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03 Dicembre 2025 Ennio Remondino
Più guerre più armi e più guadagni per chi la armi le produce, col 2025 ancora incompleto di giorni e di dati, che cercherà certamente di battere tutti i record. Il rapporto Sipri: produttori Usa in testa, ma è l’Ue a crescere di più. Dettagli e valutazioni vaticane e il confronto della Svizzera di neutralità storica

Un mondo sempre più militarizzato
I ricavi delle prime 100 aziende produttrici di armi alla cifra record di 679 miliardi di dollari: una conseguenza diretta delle scelte dei Governi del rafforzamento dei propri apparati militari in un contesto di crisi sempre più diffusa, Le aziende Usa hanno mantenuto una posizione dominante, e ricavi di 334 miliardi di dollari. Ma è l’Europa ad aver scelto l’incremento più significativo, con 26 aziende tra le prime 100 per 151 miliardi di dollari. Due le italiane nella Top 100 con 16,8 miliardi di dollari. Leonardo (al 12° posto, seconda azienda europea produttrice di armi) e Fincantieri (53esima). Più o meno allo stesso livello della produzione armata tricolore anche quella israeliana.
Questi preoccupanti dati Sipri sono comunque precedenti ai piani di riarmo europeo lanciati da Von der Leyen a inizio 2025 e i cui effetti (dunque con aumenti ancora maggiori) si vedranno solo nei prossimi anni.
Vatican News
Oltre i dati dello Stockholm International Peace Research Institute Sipri visti sopra. L’industria bellica delle due principali potenze mondiali, Stati Uniti e Cina. Washington primo polo globale, e sei colossi tra i primi dieci al mondo, ma con una serie di problemi che oltre a rallentare programmi strategici come la produzione di F-35, i sottomarini classe Columbia e il missile Sentinel, rivelano il vero problema americano: l’assenza di un tessuto industriale forte. Un sistema fondato su alta tecnologia e finanza, anziché sulla manifattura, ha prodotto armi sofisticate ma difficili da realizzare su larga scala, oltre ad una grave carenza di lavoratori specializzati, e la dipendenza estera per le materie prime. Anche la Cina sta attraversando una fase di difficoltà. Nel 2024 il fatturato complessivo delle otto aziende cinesi catalogate dal Sipri è sceso del 10 per cento, che ha reso l’Asia-Oceania l’unica regione a segnare un calo complessivo di 130 miliardi di dollari.
Medie potenze e Medio oriente
Di questo stallo sembrano approfittare le medie potenze. La Corea del Sud, con un aumento delle vendite del 31 per cento, sta diventando il principale fornitore dell’Occidente soprattutto grazie ad Hanwha, che invia agli europei artiglieria, sistemi antiaerei e carri armati. Anche le aziende giapponesi, sotto gli stimoli del governo e la pressione nordcoreana, russa e cinese, hanno aumentato il fatturato del 42 per cento. Ma la vera novità del rapporto Sipri è il Medio Oriente. Nove aziende mediorientali rientrano nella top cento. Di più e di peggio: Israele, con 14 miliardi (+14 per cento), pesa da sola per oltre la metà dell’intera regione. Le incerte decisioni politiche per la guerra israeliana a Gaza non sembrano aver frenato gli acquisti di armi, anzi.
Sullo sfondo dell’Ucraina
Le due aziende russe presenti nella Top 100, Rostec e United Shipbuilding Corporation, hanno aumentato i loro ricavi complessivi da vendita di armi del 23 per cento, fino a 31,2 miliardi di dollari, nonostante le sanzioni internazionali. VaticanNews, sulla questione disarmo e pace, cita prima papa Francesco e poi Leone: «l’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa sembra trasformarsi in una corsa generale al riarmo. Più che le strategie di lungo periodo, del dialogo o del compromesso, sembrano contare le urgenze contingenti, la necessità di ribadire la strategia del più forte, di gonfiare i bilanci nazionali». Quelli che Papa Leone XIV, nell’udienza al corpo diplomatico dello scorso 16 maggio, aveva definito «strumenti di distruzione e di morte»: perché così nessuna pace è davvero possibile.
Svizzera sui bilanci armi
Tre esperti ospiti della Radio-tv della Svizzera italiana si confrontato sui bilanci da record dell’industria degli armamenti: «Su questa linea si arriva alla terza guerra mondiale”, ammonisce uno di loro. Per Pietro Batacchi, direttore della Rivista Italiana Difesa, «vista la situazione geopolitica e lo scenario più pericoloso e complesso non è una sorpresa che l’industria bellica europea stia crescendo più velocemente. C’è poi un senso di urgenza. Pensiamo alla Polonia che ha fatto il pieno di acquisti americani, sudcoreani o israeliani». Problemi industriali: Lorenzo Scarazzato, ricercatore del SIPRI e coautore del rapporto: «la riduzione dei budget militari dopo la guerra fredda, ha segnato anche l’industria delle armi. Solo nel 2024 le aziende hanno cominciato ad ampliare le proprie linee di produzione». Il contestato rilancio dell’industriale degli armamenti sostenuto dall’Unione Europea ne è esempio e conseguenza.
Più armi non vuol dire più sicurezza
«Ma più armi non significa più sicurezza», sottolinea Luca Baccelli, professore di filosofia del diritto all’Università di Camerino: «La produzione bellica è probabilmente la principale bolla speculativa in atto. Pronta a sostituire quella dell’intelligenza artificiale quando questa scoppierà. Più armi riducono la sicurezza? Le armi servono a uccidere e sostituiscono le spese in tutta la dimensione dello stato sociale». L’esperto di filosofia del diritto, definisce la corsa agli armamenti: «Una regressione culturale, che si è consumata in questi decenni e che è stata particolarmente accelerata a partire dall’aggressione russa all’Ucraina. Si tratta cioè dell’incapacità di vedere le relazioni internazionali in termini diversi che quelli delle logiche militari e del confronto armato. Ecco, temo che su questa linea si arrivi alla terza guerra mondiale».
L’analisi in cui ci ritroviamo
Tutto ruota attorno all’ipotesi di una prossima aggressione russa contro l’Europa occidentale. Programmi di riarmo, piani di guerra, esercitazioni militari, si istruiscono studenti, si adattano le infrastrutture ai bisogni dell’esercito, si prevedono attacchi ibridi «preventivi» contro Mosca. Senza una sola parola sul perché la Russia dovrebbe invadere i paesi occidentali, impresa che, più che azzardata, risulta impossibile. Salvo ‘una generica volontà di potenza’ attribuita alla personalità di Putin, ma non a una reale considerazione dei fatti.