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18 settembre 2025
Gli scavi al portale sud di Airolo. Fotografia scattata il 20 agosto 2025. Keystone / Gaetan Bally
La costruzione della seconda canna della galleria autostradale del San Gottardo, un’opera strategica da 2,14 miliardi di franchi per la Svizzera, è nel caos. Quello che doveva essere un cantiere modello rischia di trasformarsi in un incubo
La fresa meccanica “Paulina”, fiore all’occhiello dell’ingegneria moderna, si è bloccata dopo appena 192 metri di scavo sul versante di Airolo. La notizia, di per sé, non è nuova: che “Paulina” fosse ferma dalla fine di giugno e che lo scavo proseguisse con l’uso di esplosivo – con un ritardo sui lavori stimato tra i 6 e gli 8 mesi e costi aggiuntivi attorno ai 20 milioni di franchi – era stato comunicatoCollegamento esterno dall’Ufficio federale delle strade (USTRA) il 7 luglio a tutti i media svizzeri.
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I lavori della seconda canna del San Gottardo saranno più difficili e costosi del previsto
Questo contenuto è stato pubblicato al 08 lug 2025 I lavori per la seconda canna della galleria stradale del San Gottardo saranno più difficili e più costosi sul lato sud. Per motivi geologici, invece di utilizzare la fresa meccanica, si dovrà infatti ricorrere all’esplosivo.
Di più I lavori della seconda canna del San Gottardo saranno più difficili e costosi del previsto
Ma il punto è un altro: si è trattato davvero di un semplice imprevisto?
Tutt’altro, secondo un’inchiesta giornalistica condotta dai colleghi svizzero-tedeschi della trasmissione RundschauCollegamento esterno della SRF. Ed è qui la vera novità: dietro lo stop si celerebbe una storia di relazioni geologiche ignorate, avvertimenti inascoltati e una montagna che, ancora una volta, non perdona la superficialità umana. E mentre i costi lievitano e i ritardi rischiano di estendersi fino a due anni, la politica si risveglia di soprassalto, chiedendosi come si sia potuti arrivare a questo punto.
Il blocco della fresa, un problema prevedibile
La notizia è esplosa a metà settembre 2025, ma i problemi erano iniziati molto prima. “Paulina”, una macchina perforatrice dal valore di decine di milioni di franchi, si è dovuta arrendere alla friabilità della roccia nella cosiddetta “serie della TremolaCollegamento esterno”, una formazione geologica nota per la sua instabilità.
Dopo un primo, breve stop a soli 5 metri dall’avvio – tenuto sotto silenzio dall’USTRA – il blocco definitivo è arrivato al metro 192, in una cavità ancora più ampia che ha di fatto inghiottito la testa della fresa.
L’USTRA ha parlato di “imprevisto geologico”, annunciando un cambio di strategia: per un tratto di circa 500 metri si tornerà al metodo tradizionale, con l’uso di esplosivo. Un passo indietro che costerà caro: almeno 20 milioni di franchi in più e un ritardo stimato inizialmente in 6–8 mesi. All’epoca, l’USTRA assicurava che “l’Ufficio federale delle strade prevede di rispettare la data di apertura preannunciata e i costi totali preventivati”.
Ma secondo fonti interne al cantiere, citate da Rundschau, la realtà potrebbe essere ben più amara: i tempi potrebbero allungarsi fino a due anni, spostando l’apertura della galleria dal 2030 al 2032. Un ritardo che avrebbe conseguenze a cascata, posticipando anche i lavori di risanamento della prima canna, in funzione dal 1980.
“Un certo rischio residuo esiste sempre. Non possiamo costruire un tunnel senza rischi”, ha dichiarato Guido Biaggio, vicedirettore dell’USTRA, alla televisione svizzero-tedesca, difendendo la scelta di procedere con la fresa. Una decisione che, alla luce dei fatti, appare oggi quantomeno azzardata.
Le perizie ignorate
L’aspetto più sconcertante della vicenda, ricorda Rundschau, è che il disastro era stato ampiamente previsto. Già nel 2016, un semplice foro di sondaggio nella “serie della Tremola” era crollato: un primo, inequivocabile campanello d’allarme. “Se un foro di sondaggio non regge, è già un segnale d’allarme”, ha commentato nel servizio televisivo il professor Adrian Pfiffner, geologo emerito dell’Università di Berna.
Due anni dopo, nel 2018, una perizia geologica di 150 pagine raccomandava esplicitamente di scavare i primi 200–400 metri con il metodo tradizionale a esplosivo, per poi passare alla fresa solo in condizioni geotecniche più favorevoli. Un avvertimento chiaro, preciso, circostanziato. Eppure, una seconda perizia del 2020 – pur confermando le “condizioni difficili da valutare” della roccia – raccomandava inspiegabilmente l’uso della fresa. Una contraddizione che ha lasciato perplessi gli stessi esperti.
“Il rischio è menzionato chiaramente. Eppure, in una tabella si legge: avanzamento con una fresa meccanica. Sono perplesso”, ha dichiarato ancora Pfiffner. Gli fa eco il geologo Hans-Rudolf Keusen, autore di numerose perizie, che definisce la decisione “incomprensibile, non giustificata in alcun modo”.
La reazione della politica
La notizia del blocco dei lavori – peraltro già nota a luglio – e delle perizie ignorate ha colto di sorpresa il mondo politico, riunito a Berna per la sessione autunnale. I parlamentari ticinesi, direttamente interessati dall’opera, hanno espresso preoccupazione ai microfoni della RSI e chiesto immediate spiegazioni.
“Non fa piacere ed è una seccatura sapere che in un cantiere di questa importanza vi sia un ritardo di questo tipo. Andrà chiarito per quale motivo si è arrivati a questo punto”, ha dichiarato il consigliere nazionale Alex Farinelli (PLR).
Ancora più duro il commento di Lorenzo Quadri (Lega): “Nella Commissione dei trasporti e delle telecomunicazioni del Consiglio nazionale questo tema non è mai emerso. Leggerlo dalla stampa fa un po’ specie. Fa specie che, quando ci sono delle perizie, si abbia l’impressione che siano state prese alla leggera perché non ci si voleva allontanare dall’intenzione tracciata”.
Anche Bruno Storni (PS) si è detto sorpreso: “A noi ufficialmente non è ancora stato detto nulla. Bisogna proprio chiedersi come sia stato possibile commettere un errore del genere. La montagna dovrebbe essere conosciuta”.
L’impatto operativo e i costi aggiuntivi
Il blocco della fresa comporta un significativo aumento dei costi operativi. Mentre prima dell’incidente si lavorava su due turni per cinque giorni alla settimana, ora è necessario operare 24 ore su 24, sette giorni su sette, con tre turni di lavoro. Questo cambiamento ha fatto lievitare considerevolmente i costi del personale, oltre ai 20 milioni di franchi aggiuntivi stimati per il cambio di metodo di scavo.
Se i lavori dovessero davvero prolungarsi di due anni, come ipotizzato da Rundschau, il conto finale rischia di essere ben più salato.
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