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21 Dicembre 2025 Moira Amargi
AL-MUGHAYYIR, CISGIORDANIA OCCUPATA – Sono state rimpatriate pochi giorni fa due cittadine americane, dopo una settimana di detenzione nel carcere di Givon, in Israele. Avevano rifiutato di lasciare una famiglia palestinese alla mercé di coloni e militari, dopo una settimana di aggressioni che quotidianamente la comunità alla periferia di Al-Mughayyir stava subendo. Irene Cho e Trudi Frost sono state arrestate il 12 dicembre; poco prima, i soldati avevano presentato un ordine militare della durata di un mese che sigillava l’area, impedendo di fatto a ogni persona esterna alla famiglia di poter attraversare quel luogo.
Una mossa esplicitamente fatta per impedire agli attivisti internazionali di essere presenti tra quelle colline, un luogo strategico per i coloni, che vogliono creare una linea di insediamenti da Ramallah alla zona sud di Nablus e da lì fino alla Valle del Giordano. L’obbiettivo dei settlers, è la continuità territoriale per connettere i loro avamposti illegali che vanno moltiplicandosi dal 7 di ottobre. E la casa della famiglia di Abu Hamam, nella zona di al-Khalaye, si trova proprio sulla linea di fuoco.

«I coloni vengono ogni giorno» racconta la padrona di casa, Fadda Abu Naim, 59 anni. «Ci rubano le pecore, ci minacciano, cercano di spaventarci. Vogliono mandarci via, così questa terra rimane a loro», dice a L’Indipendente. La sua famiglia vive lì da cinque anni. Dalla casa dove abitava prima, nella Valle del Giordano, erano stati mandati via dai militari, che avevano decretato che quell’area era una “zona vietata” ai civili. Per qualche mese si erano stanziati ad Al-Qaboun, ma poi avevano dovuto spostarsi nuovamente a causa della loro vicinanza a una colonia. Approdati a Turmus Ayya, dopo tre anni avevano deciso di trasferirsi ad al-Mughayyir a seguito dell’escalation delle aggressioni da parte dei coloni nel Paese.
Ora, rischiano nuovamente di essere mandati via. Coloni e militari sono uniti nel comune intento di sfollamento forzato: a volte sono i settlers a disturbare la tranquillità di quel manipolo di case dove abita anche la famiglia Hamam; altre volte, sono i militari in divisa. Ma, ultimamente, la coordinazione tra le due forze israeliane è così esplicita che è difficile da negare.
Fino a due anni fa in tutta la zona vi erano almeno sei famiglie. Gli attacchi dei coloni hanno iniziato a intensificarsi, grazie anche alla costruzione di un nuovo avamposto dall’altra parte della collina. Piano piano, varie famiglie hanno scelto di andarsene, estenuate dalla paura delle aggressioni e delle molestie sistematiche, mentre una è stata sgomberata dall’esercito. L’ultima ha lasciato la casa circa due mesi fa, dopo che uno dei figli, un bambino di 12 anni, era stato quasi strangolato da un colono. Ora ne rimangono solo due.

Fadda Abu Naim, detta Umm Hamam (“Mamma Hamam”), è diventata famosa sui social per un video in cui tiene testa a un colono che cerca di spaventarla. Nel video, la donna non abbassa lo sguardo e non si allontana dal giovane israeliano, forse uno degli stessi coloni che meno di due settimane fa si è introdotto nella sua abitazione di notte e l’ha picchiata insieme al nipote di tredici anni e a quattro attivisti internazionali di ISM (International Solidarity Movment).
Era la notte del 7 dicembre quando 8 coloni mascherati armati di bastoni e mazze si sono introdotti nella tenda dove dormiva insieme ai nipoti. «Hanno iniziato a colpirmi sulla testa, sulle gambe, sulle braccia. È la prima volta che picchiano una donna», racconta, mentre il nipote Riziq, 13 anni, ci mostra dove l’hanno colpito sulla nuca. I coloni hanno poi minacciato la famiglia, dicendo che sarebbero tornati a bruciare le case con loro dentro se non se ne fossero andati entro due giorni. L’attacco dei coloni è avvenuto in coordinamento con un raid militare sul villaggio, che ha impedito ai residenti e ai medici di soccorrere la famiglia.
L’attivista britannica Phoebe Smith, anche lei ferita nell’aggressione e trasportata insieme agli altri all’ospedale di Ramallah, ha dichiarato: «L’attacco fa parte del tentativo in corso da parte delle autorità israeliane e dei coloni di allontanare le famiglie palestinesi dalle loro terre. I coloni e l’esercito lavorano in tandem per creare una realtà che costringerà la famiglia Abu Hamam ad abbandonare la propria terra, e lo fanno con totale impunità e con ogni mezzo necessario».

Ma la storia, non è finita qui. Il giorno seguente, lunedì 8 dicembre, i coloni, sotto la protezione dell’esercito, hanno smantellato dei capannoni di lamiera ondulata appartenenti a una famiglia che da poco aveva lasciato il territorio nella stessa zona. Mercoledì 10 dicembre, coloni e militari insieme hanno cercato di intimidire i solidali e i palestinesi residenti ad al-Mughayyir giunti in soccorso alla famiglia, sparandole contro pallottole vere. Nelle ore successive una ventina di militari ha fatto irruzione nella proprietà dei Hamam, presentando un ordine di zona militare di 24 ore, e ha detenuto per qualche ora un cittadino statunitense e uno australiano.
Due giorni dopo, i soldati si sono ripresentati alla casa della famiglia per notificare un nuovo ordine di installazione di una zona militare “chiusa”, questa volta per un mese. Gli agenti della polizia di frontiera hanno informato i residenti che agli attivisti solidali è vietato rimanere lì perché “causano problemi”. È in quel momento che l’esercito ha arrestato le cittadine americane Cho e Frost, poi rimpatriate.
Se rimanesse sola, la famiglia se ne andrebbe. I solidali internazionali sono presenti da un anno e mezzo nella casa Hamam. Già dopo l’ultima aggressione Fathma, una donna incinta di otto mesi ha lasciato la famiglia e non vive più lì. A resistere, rimangono i genitori, che non vorrebbero andarsene di nuovo dalla propria terra. I solidali internazionali di ISM li accompagnano, così come alcuni ragazzi del paese che vengono a dormire insieme alla famiglia per proteggerla da eventuali attacchi notturni.

La zona in cui si situa al-Mughayyir è strategica. Gli avamposti si stanno allargando, e gli israeliani vogliono costruire una linea di colonie che dividerà la Cisgiordania orizzontalmente, isolando molte comunità palestinesi e rendendo ancora più difficili gli spostamenti. Insieme al villaggio di Turmus Ayya, poco lontano, le due comunità palestinesi hanno subito ripetuti attacchi negli ultimi mesi: oltre a danneggiamenti alle proprietà e aggressioni fisiche, ad agosto è stato l’esercito a sradicare migliaia di ulivi nella parte orientale di al- Mughayyir, su ordine diretto del maggiore generale Avi Bluth, capo del Comando Centrale israeliano. A Turmus Ayya invece sono stati i coloni a tagliare altre migliaia di piante, nella stessa logica di eliminare ogni forma di sostentamento delle famiglie palestinesi per costringerle ad andarsene.
La storia della famiglia di Abu Hamam è solo una tra tante. Ma un buon esempio che racconta la vita di una comunità palestinese che cerca di resistere allo sfollamento forzato nonostante le pressioni di coloni ed esercito, mentre vive sulla propria pelle la velocizzazione del processo di annessione territoriale della Cisgiordania.

Moira Amargi
Moira Amargi esiste ed è una persona specifica, ma il nome è uno pseudonimo, usato quando pubblica report sulla Palestina o dall’interno di cortei e momenti di conflitto sociale a rischio repressione. È corrispondente per L’Indipendente dal Medio Oriente e dai Territori Palestinesi occupati.