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30 Dicembre 2025 Ennio Remondino
Il teorema israeliano nelle carte della procura. Legami con Hamas noti dal 1991. Dal 2023 la caccia alle ong che lavorano a Gaza. Le accuse del Mossad. Legittimi sospetti sulla scia del caso olandese, con il dossier costruito dall’Idf

Associazione palestinesi d’Italia
«È stato arrestato soltanto sabato scorso, ma è almeno dal 1991 che il leader dell’associazione palestinesi d’Italia Mohammad Hannoun – 64 anni, residente a Genova dal 1983 – è noto alle autorità», avverte Mario Di Vito sul manifesto. Vecchia di 35 anni fa, infatti, la prima informativa della Digos che parlava dei suoi contatti con la quasi neonata Hamas. La circostanza era stata già affrontata nel 2006 e nel 2010 dal tribunale di Genova e in entrambi i casi le inchieste – le raccolte solidali sarebbero servite a sovvenzionare la lotta armata – sono finite in un nulla di fatto: prima per volere di un giudice e poi su richiesta della stessa procura. Ma adesso però Hannoun non è più un simpatizzante con i suoi contatti di sicuro conosciuti da decenni, «ma il vertice della cellula italiana di Hamas».
Il dopo 7 ottobre
Da quella data, le autorità israeliane hanno inserito nella black list dei gruppi terroristici molte realtà che lavorano nella zona da decenni. Tra cui quelle finite nell’inchiesta cominciata proprio sul finire del 2023 su impulso dell’antiterrorismo Dna e sfociata sabato nell’operazione «Domino», con 6 arresti, 25 indagati a piede libero e due ricercati latitanti.
Il procuratore diventato capo
Nel 2006, una richiesta d’arresto dell’allora sostituto Nicola Piacente viene respinta dal giudice. «Dagli atti d’indagine emerge una certa condivisione degli ideali dell’associazione in questione da parte dell’indagato, ma hanno scarsa validità indiziante le frequentazioni e le manifestazioni di simpatia verso Hamas, anche perché non stupisce che militanti della causa palestinese frequentino esponenti di quello che è il più importante gruppo palestinese», scrive. Dettagli ma non troppo. L’indagine, oltre alle intercettazioni telefoniche che mostravano la «certa condivisione» di cui sopra, non era riuscita a trovare i «gravi indizi» di un finanziamento diretto alle attività di lotta armata. E parliamo di condotte in tutto e per tutto uguali a quelle che hanno portato al recente blitz giudiziario. Secondo dettaglio, forse più grave: l’allora sostituto Nicola Piacente, è oggi capo della procura di Genova, che ha rilanciato le accuse e deciso gli arresti.
Gli stessi fatti letti ora diversamente
Cambia radicalmente la lettura dei fatti e c’entra molto il dopo 7 ottobre del 2023, da quando Israele ha cominciato a trattare le ong della Striscia (e non solo) alla stregua di organizzazioni terroristiche sfruttando il fatto che lavorare a Gaza significa inevitabilmente avere a che fare con Hamas, che lì controlla in maniera totale le istituzioni. Attuare una qualsiasi forma di cooperazione giudiziaria con Tel Aviv vuol dire accettare questa visione delle cose: i palestinesi – e chi li aiuta – sono tutti terroristi. Ed è così che, dalla fine del 2023, Hannoun si è visto ad esempio chiudere i propri conti correnti personali (e quelli delle sue associazioni) per decisione degli istituti bancari dove erano ospitati proprio perché ritenuti fonti di approvvigionamento Hamas. Così, ad ogni modo, si spiegano i tanti contanti sequestrati dalla polizia e della guardia di finanza e i frequenti viaggi in Turchia dell’attivista per depositare questi fondi (oltre 8 milioni di euro confiscati in totale).
Servizi segreti fonti credibili?
La giudice Silvia Campanini che ha convalidto gli arresti fa riferimento a documentazione trasmessa da Tel Aviv per cinque volte tra il 2003 e il 2005 e «altre carte fornite spontaneamente dalla competente autorità di Israele il primo luglio e il 21 agosto del 2025». Sono informazioni d’intelligence in cui si sostiene che diverse associazioni ed enti, tra cui quelle citate nell’inchiesta in corso, non siano altro che «hub per il finanziamento di Hamas». E qui torna utile il provvedimento firmato nel gennaio del 2010 dalla pm Francesca Nanni, che nel chiedere l’archiviazione di un fascicolo per terrorismo che coinvolgeva Hannoun, denunciando «difficoltà, in alcuni casi impossibilità, di utilizzazione del materiale trasmesso da Israele, spesso raccolto nel caso di vere e proprie operazioni militari, peraltro senza l’osservanza dei principi fondamentali che regolano l’acquisizione delle prove nel nostro ordinamento».
La vera partita su questo si giocherà al tribunale del riesame, non prima della fine di gennaio. Con un dubbio chiave: in uno stato di diritto non si dovrebbe prendere per oro colato quello che arriva dall’apparato militare di un paese che sta facendo la guerra.
Caso olandese costruito dall’Idf
In Olanda in corso una vicenda giudiziaria che si intreccia con quella di Mohammad Hannoun. Al centro c’è il caso di Amin Abou Rashed, detto ‘Abou Eenarm’ (“Abou con un solo braccio”, per una menomazione risalente alla guerra civile in Libano): cittadino olandese di origine palestinese e figura di spicco della diaspora palestinese nei Paesi Bassi. Secondo il quotidiano olandese De Telegraaf, il nome di Abou Rashed compare nell’indagine che in Italia ha portato all’arresto di Hannoun e di altre nove persone, alla quale avrebbero collaborato anche le autorità olandesi. Parallelamente, Abou Rashed è a processo a Rotterdam in un caso che, per modalità e capi d’accusa, sembra ricalcare quello italiano.
Dalla Flottilla per Gaza al carcere
Nel giugno 2023 Abou Rashed è stato arrestato al termine di un’indagine condotta dalla Fiod, la Guardia di Finanza olandese. Secondo la magistratura, vi sarebbero indizi che la fondazione da lui guidata, Israa (Internationale Steun Rechtstreeks Aan Armen), abbia fatto confluire tra il 2003 e il 2023 oltre undici milioni di euro verso organizzazioni inserite nella lista europea delle sanzioni per i loro presunti legami con Hamas. Abou Rashed, che nel 2010 aveva partecipato alla Flotilla per Gaza, risulta tesoriere e portavoce della fondazione, ma per l’accusa sarebbe la figura centrale dell’organizzazione. Un elemento comune alle diverse inchieste è il ruolo dell’intelligence israeliana: una parte consistente del dossier olandese, composto da oltre 7.500 pagine, sarebbe stata costruita sulla base di materiale acquisito da militari israeliani nei Territori Occupati.
Prove inaffidabili dallo spionaggio
Proprio per questo, nelle fasi preliminari del processo, iniziato nel 2024, l’avvocata di Abou Rashed, Jill Leyten, ha chiesto al tribunale di considerarle prove non affidabili. La difesa insiste su un punto centrale: il denaro inviato a Gaza sarebbe stato utilizzato per attività umanitarie e non per fini militari, e vi sarebbero elementi probatori a sostegno di questa tesi. Un primo, parziale risultato in questa direzione è arrivato nell’Ottobre scorso, quando il giudice ha dichiarato inutilizzabili alcuni documenti forniti dall’Idf e confiscati a Gaza. Nel frattempo Abou Rashed è stato scarcerato ma, nel giugno di quest’anno, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti lo ha inserito nella lista delle persone sanzionate per presunti legami con Hamas.