Il neoimperialismo del carbonio

Dal blog https://comune-info.net/

Paolo Cacciari 18 Novembre 2025

Mi devo ricredere. Le Cop (conferenze dell’Onu sul clima) non sono inutili kermes che Greta Thunberg, già quattro anni fa, bollava come: «Bla bla bla. Questo è tutto ciò che sentiamo dai nostri cosiddetti leader. Parole che suonano grandiose, ma che finora non hanno portato a nessuna azione». La Cop di Belem è servita a due cose: offrire visibilità ai popoli indigeni che si sono organizzati per rivendicare il proprio protagonismo nel difendere i luoghi più ricchi di biodiversità e più utili al contenimento del surriscaldamento climatico – foreste, ma non solo: lagune, zone montane, steppe -; secondo aspetto positivo, lasciare a casa Tramp che ha così palesato il suo isolamento dal resto del mondo e il suo menefreghismo per le sorti del pianeta.

Per il resto anche questa Cop ha dimostrato tutta la sua incongruenza. Affidare alle trattative intergovernative il compito di ridurre gli impatti delle attività antropiche sulla biosfera è come spegnere l’incendio con la benzina. Non solo perché le politiche dei singoli stati nazionali sono ormai completamente asservite alle logiche economiche dominate dalle compagnie multinazionali e dai mercati finanziari globali, ma perché le conferenze interstatali spostano l’attenzione dalle cose da fare qui e ora, posto per posto, territorio per territorio, città per città, ad una dimensione planetaria generica, numerica astratta dove nessuno è responsabile e ognuno ritiene che sia qualcun altro a dover fare il primo passo. Su queste basi la “negoziazione” tra i governi si riduce ad una penosa disputa al ribasso sulle risorse che i paesi più industrializzati dovrebbero conferire come risarcimento ai paesi impoveriti più esposti ai colpi del cambiamento climatico. In compenso si discute su come beffare i paesi del Sud globale accaparrando i loro “crediti di carbonio” in eccedenza in modo da poter esternalizzare gli obiettivi di riduzione delle emissioni dei gas climalteranti delle imprese più energivore localizzate nel Nord.

Così come diceva Mark Twain, «Se hai un martello in testa, tutto ti sembra un chiodo», i centri di potere economici e politici non riescono a immaginare un modo per diminuire i gas serra che non sia mettere sul mercato permessi di inquinamento, tanti dollari a tonnellata. I nostri amici indigeni lo chiamano neoimperialismo del carbonio.

Infine, non stupisce il fatto che nessuno sollevi la questione delle emissioni prodotte dagli apparati militari: il 5,5 per cento del totale in “tempo di pace”. Gli eserciti sono esentati dai protocolli e dai trattati internazionali anche solo dal rendicontare le loro emissioni. Si stima che se fossero uno stato sarebbero il quarto dopo Usa, Cina, India e prima della Russia.


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Articolo in spagnolo apparso su Desinformemonos (El neoimperialismo del carbono):

Tengo que cambiar de opinión. Las COP (conferencias de la ONU sobre el clima) no son ferias inútiles que Greta Thunberg, ya hace cuatro años, etiquetaba como: «bla bla bla. Esto es todo lo que escuchamos de nuestros llamados líderes. Palabras que suenan geniales, pero que hasta ahora no han llevado a ninguna acción». La COP de Belem ha servido para dos cosas: ofrecer visibilidad a los pueblos indígenas que se han organizado para reclamar su protagonismo en la defensa de los lugares más ricos en biodiversidad y más útiles para la contención del sobrecalentamiento climático – bosques, pero no solo: lagunas, zonas montañosas, estepas -; segundo aspecto positivo, dejar en casa a Trump que ha revelado así su aislamiento del resto del mundo y su indiferencia por el destino del planeta.

Por lo demás, esta policía también ha demostrado toda su incongruencia. Confiar a las negociaciones intergubernamentales la tarea de reducir los impactos de las actividades antrópicas en la biosfera es como apagar el fuego con gasolina. No solo porque las políticas de los estados nacionales individuales están ahora completamente esclavizadas a la lógica económica dominada por las empresas multinacionales y los mercados financieros globales, sino porque las conferencias interestatales cambian la atención de las cosas que hacer aquí y ahora, lugar por lugar, territorio por territorio, ciudad por ciudad, a una dimensión planetaria genérica, numérica abstracta donde nadie es responsable y todos creen que es alguien más quien debe dar el primer paso. Sobre esta base, la «negociación» entre los gobiernos se reduce a una penosa disputa a la baja sobre los recursos que los países más industrializados deberían conferir como compensación a los países empobrecidos más expuestos a los golpes del cambio climático. Por otro lado, se discute cómo burlarse de los países del Sur global acaparando sus «créditos de carbono» en exceso para poder externalizar los objetivos de reducción de las emisiones de gases que alteran el clima de las empresas más energéticamente ubicadas en el norte.

Así como dijo Mark Twain, «Si tienes un martillo en la cabeza, todo te parece un clavo», los centros de poder económico y político no pueden imaginar una forma de reducir los gases de efecto invernadero que no sea poner en el mercado permisos de contaminación, tantos dólares por tonelada. Nuestros amigos indígenas lo llaman neoimperialismo del carbono.

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