand presidente della Associazione FIMIHARA di Mangily.
Per far fronte a queste complessità, i principali ostacoli alla sussistenza segnalati dai pescatori riguardano soprattutto l’esaurimento delle risorse ittiche, la carenza di attrezzature e materiali da pesca adeguati e la mancanza di competenze tecniche nella lavorazione del pescato. A questi problemi si aggiunge la scarsità di mezzi per la conservazione e il trasporto dei prodotti della piccola pesca, che in Madagascar costituiscono il 60% della produzione ittica nazionale.
L’accordo tra Madagascar e Unione europea
Nel 2023, il Madagascar ha firmato un accodo con l’Unione europea per l’accesso di 65 navi tonniere europee nelle sua zona economica esclusiva (ZEE) per un periodo di 4 anni e con la possibilità di pescare fino a 14K tonnellate di tonno all’anno, con il nome di Accordo di Partenariato per la Pesca Sostenibile (SFPA). Questo prevede il pagamento di un totale di 12.8 milioni di euro provenienti dal portafoglio della Politica Comune della Pesca dell’UE al Madagascar per lo sviluppo settoriale del settore ittico, 4.4 milioni dei quali da destinarsi al supporto del settore della pesca.
Per restare in linea con uno dei pilastri della Politica Comune della Pesca, ovvero lo sviluppo sostenibile dei paesi partner, l’SFPA è articolato in modo da apparire come un programma per il supporto della piccola pesca e dell’economia blu in Madagascar “L’accordo non è da considerare né come una vittoria né come una sconfitta” – commenta il ministro della Pesca del Madagascar Paubert Mahatante” – “i fondi che ci ha fornito l’Ue sono troppo pochi per apportare modifiche strutturali al settore, ma diciamo che è meglio di niente!”

Secondo Mirantsaina Andrianalinera, direttrice dell’Agenzia Malgascia di Pesca e Acquacultura (AMPA), organo responsabile della gestione del budget dell’SFPA, le aree di maggior interesse per lo sviluppo di progetti di sviluppo settoriale sono Toliara nel sud e Mahajanga nel nord. Di fronte a richieste più dettagliate su tali progetti né il Ministro né l’AMPA sono riusciti a fornire indicazioni precise sui progetti implementati, facendo emergere una mancanza di trasparenza su come i soldi vengono effettivamente spesi, quindi un’assenza di controllo da parte dell’Ue sull’effettiva destinazione dei propri fondi.
Dietro al velo dello sviluppo
Nelle regioni menzionate infatti, sembra non esserci traccia dei progetti finanziati dall’Unione, né a livello di rendicontazione pubblica né a livello di impatti sul territorio. Le interviste ai presidenti delle due principali LMMA (Locally Managed Protected Areas) della zona di Toliara rivelano un quadro chiaro. Nessun programma di supporto è stato implementato dall’entrata in vigore dell’SFPA e nessuna consultazione è stata effettuata da enti governativi o NGO riguardo a progetti futuri.
L’unico intervento attualmente attivo e percepito come realmente efficace dal 2022 a oggi è un progetto promosso dall’Università di Toliara, che fornisce attrezzature da pesca nuove e organizza corsi di formazione per i giovani del territorio. Gyldas Todinanahary, docente universitario e coordinatore del progetto, conferma che i fondi non provengono dagli SFPA e dichiara che l’unica iniziativa finanziata da tali fondi riguarda un progetto dell’università per la prevenzione e la gestione delle intossicazioni alimentari da pesce mal conservato, che ha ricevuto un totale di 10.000 euro dal 2023.
Del resto dei 4.4 milioni annui a disposizione non sembra esserci ulteriore traccia nella regione. Secondo il piano di investimenti che ci presenta Mirantsaina Andrianalinera, direttrice dell’AMPA, organo responsabile della gestione del budget dell’SFPA, per il supporto della piccola pesca il governo starebbe investendo 314,373 Euro all’anno per 4 anni principalmente in:
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- 10 imbarcazioni a motore e 10 in metallo. Tuttavia, solo nell’area di Itampolo si contano almeno 17 villaggi, lasciando gran parte delle comunità locali senza alcun mezzo.
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- 300 reti da 100 metri ciascuna. Considerando che una singola piroga utilizza in media fino a 1 km di rete al giorno per soddisfare il proprio fabbisogno, la quantità risulta largamente insufficiente.
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- 100 fili da palangaro lunghi 100 metri con 20 ami. I pescatori locali, però, ne usano almeno 50 ogni 100 metri, e in molti casi anche 100: con soli 20 ami, non si copre neanche lontanamente il fabbisogno di una giornata di pesca.
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- 5 palangari da 1 km con 200 ami. Anche in questo caso, il numero di ami forniti è troppo basso: per ogni chilometro di palangaro, i pescatori ne usano mediamente almeno 500 per garantire una buona resa.
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- 300 giubbotti salvagente, ciascuno dal valore di circa 100.000 Ariary (circa 20 euro). Nonostante l’investimento, il numero dei dispositivi resta esiguo rispetto alla reale popolazione di pescatori, mettendo in discussione l’efficacia e l’equità della distribuzione.
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- 100 scatole in polistirolo per conservare il pesce in fresco, da distribuirsi su una popolazione di migliaia di pescatori.
“Anche se davvero fossero stati distribuiti questi beni, questo per me non è un approccio che supporta lo sviluppo sostenibile!
Dov’è la progettualità a lungo termine, dov’è la sostenibilità di questo tipo di aiuti, dov’è il supporto di fronte alle conseguenze dei cambiamenti climatici che stanno mettendo a serio rischio la vita di queste persone?” si chiede Emma Gibbons, biologa marina e fondatrice dell’associazione Reef Doctor, attiva da oltre vent’anni a fianco delle comunità di pescatori per promuovere la pesca sostenibile e offrire supporto socio-sanitario.
“La gente qui” – conclude – “non vuole elemosine, vuole strumenti per conquistare un’autonomia economica e costruirsi un futuro.“

Hermann Manahadraza, presidente di Mihari, associazione nazionale che riunisce la voce di tutte le comunità di pescatori tradizionali del Madagascar, dichiara “non ho mai nemmeno sentito parlare di questo SFPA e non ero a conoscenza di queste donazioni di materiale. Ad ogni modo ritengo che sia essenziale lavorare con noi di Mihari per portare avanti un modello di sviluppo sostenibile nelle comunità di pescatori. La nostra associazione è formata da pescatori che si impegnano per le loro comunità. Sappiamo quali sono i reali bisogni e cosa serve per migliorare”.
Tra questi bisogni, quello più sentito dai pescatori locali c’è quello di implementare strategie di adattamento ai cambiamenti climatici, le cui conseguenze stanno esacerbando la condizione di insicurezza alimentare e povertà estrema che già colpisce questa regione.
Chi ci guadagna veramente sul tonno del Madagascar?
“Nel lungo termine, il nostro obiettivo è non dover più sottostare a questi accordi e sviluppare un’industria del tonno nazionale” sostiene il ministro della Pesca durante la nostra intervista.
Le acque territoriali malgasce infatti sono ricche di pescato e sono considerate strategiche per la pesca del tonno, soprattutto a nord del canale di Mozambico, dove tra febbraio e aprile si raggruppano grandi stock di tonno pinna gialla, tonno striato e tonno obeso. Tuttavia, ad oggi il Madagascar non ha un settore della pesca tonniera sviluppato, contando appena un totale di 66.2 tonnellate di tonno pescato all’anno.
Il Paese è pertanto mero porto in cui il tonno pescato viene depositato e presto rivenduto, generando scarsi guadagni interni. Questa mancanza di sostegno strutturale contraddice l’obiettivo dichiarato dell’accordo, che è quello di rilanciare l’economia blu malgascia.
A dominare la pesca industriale del tonno in queste zone sono quindi navi straniere, con una forte influenza francese e spagnola. 23 delle 65 imbarcazioni incluse nell’SFPA siano di proprietà di grandi lobby industriali francesi e spagnole, con un passato controverso in materia di sostenibilità ambientale.
Nove imbarcazioni appartengono infatti alla Compagnie Française du Thon Océanique (CFTO) e quattro alla SAPMER, parte del gruppo ORTHONGEL, nonché uno dei maggiori consorzi francesi del settore e membro di una delle più potenti lobby del tonno a livello europeo: Europeche. Quattro pescherecci sono di proprietà di Echebastar, tre appartengono ad ALBACORA ed altri tre a INPESCA SA – tutte aziende legate alle principali lobby spagnole del settore: OPAGAC e ANABAC.

Queste grandi imprese beneficiano notevolmente dell’accordo dal momento che, secondo dei dati forniti dal Ministero della pesca Malgascio, per ottenere licenze di pesca autonomamente dovrebbero arrivare a spendere fino a 537.000 euro all’anno per nave, rendendo la pesca in queste acque non economicamente fattibile.
Mentre le comunità di pescatori lottano per sopravvivere a cicloni, reti vuote e promesse disattese, le aziende leader del tonno in Europa incassano silenziosamente un importante bottino: accesso privilegiato e poco regolamentato a una delle zone di pesca più ricche del Pianeta, a un prezzo che somiglia più a un favore che a un partenariato. Forse non serve dichiarare apertamente a chi convenga davvero questo accordo. Basta guardare chi torna a casa con le stive piene e chi, invece, ogni giorno deve scegliere tra il mare e la fame.