L’altra faccia dell’Amerikano che vuol governare il mondo

Dal blog https://www.remocontro.it/

14 Ottobre 2025 Valerio Sale

Dietro all’elenco di successi sbandierati da Trump e trasmessi a ciclo continuo dai media americani e asserviti, si nasconde la reale minaccia di fallimento del suo progetto economico di riportare gli Stati Uniti all’età dell’oro. La ricetta dei dazi presentata come ‘miracolosa’ agli americani, mostra tutti i suoi limiti.

I conti sbagliati e le bugie dei dazi

Nei giorni scorsi, il New York Times ha pubblicato un ampio servizio sulle difficoltà che i dazi dell’amministrazione Trump stanno causando alle piccole e medie imprese. Secondo uno studio della Federal Reserve di Atlanta, l’86% delle aziende statunitensi che importano merci via mare ha meno di 50 dipendenti. Inoltre, a differenza delle imprese più grandi che hanno catene di approvvigionamento diversificate, le ditte più piccole importano solitamente merci da un unico fornitore e da un unico Paese. Il Liberation day, per loro, è stato una roulette russa. Il consumatore americano sarà la prima vera vittima dei dazi di Trump, osserva Alberto Mingardi su Corriere Economia. Ogni posto di lavoro manifatturiero ‘reimportato’ costerebbe agli americani 225 mila dollari l’anno.

Troppa fatica non migliora la vita

Due economisti dell’American Entreprise Institute, Hufbauer e Zhang, hanno svolto una ricerca che dimostra come il fatto che tante più persone lavorino nei servizi anziché nell’industria riflette in larga misura una loro preferenza, peraltro coerente con la più universale attitudine umana, ovvero la preferenza per fare meno fatica fisica anziché di più. Vale per gli Usa e vale per casa nostra. Secondo i due economisti, per azzerare il deficit commerciale americano nel manifatturiero — cioè per creare le condizioni affinché vengano ‘reimportate’ tutta una serie di produzioni — il dazio medio applicato dagli Usa agli altri Paesi, dovrebbe essere del 42,5% contro l’attuale media tra 17%-19% dei dazi applicati con il Liberation day.

Intelligenza Artificiale alla Casa Bianca?

La seconda minaccia che incombe sui sogni venduti agli americani da Donald Trump si trova a Wall Street. La naturale apertura degli americani alle innovazioni, ha lanciato nell’orbita finanziaria tutto ciò che è legato all’Intelligenza Artificiale. La digitalizzazione delle vite degli americani è dappertutto. Nelle case dove gli assistenti come Alexa di Amazon o Siri rispondono ai comandi vocali per gestire gli elettrodomestici, come per dare le previsioni meteo. Le ricerche su Google sono ormai in fase di sostituzione dalle domande dirette a ChatGTP o a Gemini. Va da sé che il mondo degli investimenti e del risparmio gestito dei privati si è diretto al settore tecnologico con i valori stratosferici che esso rappresenta.

Oracle in Borsa

OpenAI, la startup ultra miliardaria creatrice di ChatGPT, ha firmato un contratto con Oracle per acquistare 300 miliardi di dollari in potenza di calcolo in circa cinque anni, un impegno enorme che supera di gran lunga l’attuale fatturato della startup. L’intesa richiederà 4,5 gigawatt di capacità energetica, paragonabile all’elettricità consumata da circa quattro milioni di persone. In seguito all’annuncio Oracle ha fatto registrare una impennata in Borsa, realizzando guadagni fino al 40%, portando la capitalizzazione da 678 agli attuali 818 miliardi e facendo schizzare il patrimonio del suo fondatore Larry Ellison, grande sponsor di Trump, che ha raggiunto circa 390 miliardi.

Bolla Wall Street nascosta

Difronte a queste cifre pazzesche sempre più analisti e operatori finanziatori cominciano a dubitare sul ritorno dell’investimento e sulle reali capacità dell’intelligenza artificiale di cambiare sostanzialmente i processi evolutivi dell’umanità. «Siamo in una situazione insolita in cui i gestori di fondi affermano all’unisono che le azioni statunitensi sono sopravvalutate, eppure tutti stanno accumulando titoli» scrive Edward Harrison su Bloomberg. Tradotto in una sola parola, che a Wall Street nessuno vuole pronunciare, c’è una bolla che si sta gonfiando.

Ultima, la bugia Cina

L’ultimo miglio percorso con le gambe corte delle bugie di Trump, conduce in Cina. La recente decisione di Pechino d’imporre controlli sull’esportazione di prodotti che contengono terre rare ha messo all’angolo gli Stati Uniti. Trump ha accusato i cinesi di aver «silenziosamente ammassato sia i magneti che le terre rare in una posizione di monopolio e con una mossa sinistra e ostile». Affermazioni da far ridere a crepapelle anche il più ingenuo degli osservatori, dopo che per un anno intero Trump ha bullizzato decine di Paesi, minacciato e ricattato partner commerciali di tutto il mondo.

Wall Street ci vede lungo e sulle notizie delle difficoltà con la Cina ha chiuso in profondo rosso tirandosi dietro anche le borse europee. Altro che premi Nobel e fanfaronate sull’età dell’oro. I produttori americani sono legati mani e piedi alle terre rare cinesi e il perno dell’economia mondiale insiste sempre più su Pechino.

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