Sul sistema

Dal blog https://www.lafionda.org

23 Ott , 2025|Francesco Prandel

La storia insegna, ma non ha scolari.

A. GRAMSCI

Si dice che la storia tende a ripetersi,  ma qualcuno ha anche detto che non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume. In effetti la Von der Leyen non è Hitler. I suoi soldati combattono in giacca e cravatta, non con la divisa. Non usano carri armati, la loro postazione è il videoterminale. Non sparano, raggiungono obiettivi. Ma l’obiettivo è lo stesso di un tempo, e il risultato anche: estendere e approfondire l’influenza della Germania sul vecchio continente. La locomotiva d’Europa, i bund tedeschi e tutto il resto.

Che l’obiettivo sia stato raggiunto non c’è dubbio. Chi tra gli abitanti dei “PIGS” (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna) si sente rappresentato dalla bionda signora tedesca, e dallo sciame di burocrati che la servono? Le stelle gialle su sfondo blu non disegnano un svastica, ma l’influenza del nuovo Reich è tale da imporre ingenti spese militari a popoli che ne farebbero volentieri a meno, perché avrebbero bisogno di ben altri investimenti. Non solo: sulla scena della storia torna a riaffacciarsi quella follia che l’Europa ha già conosciuto, e che l’ha spinta a prendersela con la Russia con risultati disastrosi. E questa volta la Russia è armata fino ai denti. Se in passato questo errore si è rivelato grossolano, oggi l’idea di prepararsi a un conflitto con la Russia rivela tutta la vocazione distruttiva della signora con la giacchetta rosa. I russi ci inceneriscono quando vogliono, anche quando avremo ben speso i nostri 800 miliardi.

Eppure, i tamburi hanno preso a rollare, e incalzano ogni giorno di più. È come quando all’orizzonte si accavallano nuvole grigie. Non puoi evitare il temporale, puoi solo cercare di metterti al riparo. “Non si può fermare una frana” diceva Max Plank a Werner Heisenberg nella Berlino del 1933. La macchina che si è messa in moto sembra ormai muoversi di moto proprio. Nessuno, neanche quelli che hanno a disposizione i bunker antiatomici superlusso vogliono seppellirsi vivi a mangiare carne in scatola per dieci anni, per poi uscire e trovare branchi di radio-mutanti che si aggirano tra le rovine del mondo che fu. Eppure, è questa la strada che abbiamo imboccato. Nessuno vuole percorrerla fino in fondo, ma è precisamente quello che ci accingiamo a fare. Chi o che cosa ci spinge verso quel baratro che, anche nel XXI secolo, ci si para innanzi assecondando quella lucida follia che va sotto il nome di “filosofia dell’inevitabilità”?

“Il linguaggio parla” diceva Hegel. Che cosa ci dice il termine “sistema”, che talvolta utilizziamo riferendoci all’attuale assetto del potere? Trattandosi di un termine massimamente generico, forse il suo utilizzo ci dice che non sappiamo bene di cosa stiamo parlando. Fondi d’investimento, oligarchia, neoliberismo, burocrazia, Bilderberg, massoneria, stato profondo, plutocrazia, WEF, sono parole, nomi e sigle che concorrono a dar forma all’idea di “sistema” nell’immaginario collettivo. Che tuttavia resta un’immagine sfocata, poco definita, persino per il complottista più fervente.

La prima volta che vidi “Matrix” lo intesi come un film distopico. L’ho rivisto recentemente,  e m’è parso un film di attualità. Non serve uno spinotto piantato nella schiena, ci pensa il “sistema” a risucchiarci la vita. Per rendersene conto è sufficiente osservare con un minimo di distacco il modo in cui viviamo. La maggior parte delle nostre energie le investiamo nel generatore simbolico del nostro tempo, il denaro. Una cosa che di per sé non serve a niente, ma ha la peculiare proprietà di drenare le nostre energie vitali a favore del “sistema”.

Da qualche tempo avverto, sempre più nettamente, la sensazione di essere in cattività. La cosa mi ricorda la caverna di Platone. Come tigri nate e cresciute allo zoo, abbiamo naturalizzato le sbarre della gabbia. Se arrivasse una tigre catturata nella savana, ci direbbe che questo non è il nostro mondo. Ma le altre ripeterebbero in coro che qui non occorre rincorrere prede, perché ogni giorno arrivano dei gran pezzi di carne. Se ti adatti a fare il numero da baraccone, se sei disposto ad assecondare “la voce del padrone”, il “sistema” provvede ai tuoi bisogni. Che cos’è, dunque, “il sistema”, questa sorta di entità metafisica a fronte della quale ci sentiamo impotenti, e che ci sta conducendo al macello attraverso dinamiche per certi versi analoghe a quelle del secolo scorso?

Il diavolo è stato un tema ricorrente, quasi ossessivo, nei miei ultimi contributi a “La Fionda”. Ma che cosa sarebbe, esattamente, questo diavolo? E perché viene scomodato da chi, come chi scrive, un po’ per indole e un po’ per formazione scientifica non è incline a ragionare e ad esprimersi in questi termini?

La violenza, la sofferenza, la miseria che si dimenano nello spirito del nostro tempo possono essere comprese in termini meramente geopolitici? Secondo me no. A me sembra di avvertire, nel divenire di questo inizio di millennio, qualcosa che è più sottile della volontà di potenza di alcuni, e della servitù volontaria degli altri. Forse questo qualcosa è lo stesso che, in seno al “secolo breve”, Günther Anders ha chiamato “il mostruoso”.

La voracia con cui stiamo divorando l’ecosistema – come a dire, l’impeto con cui seghiamo il ramo su cui siamo seduti – è la stessa con cui questo assetto neofeudale del potere dispensa violenza a piene mani, distribuendo sofferenza a destra e a manca. Questa barbarie, che coinvolge il servo non meno del padrone, la sento come manifestazione di qualcosa di intrinsecamente distruttivo. Distruttivo al punto tale da eccedere ampiamente i perimetri in cui l’umano inscrive tanto la volontà di potenza quanto la docile sudditanza. Distruttivo al punto tale dal darmi l’impressione che il padrone non sia l’Hitler o il Netanyahu di turno, ma qualcuno che essi servono, e che di loro si serve per alimentare la sofferenza.  Servi volontari di quel “Re del mondo” che, a dire di franco Battiato, “ci tiene prigioniero il cuore”. E dal Führer o dal primo ministro in giù la gerarchia della servitù volontaria si dipana alla maniera di un frattale fino a irretire l’uomo della strada. In questa organizzazione verticistica, non a caso del tutto simile a quella militare, risiede a mio avviso l’essenza del “sistema”.

Questa macchina della sofferenza, questa fabbrica che sforma miseria con un’efficienza e una potenza sovraumane, mi portano a collocare, all’apice di questa catena piramidale di “ufficiali di collegamento”, qualcosa di non “ufficiale”. Qualcosa di “mostruoso”, qualcosa che ha un’autentica vocazione alla distruzione e dunque, in ultima analisi, alla divisione.  A questo punto, chiamarlo “diavolo” diventa una scelta banalmente legata all’etimologia del termine, un modo per non dover coniare neologismi.

La più grande beffa che il Diavolo abbia mai fatto al mondo è stata quella di convincere tutti che non esiste.

EDWARD BERNAYS Di: Francesco Prandel

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.