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15 Ottobre 2025 Ennio Remondino
La Turchia riprende il comando di KFOR e fornisce migliaia di droni Skydagger alle Forze di Sicurezza del Kosovo. Ed il discusso premier Albin Kurti li esibisce assieme ai Bayraktar TB2 già in arsenale. Droni armati per farne cosa? Domanda chiave su cui preoccuparci, da vicini di casa e da ‘tutori internazionali’.
L’arsenale kosovaro per un ‘non esercito’
Gli Skydagger RFT15 sono droni in grado di trasportare fino a 5 chili di carico utile incluso esplosivo e volare per 10 chilometri a una velocità di 130 km/h. Sono stati forniti in grandi quantitativi alle forze di Pristina che, in base agli accordi che prevedono la presenza delle forze della NATO (KFOR) dovrebbe avere solo compiti di sicurezza interna e non dovrebbe disporre di armi offensive. Con un messaggio su Facebook, Kurti ha pubblicato foto di camion carichi all’aeroporto di Pristina, sottolineando che si tratta di ‘migliaia di droni’. La formazione in Kosovo di un Esercito regolare, oltre a violare gli accordi che portarono alla fine della guerra nel 1999, è fortemente osteggiata dalla Serbia, che non riconosce l’indipendenza del Kosovo, che considera ancora parte integrante del proprio territorio.
La Serbia e le regole Onu
Belgrado invoca la Risoluzione 1244 adottata dal consiglio di sicurezza Onu nel 1999 al termine del conflitto armato in Kosovo, in base alla quale l’unica Forza armata autorizzata a stazionare in Kosovo è la KFOR della NATO, segnala Analisi Difesa. La risoluzione –per gli smemorati di quei tre mesi 1999 di bombardamenti Nato su un pezzo di Europa-, prevedeva la completa smilitarizzazione dell’Esercito di liberazione del Kosovo (UCK) e degli altri gruppi armati della componente albanese. Pristina nel 2009 avviò la formazione di una Forza di sicurezza del Kosovo, con mandato civile e di intervento in casi di catastrofi e calamità, ma nel 2018 il parlamento kosovaro adottò un provvedimento sulla trasformazione della Forza di sicurezza in un Esercito regolare. Nel silenzio complice anche italiano che ha il suo contingente militare in campo.
Riarmo kosovaro albanese anche americano
Le autorità di Pristina, segnala Gianandrea Gaiani, «hanno inoltre raggiunto un accordo con l’azienda turca MKE per la costruzione di una fabbrica per la produzione di armi e lo sviluppo di droni. Negli ultimi tre anni, il governo del Kosovo ha speso oltre 239 milioni di euro per l’acquisto di armi e la maggior parte di questi fondi è apparentemente finita nell’industria militare turca. Oltre ai droni Bayraktar TB2, le autorità del Kosovo hanno acquistato mortai e munizioni dalla Turchia per un valore di 27,5 milioni di euro».
Nei mesi scorsi, Pristina ha ottenuto altri droni turchi TB2 ‘Bajraktar’ e americani ‘Puma’. Gli Stati Uniti avevano già forniti armi anticarro Javelin, veicoli e altro materiale
Serbia inquieta e ‘Balcani ottomani’?
- Dura la reazione del presidente serbo Aleksandar Vucic che con un commento si è detto «terrorizzato dal comportamento della Turchia e dalla brutale violazione della Carta dell’Onu e della risoluzione 1244 del consiglio di sicurezza».
- «Ora è del tutto chiaro che la Turchia non vuole la stabilità dei Balcani occidentali e che sogna di nuovo il ripristino dell’Impero ottomano.
- a Serbia è un piccolo Paese, ma abbiamo capito bene il messaggio!», ha osservato Vucic nel suo messaggio.
- «Invece di rispettare il diritto internazionale la Turchia, militarizzando Pristina, cosa che va avanti da anni, calpesta apertamente la Carta dell’Onu e diventa complice di Kurti nell’affossamento della pace e della stabilità nella regione dei Balcani occidentali”, denuncia il mediatore Ue Petkovic .
- «Contro chi è diretta questa militarizzazione di Pristina con la consegna di armi letali nelle mani del piromane Albin Kurti, se non contro il pacifico popolo serbo?”, ha aggiunto, sottolineando come “non sia un caso che i droni siano stati consegnati a Kurti tre mesi in anticipo e a pochi giorni dalle elezioni locali del 12 ottobre, per dare appoggio a Kurti e consentirgli di proseguire nella sua azione di terrore contro i serbi».
- Il capo di stato maggiore dell’Esercito serbo, generale Milan Mojsilovicha protestato con il comandante della KFOR, il generale turco Ozkan Ulutas, denunciando la violazione della risoluzione 1244 del consiglio di sicurezza dell’Onu e dell’Accordo tecnico-militare sul Kosovo.
KFOR e la Serbia. L’Italia dov’è?
Per il ministero della difesa a Belgrado, tutto ciò costituisce un segnale molto negativo e minaccia la sicurezza non solo in Kosovo ma nell’intera regione dei Balcani occidentali. Il capo di stato maggiore ha ribadito che la Serbia, in linea con il diritto internazionale, la risoluzione dell’ONU e tutti gli altri accordi sottoscritti, ritiene la KFOR l’unica legittima formazione armata sul territorio del Kosovo. Il generale serbo ha al tempo stesso chiesto che tale Forza internazionale attui il proprio mandato in maniera coerente e imparziale nel rispetto della risoluzione 1244, garantendo un ambiente sicuro e libertà di movimento per tutti, in primo luogo per la comunità serba residente in Kosovo, che Belgrado definisce ‘provincia meridionale serba’.
Una crisi interna favorita da fuori
«Due gli aspetti rilevanti politici e militari che si aggiungono l potenziamento delle capacità militari del Kosovo in un contesto di costante escalation della tensione con Belgrado e di discriminazioni della minoranza serba», per Analisi Difesa. Primo e forse il più grave, il silenzio (almeno per ora) dei governi europei e degli Stati Uniti per la consegna dei droni FPV alle forze kosovare e la diretta violazione degli accordi internazionali. Il secondo aspetto, che ha un peso militare e rischia di influire anche sulla forza della NATO, riguarda il fatto che la consegna delle armi turche è avvenuta in anticipo rispetto alle previsioni ma quasi in concomitanza con il cambio della guardia al comando di KFOR. Dal 3 ottobre l’avvicendamento tra il generale italiano Enrico Barduani e il parigrado turco Özkan Ulutaş. Tempismo della consegna droni armati difficilmente casuale.
Missione KFOR e i 900 militari italiani
La missione KFOR è istituita sulla base della Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza ONU. Il Contingente italiano è il più numeroso, con oltre 900 militari delle quattro Forze Armate. Operativamente, la missione è inquadrata nell’Allied Joint Force Command (JFCNP) di Napoli e per gli aspetti nazionali, fa capo al Comando Operativo di Vertice Interforze.