Sul capitalismo feroce e i suoi adepti

Dal blog https://www.remocontro.it/

28 Dicembre 2025 Antonio Cipriani

Il poeta e paesologo Franco Arminio, qualche giorno fa, si è stupito di fronte a una vetrina di Brunello Cucinelli scoprendo che normali pantaloni costavano 1200 euro, e il cappotto 10mila euro. Lo ha scritto, mostrando il suo sconcerto. Lo stesso che il barbiere anarchico ha palesato nei suoi occhi quando ha saputo che ci sono posti in Valdorcia dove per dormire paghi 1400 euro a notte. Più del pantalone di Cucinelli. Meno del cappotto, ovvio.

Ma lo sbigottimento è aumentato, mostrandosi interessante anche dal punto di vista antropologico, quando Arminio ha raccontato le critiche che ha ricevuto per aver osato esternare il dubbio sul pantalone pregiatissimo. Come se il poeta avesse commesso il reato grave di lesa maestà del lusso (esisterà come reato? Visti i tempi potrebbero aggiungerlo al reato di criticare il genocidio dei palestinesi da parte dell’esercito israeliano o a quello di fare del puro, semplice e costituzionale, antifascismo).

Sembra evidente che la difesa d’ufficio dei ricchissimi da parte dei meno abbienti sia un classico di questa epoca ottusa. A scendere in campo per la salvaguardia dei diritti inviolabili, direi regali, dei più danarosi, sono proprio quelli come noi (ma diversi da noi e tanto…) che a mala pena arrivano a fine mese, che prenotano una Tac e gliela danno tra otto mesi, che per una visita cardiologica devono aspettare un anno.
A raccontarlo non ci si crede, ma tante persone che votano e vivono in questa società agiscono per garantire costantemente i privilegi dei ricchi anche quando questi implicano un danno per la maggior parte della popolazione. Abbiamo parlato di sanità pubblica, parliamo di scuola: mentre i figli dei difensori del privilegio di pochi a danno di molti vanno nelle scuole pubbliche scalcinate delle periferie, a cui ogni anno tolgono risorse, esistono scuole private elitarie, finanziate dai nostri soldi pubblici.

Perché mai persone che non si rendono conto di niente e accettano passivamente ingiustizie strutturali mascherate da politica non dovrebbero anche preoccuparsi di difendere lo stile di vita dell’élite?

Fa parte della stessa logica. Perché poi, alla fine dei conti, gli stessi difendi-ricconi sostengono che al Potere, in tutte le sue declinazioni, tutto è consentito, perché per decenni hanno sentito le sciocchezze del progresso individualista a scapito della società civile, sulla modernità tecnologica che risolve tutti i mali, sull’impossibilità scientifica e politica, quindi culturale, di pensare a nuovi modi di vita nelle comunità, più giusti o onesti, meno ottusi e schiavi di questo capitalismo feroce e persuasivo.

Il barbiere interviene: non ce l’ho con chi paga 1400 euro per una notte qui da noi in questa valle o per comprarsi un paio di bermuda di cashmere. Ce l’ho con chi pensa che questo sia un modello di sviluppo, con chi pensa che i nostri paesi debbano diventare borghi incastonati in qualche cavolo di immaginario per far felici quelli dell’1% del mondo che sta allegramente fregando il rimanente 99. Che comprino quello che vogliono, senza però che la narrazione retorica spinga il 99% del mondo a ritenere il lusso sfrenato, l’eccesso di potere e denaro come valori etici fondanti. Non lo sono. Si tratta di distorsioni che hanno ricadute prepotenti sulle nostre democrazie in cui persuasione e propaganda viaggiano di pari passo tra media e politica.

Il barbiere, che pur sempre è un anarchico che crede in un diverso, più sano e giusto sistema organizzativo, mentre il capitalismo crea caos, tocca il punto dolente della democrazia stremata dalla cattiveria del neofeudalesimo strisciante che fonde discorsi mediatici e propaganda con la brutalità del controllo e della punizione del dissenso. Dice: vogliamo solo che nella nostra democrazia i ricchi spietati e senza freni non abbiano un peso superiore a tutti gli altri.

Vorremmo che non si diffondesse, più di quello che si è diffuso, il pensiero tossico che le guerre oligarchiche, per razzismo, suprematismo, fanatismo religioso, e sostanzialmente sempre per arricchire i più ricchi e spietati, siano un modello di ingiustizia tollerabile e indiscutibile. Che gli interessi e i profitti dei criminali che sono al potere nel mondo, nella politica, nella finanza, negli apparati militari-industriali, siano prevalenti rispetto ai rischi di guerra che corriamo tutti noi, rispetto ai popoli massacrati, a quelli lasciati morire di fame.

Vorremmo che la nostra politica non fosse supina agli interessi del più forte, ma difendesse i principi costituzionali sacri, agisse per l’uguaglianza di diritti e di doveri, per la libertà di tutti e non per quella senza vicoli di pochi, pagata con una struttura securitaria di sorveglianza e punizione per gli altri.

Vorremmo che sui nostri territori, ancora liberi e belli bellissimi, si smettesse di credere alla sciocchezza retorica dei Borghi incastonati, per riprendere a parlare di paesi, di paesaggio, di un futuro che veda come protagonisti la comunità dei cittadini e non un pugno di privilegiati che ha strumenti e potere per determinarlo per tutti. Prima che sia troppo tardi. Prima che sia irreversibile e che la democrazia sia un vuoto di parole inutili e persuasive al servizio di interessi privati e furbetti di ogni risma.

Già, commenta un astante comodamente in attesa nella barberia. Ma che fare se le comunità sonnecchiano, latitano e fingono di non vedere e di non sapere, sorseggiando un aperitivaccio arancione, seduti su un immaginario cartonato rassicurante?

La battaglia è qui e ora. È sul campo della nostra società civile, nelle scelte di ogni giorno. Restare passivi e indifferenti rafforza i profitti privatissimi di pochi, a scapito delle comunità, oltre un aumento di rabbia e risentimento che sempre l’ingiustizia produce. E accresce il livello di vergogna che proviamo quando i nostri rappresentanti si prostrano davanti ai criminali che reggono con la forza e la minaccia le redini del mondo.

Quindi?

Conclude con una domanda retorica il barbiere. Quindi smetterla di alzare il sopracciglio e alzarsi in piedi e battersi per una causa, anche piccola, è una prima risposta. Più intensa del solito asfittico lamento su quello che non funziona, sempre seduti e inattivi davanti a un drink. E servirà farlo?

Chi lo sa. Sicuramente è meglio che farsi calpestare dai cingoli dei prepotenti e dire che il capitalismo feroce è il migliore dei sistemi possibili, sapendo che invece siamo dalla parte dei peggiori della storia. È un giorno la storia ce ne renderà conto.

Tags:Antonio CiprianiPolemos

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