Fine anno amaro: 64 milioni di italiani all’estero ed i giovani non tornano più

Dal blog https://it.insideover.com

Alessio Mannino 25 Dicembre 2025

Fine anno, tempo di bilanci. Ma i bilanci hanno senso se guardano al futuro, non al passato. In Italia, secondo gli ultimi dati ufficiali disponibili che si riferiscono al 2024, i nuovi occupati sono stati 352 mila. Ma l’80% è costituito da persone sopra i 50 anni, mentre gli under 35 risultano appena 67 mila. A rappresentare, però, il vero tarlo nascosto che erode la proiezione in avanti del nostro Paese sono i 156 mila italiani sotto i 40 anni scappati all’estero per crearsi un futuro in proprio. Con una crescita oltremodo significativa di giovani che, contrariamente a quanto avveniva in precedenza, non tornano più. Tricolore definitivamente ammainato in chi, con brutale evidenza, non nutre fiducia nel sistema-Italia in quanto tale

I dati sono impietosi. Stando ai registri dell’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero), al 31 dicembre 2024 i cittadini stabilizzatisi fuori dai confini nazionali erano 6 milioni e 382 mila, di cui più della metà in Europa, e il resto quasi tutto nelle Americhe, specialmente del Sud (Argentina e Brasile). L’emorragia si è sviluppata, fra il 2013 e il 2023, al ritmo di 56 mila espatri ogni anno, per la maggior parte riguardante la fascia d’età fra i 18 e i 34 anni (57%). Dopo un calo dovuto al periodo pandemico, il flusso è risalito fino a toccare la cifra record di oltre 100 mila emigrati, al netto dei 52 mila rimpatri. La tendenza è chiara: la percentuale di chi se ne va diventa sempre più numerosa rispetto a chi fa ritorno. 

La formula in voga parla di “fuga dei cervelli”. È inesatto: si dovrebbe piuttosto parlare di abbandono dei talenti. I laureati, infatti, sono il 31,8%. La maggioranza ha un titolo di studio medio-basso, il che tuttavia non deve indurre a un giudizio snobistico: la manodopera non universitaria ha sempre formato il nerbo dell’emigrazione italiana, le cui potenzialità non si misurano in titoli accademici. Certo, negli ultimi vent’anni è la componente di chi ha una laurea non valorizzata che è aumentata di più: dal 15% al 40% per tutte le classi di età, toccando quota 50% per gli under 39. Chi possiede maggior “capitale umano”, come si dice in gergo economicista, è più propenso a spostarsi dove maggiormente può venire riconosciuto e remunerato. 

Ma la spinta fondamentale è uguale per tutti: la speranza di un reddito più alto, che anzitutto significa buste paga più consistenti ma, soprattutto, chances di ascesa sociale, svincolandosi dalla palude della precarietà sottopagata, mix letale per un progetto di vita degno di questo nome. Non si tratta, quindi, di un esodo da sopravvivenza per povertà assoluta (che pure, va ricordato, è schizzata a livelli impressionanti: sono 5,7 milioni gli italiani, quasi il 10% della popolazione, a vivere sotto la soglia di sussistenza). È semmai lo scivolamento verso la povertà relativa (un altro 10,9%) fatta appunto di lavoro povero, a fornire la motivazione più urgente agli expat. A riprova, il fatto che oggi l’ansia da espatrio colpisce di più chi abita nel Nord e centro Italia, a differenza dell’emigrazione classica dei secoli passati il cui grosso proveniva dal Mezzogiorno. 

Le mete preferite sono europee, visto che l’Unione permette una circolazione più libera e facile. In testa la Germania (12,8%), seguita dalla Spagna (12,1%) e, nonostante la Brexit e la stretta inglese sulle qualifiche professionali, dalla Gran Bretagna (11,9%). Attrattivi restano sempre i Paesi americani, e ultimamente sta facendo breccia l’Australia, che pur a fronte di una legislazione severa sugli immigrati suscita un forte richiamo per la media dei compensi, imparagonabile rispetto a quella italiana (25 dollari l’ora più i contributi pensionistici, salario che se ben gestito, dato l’alto costo della vita, promette un benessere a portata di mano). 

Naturalmente, il sogno di farsi una vita potendosela vivaddio anche godere, senza l’umiliante dipendenza dalle pensioni di genitori o nonni, germina da un senso comune che ormai dà per acquisita una cultura del lavoro che gli italiani stessi considerano sclerotizzata e soffocante.  La retorica sui “giovani” disgusta i diretti interessati, che hanno maturato un pregiudizio negativo ben fondato: concorsi con vincitori annunciati, esami d’ammissione per facoltà a numero chiuso che cambiano regole in corso d’opera, meccanismo para-mafioso di raccomandazioni, nepotismi e  clientelismi eretto a norma diffusa e universale. Senza contare il problema generale del caro-vita inflazionistico al galoppo. Il tutto a comporre un quadro bloccato da neo-feudali rendite di posizione, centrate sul perno, molto italiano, che salva e al contempo causa la paralisi del Belpaese: il familismo (“amorale”, si diceva una volta), con la relativa e ben nota mentalità da clan, da cosca, da consorteria. 

Davanti a questo scenario di auto-estinzione, nella manovra finanziaria in discussione in Parlamento non si trova un solo provvedimento che vada in direzione opposta. Solo un incremento di 20 euro al mese al bonus per lavoratrici madri sotto i 40 mila euro di reddito Isee, e un fondo di 20 milioni di euro per il bonus libri riservato a famiglie con Isee sotto i 30 mila. Unica nota positiva: lo stralcio del taglio al valore del cosiddetto “riscatto della laurea”, ovvero il conteggio a fini pensionistici degli anni passati all’università. Sarebbe stata un’ennesima beffa, per i ragazzi che ancora si ostinano a voler studiare. 

È evidente, a questo punto, che la valenza del patriottismo, della fedeltà alle radici e alla nazione, davanti al fatto bruto di un orizzonte di grame speranze passa inesorabilmente in secondo piano. Trasferendosi in società simili alla nostra per costumi quotidiani e istituzioni politiche, l’emigrato economico italiano non si sente troppo lontano “da casa”. E se poi pensa che la sedicente élite, la striscia sempre più sottile e concentrata di connazionali più ricchi e con professioni di vertice, è la più anziana d’Europa (il 63% ha più di 50 anni), e per soprammercato è pure composta, prevalentemente anche se di poco, da iper-tutelati nel pubblico o, nel privato, da figli di papà e amici dei figli di papà, la rabbia che sale compensa la nostalgia per la patria ingrata. Viva l’Italia. 

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.