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Michele Barbero 30 Settembre 2025
In un paese sempre più indebitato, la Francia, l’idea di una imposta sui patrimoni sopra i 100 milioni di euro viene vista come un attacco sconsiderato. Eppure la polarizzazione delle ricchezze aumenta sempre più, a svantaggio della classe lavoratrice
Mentre la Francia si chiede se il suo nuovo primo ministro, Sébastien Lecornu, riuscirà a mettere insieme una coalizione di governo e a far passare il bilancio del prossimo anno, infuria il dibattito sulla crescente disuguaglianza economica e sul sistema fiscale che vi contribuisce.
Il predecessore di Lecornu, François Bayrou, è stato fatto cadere a settembre a causa di una serie di proposte restrittive largamente accusate di colpire duramente la classe media e la classe lavoratrice, concedendo al contempo un lasciapassare ai super-ricchi. Ora, mentre il centrista Lecornu cerca di garantirsi il sostegno del Partito socialista, una delle proposte di punta della sinistra – una nuova imposta patrimoniale sulle grandi fortune – ha improvvisamente guadagnato terreno.
La tassa Zucman, così chiamata in onore di Gabriel Zucman, l’economista di sinistra che l’ha ideata, è un’imposta integrativa che stabilirebbe che coloro che possiedono un patrimonio di valore superiore a 100 milioni di euro paghino almeno il 2% del loro patrimonio in tasse ogni anno.
L’obiettivo è quello di affrontare quella che molti considerano una grave lacuna del sistema fiscale francese: le maggiori fortune sono in gran parte costituite da azioni societarie e dall’accumulo di dividendi depositati in holding, e sono quindi soggette all’imposta sulle società ma non alle aliquote molto più elevate dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. Gli studi dimostrano che, una volta considerati i ricavi delle società, il sistema fiscale francese smette di essere progressivo per lo 0,1% più ricco, che paga un’aliquota effettiva inferiore rispetto a chi si trova subito sotto di loro nella piramide sociale.
Non sorprende che negli ultimi decenni i maggiori patrimoni della Francia siano aumentati a un ritmo vertiginoso. Dal 1996, il patrimonio netto totale delle 500 persone più ricche del paese è cresciuto di quattordici volte, passando dal 6 al 40% del Pil. Solo tra il 2010 e il 2025, è schizzato da 200 miliardi di euro a 1,2 trilioni di euro (cifre che tengono conto solo del patrimonio professionale, principalmente azioni societarie).
«In un momento in cui la povertà è in aumento e abbiamo bisogno di molte più risorse per finanziare il futuro del paese in settori come la transizione verde, l’innovazione e la difesa, tutti devono contribuire di più in base alle proprie possibilità», ha affermato Simon-Pierre Sengayrac, codirettore dell’Osservatorio Economico della Fondazione Jean Jaurès, un think tank di sinistra. «La tassa Zucman ha il merito di prendere da coloro che se la possono permettere», ha aggiunto.
Ciò potrebbe essere particolarmente necessario, data la grave difficoltà finanziaria della Francia. Il piano di austerità che ha fatto cadere il governo Bayrou, che ha comportato aumenti delle tasse e tagli di bilancio per circa 44 miliardi di euro, mirava a contenere quello che è diventato il più grande deficit di bilancio dell’eurozona. Il peso del debito ora supera il 115% del Pil. All’inizio di questo mese, l’agenzia di rating Fitch ha declassato il rating del debito sovrano francese ad A+, il livello più basso mai registrato dal paese.
La tassa Zucman riguarderebbe circa 1.800 famiglie e potrebbe fruttare fino a 25 miliardi di euro all’anno, anche se stime più pessimistiche la calcolano solo sui 5 miliardi di euro.
I sostenitori della proposta sottolineano che i patrimoni individuati sono cresciuti così rapidamente che un’aliquota del 2% sarebbe difficilmente sufficiente a fermare la concentrazione della ricchezza attualmente in corso, anzi la rallenterebbe ulteriormente.
Obiezioni di destra
Tuttavia, in un paese che ha già la più alta tassazione in percentuale del Pil nell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), la proposta è fortemente osteggiata dalla destra. I critici affermano che la misura sarebbe «predatoria» e incostituzionale, innescherebbe un esodo di miliardari e danneggerebbe gli investimenti. Altri osservano che il piano tasserebbe la ricchezza «virtuale» sotto forma di azioni societarie, che in alcuni casi dovrebbero essere vendute affinché i contribuenti abbiano liquidità sufficiente per pagare.
Questo mese, il magnate francese del lusso Bernard Arnault – l’uomo più ricco d’Europa con un patrimonio netto di 169 miliardi di dollari – ha criticato aspramente la proposta definendola «offensiva» e «mortale per la nostra economia», e ha denunciato l’ideatore del piano come un ideologo di estrema sinistra. A causa della tassa, Arnault dovrebbe sborsare circa 1 miliardo di euro all’anno. Nel frattempo, la principale organizzazione dei datori di lavoro francese ha annunciato una «grande manifestazione» nei prossimi giorni per protestare contro il piano.
Le disuguaglianze economiche sono in aumento in tutto il mondo sviluppato da decenni. Negli ultimi anni, accademici francesi di fama internazionale come Thomas Piketty hanno svolto un ruolo importante nell’identificare questa tendenza, evidenziando come la concentrazione della ricchezza abbia accelerato dall’introduzione delle politiche neoliberiste in Occidente negli anni Ottanta. In Francia, negli ultimi trent’anni, la quota della ricchezza totale del paese detenuta dall’1% più ricco è aumentata di dieci punti percentuali, raggiungendo il 27%, mentre quella della metà più povera della popolazione si è dimezzata, attestandosi ad appena il 5%.
Come ha dimostrato Piketty nel suo rivoluzionario Il capitale nel XXI secolo, nel mondo odierno il rendimento del capitale tende a superare il tasso di crescita economica complessiva, il che significa che il divario tra i proprietari di grandi patrimoni finanziari e coloro che si guadagnano da vivere lavorando è destinato ad aumentare ogni anno, a meno che non vengano messe in atto delle correzioni.
In questo contesto, la proposta di Zucman rappresenterebbe un passo avanti verso l’adattamento del sistema fiscale francese agli sviluppi del capitalismo, sostiene Sengayrac: «Colpisce il cuore stesso della dinamica della riproduzione e dell’aumento delle disuguaglianze».
Sin dalla sua elezione nel 2017, il presidente francese Emmanuel Macron non ha dato priorità alla lotta contro il crescente divario di reddito e ricchezza: una delle sue prime mosse è stata quella di ridurre l’ambito di applicazione dell’imposta sul patrimonio francese, limitandola ai soli immobili, e di introdurre un’imposta fissa del 30% sui redditi da interessi, dividendi e plusvalenze. L’obiettivo dichiarato era quello di rendere la Francia più attraente per gli investitori, ma le due misure sono state viste da molti come un grande regalo ai ricchi, con un costo per le casse dello Stato di diversi miliardi di euro ogni anno.
Gli studi dimostrano che, sebbene la presidenza di Macron abbia ridotto il carico fiscale per la maggior parte dei francesi, sono stati i contribuenti più ricchi a beneficiarne maggiormente, alimentando a loro volta le disuguaglianze economiche. I tagli fiscali di Macron sono stati ritenuti responsabili di gran parte dell’aumento del deficit di bilancio e del debito pubblico della Francia durante la sua presidenza.
La sinistra si batte da tempo per una tassazione più elevata per i più ricchi. Negli anni 2010, il presidente socialista François Hollande introdusse un’imposta del 75% sui redditi superiori a 1 milione di euro [transitoriamente per due anni, ndt], prima di essere costretto ad annacquarla e infine ad abolirla tra una valanga di critiche, tra cui quella di Macron, che durante il suo mandato come assistente di Hollande la definì «Cuba senza il sole».
Una versione della tassa Zucman è stata in realtà approvata dalla Camera bassa del Parlamento francese a gennaio di quest’anno, con i voti della sinistra ma senza la partecipazione dell’alleanza di centrodestra del governo, fiduciosa che il disegno di legge sarebbe stato poi bloccato dal Senato controllato dai conservatori, come effettivamente è accaduto qualche mese dopo.
La proposta ha attirato anche l’attenzione internazionale. L’anno scorso, il governo brasiliano guidato da Luiz Inácio Lula da Silva, allora ospite del G20, ha invitato Zucman a fornire consulenza su come coordinare gli sforzi internazionali per tassare i super-ricchi, tema che era stato posto in cima all’agenda del gruppo.
Stallo
Da quando Macron ha indetto elezioni anticipate nel 2024, senza che si sia formata una maggioranza chiara in Parlamento, la Francia è bloccata in una situazione di stallo politico. Non è ancora chiaro se Lecornu – il quinto primo ministro in soli due anni – riuscirà a formare un governo e quale sarà il suo programma preciso. Lecornu, alleato di lunga data di Macron che ha iniziato la sua carriera politica con la destra mainstream, ha finora chiuso la porta alla tassa Zucman. Tuttavia, avrà bisogno molto probabilmente del sostegno del Partito socialista per sopravvivere, il che sarà difficile senza un qualche tipo di compromesso sulla tassazione dei super-ricchi.
Nel frattempo, la misura sta ricevendo un’ampia copertura mediatica ed è estremamente popolare nei sondaggi, con circa l’86% dei francesi che la sostengono. Secondo il politologo Luc Rouban, ciò è dovuto in gran parte alla diffusa sensazione che le regole del gioco non siano le stesse per tutti, che una piccola minoranza stia beneficiando in modo sproporzionato della globalizzazione e che lo Stato debba ristabilire la propria sovranità fiscale. Sentimenti, ha affermato, che riecheggiano le lamentele espresse dal movimento dei gilet gialli, le cui proteste si sono scatenate nel 2018 e nel 2019 dopo che Macron ha cercato di aumentare le tasse sul carburante, una mossa sproporzionatamente dolorosa per i meno abbienti.
«La battaglia per conquistare l’opinione pubblica è già stata vinta», ha affermato Sengayrac, facendo un paragone con l’introduzione dell’imposta progressiva sul reddito in Francia nel 1914, dopo anni di resistenza conservatrice. «L’introduzione di una nuova imposta richiede tempo. Prima bisogna convincere l’opinione pubblica, e solo dopo i politici si faranno avanti». Per ora, sembra che i francesi siano convinti di voler far pagare di più ai ricchi.
*Michele Barbero è un giornalista italiano che vive a Parigi, da dove si occupa di Francia, Italia e Unione europea. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.