Rieducazione globale: perché la mente smette di ribellarsi

Dal blog https://www.labottegadelbarbieri.org/

Redazione

Mario Sommella (*) sull’analisi e le proposte di Luca Casarini.

Ci sono testi che non chiedono di essere “commentati”. Chiedono di essere ascoltati, come si ascolta un rumore di fondo che a forza di stare lì, ogni giorno, smetti di notare. Il post di Luca Casarini funziona così: non è solo un’opinione su un tema, è un tentativo di nominare un processo. La tesi, detta in modo semplice, è questa: non ci stanno soltanto informando male. Ci stanno allenando a sentire meno, a riconoscere meno, a reagire meno. E quando la mente entra in questa postura, la ribellione non viene sconfitta in campo aperto. Si spegne per esaurimento, come una brace coperta di cenere.

L’intuizione di Casarini parte da una contraddizione che molti conoscono: più cerchi di “ragionare bene”, più ti accorgi che quel ragionare viene risucchiato in un grande vortice. Un calderone dove tutto si mescola, dove le parole diventano carburante per la macchina che vorresti fermare. È la sensazione di parlare dentro una stanza piena di eco: qualunque frase pronunci, torna indietro come rumore, si confonde, perde presa sul reale.

L’arruolamento forzato: la trincea mentale

Il primo meccanismo che Casarini descrive è quello che potremmo chiamare arruolamento forzato. In un contesto di “guerra permanente”, l’informazione e la politica smettono di essere luoghi di comprensione e diventano strumenti di schieramento. Il punto non è capire. Il punto è stare “di qua” o “di là”.

Qui la dinamica è quasi fisiologica. La mente umana, sotto stress, cerca scorciatoie. Riduce la complessità, si aggrappa a un’identità, si affida al gruppo. È un istinto di sopravvivenza, non un difetto morale. Ma quando l’ambiente comunicativo viene costruito per innescare sempre quello stato, allora la società diventa una trincea continua. Anche se non vuoi, finisci dentro la guerra. E, come nota Casarini, la guerra contemporanea non ha un solo obiettivo classico come “vincere”. Ha un obiettivo più subdolo: durare, non cessare mai.

Se il conflitto deve essere permanente, l’industria del discorso diventa una catena di montaggio: ogni evento viene trasformato in occasione per polarizzare, ogni dolore in un test di appartenenza, ogni strage in una contesa semantica. È così che lo sdegno si trasforma in tifo, e il tifo in anestesia.

Allontanare dall’essenziale: quando il reale diventa irriconoscibile

Il secondo meccanismo, ancora più profondo, è l’allontanamento dall’essenziale. Casarini insiste su una cosa che sembra quasi ovvia e invece oggi è rivoluzionaria: alcune realtà non hanno bisogno di infinite sovrastrutture. Hanno bisogno di essere riconosciute. Vita, morte, dolore, gioia, odio, amore. Cose elementari, radici dell’umano.

Eppure, proprio lì interviene la macchina di cattura. Non ti impedisce di vedere l’orrore. Ti abitua a vederlo senza sentirlo. Ti porta a un punto in cui l’orrore diventa un oggetto tra gli altri, un contenuto tra i contenuti, uno scorrimento tra gli scorrimenti. La mente, per difendersi, può fare due cose: o collassa, o si indurisce. Il potere, quando è intelligente, scommette sulla seconda.

È qui che la domanda centrale smette di essere “chi ha ragione?” e diventa “che cosa sta succedendo alla nostra capacità di riconoscere l’altro?”.

Il livello materiale: neuroscienze come lingua del presente, con prudenza

Casarini sceglie di parlare il linguaggio del materiale: cervello, circuiti, ormoni, ricompensa, empatia. È una scelta comprensibile: in un’epoca che idolatra la tecnica, dire “non è filosofia, è materia” è un modo per non farsi liquidare come moralismo.

Un esempio che usa riguarda la delega cognitiva. Richiama esperimenti e discussioni sull’orientamento: quando deleghi sistematicamente a un apparato tecnico funzioni che prima allenavi, cambi abitudini mentali. La letteratura sul rapporto tra navigazione spaziale e ippocampo è reale e famosa, inclusi studi sui tassisti londinesi che mostrano differenze strutturali associate a lunga esperienza di navigazione. Il punto politico, però, non è fare anatomia del cervello. È l’immagine: una società che delega sempre, alla fine disimpara. E chi disimpara, dipende.

Ancora più delicato e interessante è il passaggio sulla Schadenfreude, la “gioia per il danno altrui”. Casarini la usa come sintomo e come bersaglio di una rieducazione emotiva: se ti abitui a godere del dolore dell’altro, l’empatia si spegne e la crudeltà diventa normale. Dal punto di vista scientifico, ci sono lavori che collegano la Schadenfreude e i meccanismi di ricompensa, con attivazioni nello striato ventrale in contesti di confronto sociale, soprattutto quando la sventura colpisce persone percepite come rivali o “invidiate”. Anche qui, la lezione politica è chiara: se l’ambiente sociale premia il disprezzo e punisce la pietà, non serve più censurare la coscienza. La si riplasma per rinforzo.

C’è poi un tratto del post che scivola verso affermazioni più controverse, quando parla del cuore come “secondo cervello” e di campi elettromagnetici con effetti interpersonali misurabili. Sono temi molto presenti in divulgazioni specifiche, ma come base “dura” rischiano di essere un punto debole argomentativo se trasformati in certezza universale. In un articolo pubblico conviene trattarli, se li si cita, come metafora potente o come suggestione, non come prova definitiva. Il corpo conta, eccome. Ma proprio perché l’impianto di Casarini è forte, non ha bisogno di appoggiarsi a ciò che può essere contestato facilmente.

Sentire e pensare: la tensione vera, e come trasformarla in forza

Il cuore filosofico del post è una scelta: coltivare il sentire più che il pensare. Casarini arriva perfino a dire che il pensiero, in fondo, “non ci appartiene”, perché siamo dentro flussi di idee che precedono noi.

È una provocazione utile, ma va governata. Perché il rischio è evidente: se il discorso è sempre cattura, allora ogni analisi diventa sospetta e l’unica via resta la testimonianza morale. Bellissima, necessaria, ma politicamente fragile.

E qui è interessante ciò che emerge nei commenti: qualcuno obietta che le neuroscienze possono descrivere conseguenze, ma per capire le cause servono strumenti storici, economici, sociali. È una critica che merita rispetto. Non per mettere Casarini “contro” Marx o “contro” il materialismo, ma per fare una sintesi più robusta: il sentire è la bussola che impedisce la disumanizzazione, il pensare è la mappa per colpire le cause e non restare bloccati sulle sole conseguenze. Se tieni insieme bussola e mappa, allora la resistenza non diventa un gesto solitario. Diventa un progetto.

Un dettaglio che rende attuale la tesi: il lessico ufficiale del potere

Uno degli elementi più forti del post è che non resta nel vago. Casarini richiama un documento strategico statunitense recente, presentandolo come parte di un’operazione culturale, non solo geopolitica. E qui il contesto conta: la Casa Bianca ha pubblicato a inizio dicembre 2025 una nuova National Security Strategy che contiene formulazioni durissime sull’Europa, parlando di rischio di “civilisational erasure”, criticando politiche migratorie e dinamiche europee, e invitando a un cambio di traiettoria.

Che cosa c’entra con la psiche? C’entra eccome. Perché quando parole così entrano nei documenti ufficiali e nel circuito mediatico, diventano cornici. E le cornici non sono neutre: addestrano lo sguardo, decidono chi è “minaccia”, chi è “noi”, chi è “altro”. Su questa scia si è aperto un dibattito in Europa, con reazioni politiche e analisi che hanno sottolineato l’uso di un immaginario compatibile con retoriche identitarie e far right.

L’essenziale incarnato: il gesto umano contro la macchina

Casarini non resta nel concetto. Porta tutto su una domanda semplice e spietata: come mi sento davanti alle stragi, ai bambini morti, ai profughi, ai massacri dimenticati. E chiude con un criterio che taglia via la nebbia: una strage è una strage, uccidere un bambino è uccidere un bambino.

È una frase che oggi fa paura, perché spegne il gioco delle giustificazioni infinite. E, nello stesso tempo, indica una via: restare all’essenziale non significa essere ingenui. Significa rifiutare che l’orrore venga trasformato in una disputa tra tifoserie.

In questo senso, la pratica del soccorso in mare che Casarini racconta non è solo attivismo. È un laboratorio antropologico. Un esercizio quotidiano di riconoscimento: chiamare “fratello” e “sorella” chi il sistema ti chiede di percepire come invasore, rifiuto, scarto. E la formula “noi li soccorriamo, loro ci salvano” dice proprio questo: ci salvano dalla nostra metamorfosi in spettatori freddi.

Lo stesso vale per il riferimento a gesti concreti di coraggio civile. In questi giorni, ad esempio, l’Australia è stata scossa da un attacco armato a Bondi Beach, e la figura di Ahmed al-Ahmed è diventata simbolo perché ha disarmato uno degli aggressori rischiando la vita. È il punto che Casarini cerca: l’umano non è un’idea. È un gesto, un corpo che si muove, una decisione che rompe la passività.

Resistere al programma: tre mosse sobrie, non eroiche

Se trasformiamo l’impianto del post in una piccola pratica quotidiana, senza retorica, restano tre mosse.

La prima è igiene dell’attenzione. Non significa ignorare. Significa ridurre l’esposizione a quelle forme di comunicazione costruite per portarti in trincea, per renderti dipendente dall’indignazione, per tenerti nel binario.

La seconda è allenamento del sentire. Non “commuoversi” a comando, ma recuperare la capacità di riconoscere il dolore come reale, non come contenuto. Riconoscere vuol dire non contrattare con l’evidenza.

La terza è pratica di riconnessione. Fare qualcosa che ricuce il noi, anche piccolo, ma ripetuto. Un gesto che interrompe l’atrofia. Perché l’atrofia non si combatte con un post, si combatte con esercizio.

Conclusione

L’idea più inquietante di Casarini è anche la più utile: il dominio più efficace non ti ordina di diventare crudele. Ti convince che la crudeltà è normale, inevitabile, razionale. E quando ci arrivi, non c’è più bisogno di reprimerti. Ti governi da solo, con una mente stanca e un cuore disabituato.

Restare all’essenziale, allora, non è un rifugio spirituale. È una scelta politica radicale. Significa rompere l’incantesimo prima che diventi carattere, abitudine, destino.

FONTI PRINCIPALI
Luca Casarini, post su Facebook del 17/12/2025: https://www.facebook.com/share/p/1BjDejw6kH/?mibextid=wwXIfr
National Security Strategy della Casa Bianca (dicembre 2025).
Copertura e reazioni europee al documento, Reuters e Guardian.
Studi su navigazione e ippocampo nei tassisti londinesi (PNAS, PubMed).
Neuroscienze di invidia e Schadenfreude (Takahashi 2009, sintesi ScienceDirect).
Cronaca su Bondi Beach e figura di Ahmed al-Ahmed (Reuters, Al Jazeera, Guardian).

(*) ripreso da «Un blog di Rivoluzionari Ottimisti. Quando l’ingiustizia si fa legge, ribellarsi diventa un dovere»: mariosommella.wordpress.com

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