Dal blog https://www.ariannaeditrice.it
di Pino Cabras – 19/12/2025
Fonte: Pino Cabras
Davvero siete sorpresi che sia iniziata la “character assassination” di Lucio Caracciolo da parte di una muta di botoli bavosi? Io no. Quel che oggi comincia ad accadere in forme gradualmente sempre più vessatorie a carico di molti europei occidentali assimilati a megafoni del Cremlino dalle infrastrutture dell’atlantismo non mi sorprende neanche un po’, perché ho osservato per vent’anni come la caccia alle streghe si era già sviluppata, come aveva sperimentato e affinato i metodi presso popoli usati come laboratorio.
Non mi sorprende dunque che la semenza velenosa della barbarie maccartista e russofoba adesso arrivi qui, ben oliata e ben rodata a Est, già predisposta ad alzare sempre di più il tiro ad Ovest, pronta a prendere di mira con furia distruttiva chi non è disposto a guardare il mondo con il mirino che un tempo era dei “neocon” americani e oggi è del partito del riarmo europeo.
Un riarmo disperato, feroce e spregiudicato, pronto a cannibalizzare in pochi anni quel che resta delle classi medie europee e a rendere irriconoscibili e totalmente disinnescati i diritti sociali e le libertà costituzionali del dopoguerra. Il primo obiettivo di questo grande partito trasversale è rendere impraticabile lo spazio pubblico, costi quel che costi, per chi la pensa in un altro modo.
Vediamo brevemente come si è evoluta questa corsa allo snaturamento dello spazio europeo. Una gran parte di coloro che negli ultimi decenni sono stati definiti “putiniani” in Ucraina, in Georgia e in altri paesi dell’Est non avevano posizioni che giustificassero questa etichetta. Si trattava in realtà di idee politiche di massa il cui orientamento consisteva nell’avere rapporti di buon vicinato con la Russia, basati su convenienze reciproche, complementarità economiche ed energetiche di lungo periodo e accordi di sicurezza stabili.
Personalità politiche e intellettuali, partiti, sindacati, associazioni, testate giornalistiche di quei paesi sono state perseguitate sulla base di un presupposto falso, con una crescente pressione che non ammetteva spettri di colori diversi dal bianco o nero.
Conseguenze: elezioni impedite o invalidate, leader arrestati, canali televisivi e giornali chiusi, partiti di massa aboliti con un tratto di penna, rivoluzioni colorate con il turbo dei dollari, campagne sistematiche di discredito che prendevano di mira la reputazione di stimate personalità che non volevano farsi arruolare nel sempre più implacabile carrozzone russofobo. Fiumi immensi di denaro fluivano dall’agenzia USAID, dal National Endowement for Democracy, dalle fondazioni di Soros, dall’Unione Europea e di fatto hanno mantenuto interi settori parlamentari e una marea di organi di informazione.
Anche in Italia. Oggi sono quelli che urlano più forte contro le interferenze straniere.
Quelli liquidati sbrigativamente con l’etichetta di “filorussi” sono, in realtà, figure politiche che per anni – fino a tempi anche recenti – avevano promosso senza esitazioni l’avvicinamento dei propri Paesi alle grandi architetture occidentali, dall’Unione europea alla NATO. Non si tratta dunque di una conversione ideologica improvvisa o di una simpatia coltivata nell’ombra. È cambiato qualcos’altro, ed è cambiato in modo sostanziale.
Ciò che manda in escandescenze le cancellerie occidentali è il fatto che alcune di queste figure guida abbiano finalmente aperto gli occhi. Si sono rese conto della portata dell’inganno e hanno deciso di non spingersi oltre, rifiutando che l’integrazione si trasformi in una subordinazione totale, priva di autonomia politica e strategica. Un vassallaggio funzionale a un solo obiettivo: trascinare nuovi Paesi dentro un confronto frontale con la Russia, pagando un prezzo economico, sociale e umano potenzialmente devastante. Davanti a loro, masse di cittadini non vedono più un orizzonte di progresso, ma un burrone, e riconoscono nei messaggeri occidentali dei moderni pifferai che li stanno conducendo dritti verso il precipizio.
È in questo quadro che va letto ad esempio il comportamento del primo ministro georgiano Irakli Kobakhidze. La sua posizione è lineare: non intende ripercorrere la strada seguita dall’Ucraina di Volodymyr Zelensky. Non vuole che la Georgia venga trasformata in un avamposto permanentemente ostile alla Russia, in una macchina di provocazione militare e di sabotaggio sistematico di ogni prospettiva di pace. Soprattutto, non accetta che il suo popolo diventi carne da cannone, una risorsa sacrificabile nei piani di guerra elaborati in certi consigli di amministrazione di New York, o a Londra e Bruxelles.
Risultato: l’Occidente europeo mantiene migliaia di militanti (la cui carriera, il mutuo, le vacanze, la vita tutta dipendono dai “nostri” soldi) per cercare di rovesciare dalla piazza il governo legittimo per un anno intero.
Col tempo è diventato sempre più evidente che quello che veniva presentato come un caso isolato, quasi sperimentale, non era affatto tale. L’Ucraina ha funzionato come banco di prova di un disegno molto più ambizioso, pensato per essere replicato su scala continentale. Ciò che si è affermato lì, in forma inizialmente circoscritta, era destinato a propagarsi oltre i confini nazionali, insinuandosi progressivamente nel resto d’Europa come un modello politico da esportare.
Questo schema si fonda su alcuni pilastri riconoscibili: un’ostilità rigida e ideologica verso la Russia elevata a criterio identitario; la messa al bando, spesso brutale, di ogni forza politica che non accetti una linea di conflitto permanente con Mosca; il controllo capillare dello spazio informativo, ottenuto attraverso l’addomesticamento dei grandi media e la costruzione di un ecosistema di giornalisti e testate organici agli apparati di sicurezza anglo-americani; l’istituzione di meccanismi di censura che non mirano più a correggere gli eccessi, ma a esercitare una sorveglianza sistemica sul pensiero pubblico per via amministrativa.
Per capirci: l’analista svizzero Jacques Baud è stato sanzionato con mezzi volti a determinarne la morte civile non da un tribunale, bensì per una decisione maturata dentro la cosa meno spessa del mondo: la corteccia cerebrale di Kaja Kallas.
Una bella prospettiva: le nostre libertà costituzionali affidate a cotanto encefalo.
A tutto questo si aggiunge una radicalizzazione dello scontro politico che considera sacrificabili diritti sociali, tutele del lavoro e stabilità economica pur di alimentare una corsa agli armamenti senza fine. Oggi questo progetto appare per ciò che è realmente: non un’eccezione geopolitica, ma una nuova traiettoria imposta all’Europa, con conseguenze dirette sulla vita quotidiana di centinaia di milioni di persone. Molti ancora non ne percepiscono la portata, ma il risveglio, quando arriverà, rischia di essere traumatico.