Ve la do io la progressività fiscale!

Dal blog https://volerelaluna.it

18-11-2025 – di: Francesco Pallante

Se la politica italiana avesse realmente a cuore l’interesse generale, da tempo avrebbe preso atto del fallimento delle politiche economiche seguite negli ultimi decenni. La tesi, tutt’ora dominante, che il bene dei ricchi corrisponda al bene dell’intera società – dal momento che favorire chi sta in alto non solo agevola lo sviluppo del sistema economico complessivo, ma opera a vantaggio anche di chi sta in basso, grazie all’effetto sgocciolamento – trova una smentita particolarmente incisiva proprio nell’Italia degli ultimi trent’anni: a fronte di una dinamica economia rimasta sostanzialmente piatta, la forbice delle disuguaglianze si è aperta a dismisura. I ricchi si sono arricchiti come non mai; e continuano ad arricchirsi. I poveri sono cresciuti di numero come non mai; e continuano ad aumentare. L’economia è rimasta bloccata in uno stato comatoso; e non accenna a risvegliarsi.

Eppure, l’intero sistema dei partiti presenti in Parlamento, con l’eccezione di Avs, non mostra moti di ravvedimento. Che la destra stia dalla parte dei benestanti non stupisce (merita, semmai, attenzione critica il cinismo con cui riesce, ciononostante, a guadagnare e mantenere il consenso di parte degli indigenti). Stupisce, invece, l’ostinazione con cui, sebbene attraverso toni differenti, tanto il Pd, quanto il M5S continuano a rifiutarsi di porre, con la serietà che sarebbe necessaria, le questioni della fiscalità e della ricchezza all’ordine del giorno. E persino quando la responsabilità di guidare il Paese è stata affidata a tecnici di grande prestigio e favore mediatico – Mario Monti e Mario Draghi – anch’essi non hanno fatto altro che proseguire le consuete politiche anti-egualitarie, senza che per ciò l’economia ne abbia tratto beneficio.

Sullo sfondo, emerge un doppio tradimento del dettato costituzionale: l’abdicazione della politica dal proprio ruolo di guida dell’economia, sino all’inversione radicale del rapporto tra l’una e l’altra in una patente – e persino rivendicata – sudditanza della politica nei confronti dell’economia; e l’abbandono del principio costituzionale della progressività del sistema tributario, strettamente correlato al contestuale abbandono dell’idea stessa dell’uguaglianza in senso sostanziale.

Le misure a favore dei contribuenti più ricchi contenute nel progetto dell’ultima manovra finanziaria del Governo (https://volerelaluna.it/economie/2025/11/10/la-bufala-del-taglio-dellirpef-per-i-ceti-medi/) sono, in questo quadro, nient’altro che la prosecuzione di quanto già in atto da tempo: in fondo, dal momento stesso in cui fu per la prima volta istituita l’Irpef nel 1974, con trentadue scaglioni e aliquote variabili tra il 10% e il 72%.

Da allora, tale imposta, già di per sé insoddisfacente per via della limitatezza della base imponibile ristretta ai soli redditi da lavoro e da pensione, ha visto la propria portata progressiva gradualmente rattrappirsi, sino all’attuale articolazione in appena tre aliquote, con la minima più che raddoppiata al 23% e la massima quasi dimezzata al 43%. Inutile sottolineare che in tale processo involutivo – così come in tutti quelli che hanno coinvolto i diritti sociali, inattuabili senza risorse adeguate – il centrosinistra non ha segnato un’apprezzabile discontinuità con la destra.

Il risultato è un sistema tributario che oramai per i più ricchi opera con effetti regressivi – in modo tale, cioè, da diminuire, anziché aumentare, il carico fiscale al crescere della ricchezza – con il conseguente enorme afflusso di risorse nei patrimoni di una ristretta cerchia di soggetti.

Sarà difficile riequilibrare la posizione di strapotere di cui costoro si ritrovano oggi a godere se non ricorrendo a forme di imposizione patrimoniale volte a colpire l’ingiustificabile accumulo di questi decenni. Nello stesso tempo, solo la ricostruzione della progressività del prelievo ordinario e la reintroduzione di una credibile imposizione successoria potrà realmente prevenire l’ulteriore aumento delle disuguaglianze.

Facile a dirsi, impossibile a farsi?

Certamente il contesto politico e mediatico non aiuta. Occorre ripartire dai fondamentali. Mettere in chiaro il costo di tutti i diritti costituzionali: meno tasse significa, inevitabilmente, meno diritti. Ma ancor prima, sconfessare la retorica per la quale le tasse aumentano o diminuiscono ugualmente per tutti, come se i contribuenti appartenessero tutti a una sola categoria.Ovviamente, non è così, e anzi: proprio il fatto che i contribuenti appartengono a categorie diverse – vi sono i ricchissimi, i ricchi, il ceto medio, i poveri – è ciò che consente di configurare progressivamente il sistema tributario.

Dire che le tasse sono aumentate o diminuite non significa nulla: decisivo è capire a quali categorie sono state aumentate o diminuite.

Avendo chiaro che se si vuole tornare al disegno costituzionale è necessario operare nei due sensi contemporaneamente: vale a dire, aumentare le tasse ai ricchi e, soprattutto, ai ricchissimi, per potere allo stesso tempo diminuire le tasse al ceto medio e ai poveri.

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