Limitare genera prosperità

Dal blog https://jacobinitalia.it/

Ugo Biggeri 30 Dicembre 2025

Se gli accademici di Londra non sono riusciti a prevedere le grandi crisi, potrà forse riuscirci la Londa School of Economics. A Londa, sull’Appennino tosco-romagnolo

In un discorso della Regina Elisabetta II tenuto nel 2008, alla London School of Economics la Regina chiese perché l’Università non avesse previsto la crisi finanziaria del 2008. Se Londra non ha saputo gestire le crisi globali, può forse riuscirci Londa

Oggi, finalmente, tutte le maggiori scuole di economia internazionali hanno corsi su sostenibilità, finanza sostenibile, economia circolare ecc. L’impostazione di fondo, però, rimane la stessa: i cambiamenti pare debbano arrivare per scelta volontaria e magnanima da parte degli attori di mercato, senza di fatto un cambiamento di modello politico o un’idea di riorganizzazione del ruolo di società e mercato.

A partire da questi ragionamenti, nasce la Londa School of Economics, grazie a Lama Impresa Sociale e con il supporto dell’Otto per Mille della Tavola Valdese. La consapevolezza dei limiti impliciti a una scuola che parte in un piccolo Comune dell’Appennino tosco-romagnolo non impedisce alla scuola di avere una visione ambiziosa. Del resto, non lontano da Londa, a Vicchio, oltre sessant’anni fa, la scuola di Barbiana è riuscita a rivoluzionare la pedagogia e anche a essere generatrice di idee per un’economia diversa. La Scuola vuole quindi anche essere un luogo di pensiero e di proposta di economia che sia capace di indicare delle direzioni di un cambiamento significativo dei modelli economici. Per questo ben volentieri rispondiamo all’appello di Jacobin Italia e condividiamo qui alcune delle idee del working paper della scuola, che ancora per qualche mese è aperto ai contributi di tutti.

Londa e non Londra

Se partiamo da Londa e non da Londra, è chiaro che la visione si discosta nettamente dal paradigma della crescita illimitata, della deregolamentazione dei mercati e della depoliticizzazione dell’economia.

Per superare i paradigmi dominanti, è necessario adottare un approccio che parta dalle specificità locali per poi parlare al sistema nazionale e globale. Le aree interne custodiscono un patrimonio di conoscenze e pratiche spesso trascurato, ma che potrebbe offrire soluzioni innovative alle sfide contemporanee. Sono inoltre luoghi in cui il concetto del limite è vissuto quotidianamente e si è costretti a imparare a gestirlo. 

Quindi i luoghi delle aree interne (a cui appartiene Londa) possono essere fonte di ispirazione per modelli economici alternativi e resilienti, veri e propri laboratori di innovazione. Sulla base di queste intuizioni la Londa School of Economics ha elaborato cinque principi per una nuova grammatica economica:

  1. L’economia è prosperità; 
  2. Insieme è meglio; 
  3. Salute è ben-essere; 
  4. La Terra è comune; 
  5. Governare è responsabilità condivisa

I principi evidenziano una visione economica che si apre a tutti gli ambiti della società e dell’ambiente. Presentiamo quindi qui di seguito tre delle dicotomie legate a questi principi che speriamo possano aiutare il dibattito.

Prosperità collettiva vs. profitto individuale

Spostare l’attenzione dell’efficienza economica dal profitto alla prosperità implica la necessità di cambiare il modo con cui si governano le imprese e riscrivere le regole del mercato. La prosperità contiene in sé l’idea del profitto economico, ma lo misura a partire dagli effetti sulla collettività e sull’ambiente. 

Una delle conseguenze fondamentali di tale approccio sarebbe quella della liberazione di spazi dal mercato.La prosperità non può dipenderesolo dal mercato. Il dono, la cura, il volontariato, le auto produzioni, gli scambi non mediati dal denaro, sono azioni economiche e come tali vanno studiate e valorizzate. È anche evidente che alcuni bisogni fondamentali delle persone e della collettività non possono essere soddisfatti in una logica commerciale, meno evidente, ma verificabile, è che anche le attività imprenditoriali possano coesistere e trovare beneficio da interazioni non commerciali. 

Anche nelle attività economiche con scambio di denaro collaborare in modo solidale genera prosperità: l’idea chiave del mutualismo e della cooperazione è che è meglio insieme perché si genera sicurezza, democrazia economica, equità, capacità di fare impresa con obiettivi condivisi e diversi dal solo profitto.

Oltre al mercato esistono quindi altri due ambiti di azione economica: 

  • il livello locale, e anche personale, dell’autoproduzione e della cooperazione;
  • l’economia pubblica finalizzata al soddisfacimento dei bisogni fondamentali delle persone e alla tutela ambientale e quindi alla calmierazione dei mercati.

Entrambi questi ambiti sono sempre più marginalizzati dalle norme e prassi in uso, ma anche da un punto di vista culturale e di visione economica. Per perseguire la prosperità per le persone e il pianeta sarebbe invece fondamentale favorire questi ambiti ricercando e promuovendo innovazione e capacità di indirizzo.

All’interno dei meccanismi di mercato un’altra strada per raggiungere un’economia di prosperità è quella di riformare gli incentivi che muovono gli attori economici. 

Nel linguaggio economico, gli incentivi sono spesso legati ai prezzi, in particolare ai prezzi relativi tra beni e servizi. Ad esempio, se il costo orario del lavoro è significativamente superiore al costo dell’energia utilizzata nella produzione (e prodotta dai combustibili fossili), un’impresa sarà incentivata a sostituire il lavoro con l’energia, ovvero ad automatizzare i processi produttivi. Sebbene ciò possa aumentare la produttività aziendale, può generare al contempo esternalità negative ambientali, come l’aumento delle emissioni di anidride carbonica, e sociali, come l’aumento del tasso di disoccupazione. Dal punto di vista della politica economica, è possibile intervenire su due fronti principali: aumentare i costi delle pratiche e dell’utilizzo di risorse che si intendono disincentivare (principalmente attraverso tasse oppure con l’eliminazione di incentivi o di norme favorevoli); ridurre i costi di quelle che si intendono incentivare (attraverso sussidi, riduzioni fiscali, semplificazioni burocratiche).

Un esempio significativo di norme che favorirebbero la prosperità viene dalle normative europee sul Green Deal. È stato introdotto il principio secondo cui le imprese devono garantire di non determinare danno all’ambiente e alla società in alcuni ambiti ancora in corso di definizione (quelli ambientali sono più definiti: contrasto ai cambiamenti climatici, tutela biodiversità, tutela delle acque ecc.). 

Il principio è quello di Do not significantly harm e implica di misurare e valutare gli impatti dell’agire economico e quindi se necessario cambiare il modo di fare impresa. Si tratta dell’unico esempio di norme su ampia scala che mirano a evitare le esternalità negative delle attività economiche. Nonostante su tale principio non siano state elaborate norme conseguenti per gli inadempienti, o meccanismi di incentivo o disincentivo efficaci, si tratta decisamente di una rivoluzione, anche da un punto di vista delle teorie economiche. Non ci si deve quindi meravigliare che tali norme siano già in via di smantellamento o almeno di forte depotenziamento. Indicano comunque una strada possibile per ridefinire le regole per fare impresa.  

Visione a lungo termine vs. guadagni a breve termine

Privilegiare la solidità finanziaria e la creazione di valore duraturo per la comunità locale implica l’adozione di un orizzonte temporale significativamente più lungo rispetto quello tipico dell’economia di mercato tradizionale, spesso orientata al ritorno sull’investimento nel più breve tempo possibile. La creazione di prosperità collettiva e durevole richiede pazienza, pianificazione strategica e cura continua.  

Sebbene questo principio sia applicabile a qualsiasi impresa, esso assume particolare rilevanza nel settore finanziario. La finanza moderna è spesso dominata dalla logica del profitto a breve termine. Un esempio emblematico e dalle conseguenze fortemente negative è rappresentato dalle pratiche delle società di private equity. Attraverso sofisticati strumenti finanziari e sfruttando vuoti normativi, questi fondi di investimento acquisiscono aziende anche in salute, ne estraggono il massimo valore nel breve periodo (attraverso la riduzione di costi, indebitamento, taglio del personale, distribuzioni eccessive di dividendi) e poi vendono, spesso lasciando le aziende in condizioni tali da compromettere la qualità della vita delle persone. Quando queste pratiche vengono applicate a settori vulnerabili come le case di cura, l’edilizia popolare e i servizi pubblici essenziali, possono generare gravi danni sociali e ambientali, come evidenziato nei lavori di Ballou, e di Corlet Walker e coautori.

La finanza etica rifiuta categoricamente queste logiche predatorie e promuove una riflessione etica sul ruolo complessivo del sistema finanziario. La finanza dovrebbe supportare le attività economiche reali e le comunità in cui queste operano. La finanza etica si basa, quindi, su una visione di lungo periodo, privilegiando investimenti in attività che generino valore reale e duraturo e che possano contribuire al benessere delle comunità e alla salvaguardia degli ecosistemi.

Sarebbe fondamentale recuperare le funzioni sociali da cui la finanza si sta allontanando drammaticamente: favorire un’efficiente allocazione delle risorse economiche a favore dell’economia reale e della capacità di gestione dei nuovi rischi globali ambientali e sociali. 

Oggi la regolamentazione della finanza favorisce gli investimenti speculativi e lontani dall’economia reale a discapito del credito a persone e piccole imprese. In questo modo inoltre determina una forte concentrazione delle risorse e la creazione di monopoli. Pochissimi gestori finanziari e un pugno di banche controllano di fatto le principali imprese del mondo e un mercato dei derivati che drena risorse per una frazione significativa del Pil mondiale. Limitare fortemente l’uso di strumenti finanziari derivati, introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie, incentivare la valutazione degli investimenti nell’economia reale e disincentivare investimenti speculativi o in attività non sostenibili, sono tutte azioni possibili e che libererebbero risorse molto ingenti per un’economia diversa.

Rigenerare l’abbondanza vs. logica della scarsità

L’economia capitalista, pur avendo apparentemente generato abbondanza, ha in realtà invaso il pianeta e le nostre case di oggetti inutili e superflui, prodotti sottraendo risorse ai territori e riversandoli come rifiuti nelle discariche di tutto il mondo. I beni e servizi essenziali, invece, sono sempre più scarsi. La tutela dell’ambiente è stata spesso associata alla logica della scarsità, ma la cura della natura e dei territori è cruciale per la riproduzione della vita sulla Terra, per rigenerare l’abbondanza e per rendere accessibili a un numero crescente di persone beni essenziali come acqua, suolo fertile e aria pulita, nel rispetto dei limiti ecologici. L’abbondanza non si misura in oggetti da acquistare ma, ad esempio in parchi dove giocare con i bambini, trovare riparo dal caldo, trascorrere del tempo senza dover consumare o pagare. 

Il modello della crescita illimitata è chiaramente non sostenibile non solo ambientalmente ma anche socialmente dato che da anni i meccanismi redistributivi della ricchezza si sono inceppati a favore della concentrazione delle ricchezze. Per invertire il meccanismo si può puntare sul concetto di «sufficienza» che non solo evita il sovrasfruttamento delle risorse naturali, ma favorisce la redistribuzione delle risorse. La sufficienza non deve essere vista come un atto volontario, ma come un obiettivo da perseguire attraverso le norme.  

Un’impresa sostenibile non persegue l’espansione continua del fatturato e della produzione come obiettivo primario, ma si concentra sulla stabilità finanziaria, sulla qualità dei prodotti e dei servizi offerti e sulla sostenibilità dei processi produttivi. Inoltre, il valore della redistribuzione implica un approccio diverso alla gestione degli utili. Le imprese sostenibili, anziché distribuire la maggior parte degli utili agli azionisti, investono una parte significativa in progetti sociali, formazione, sviluppo locale e altre iniziative a beneficio della collettività. Tutte queste scelte possono essere incentivate e favorite dalle norme.

Il principio si può applicare in generale alle politiche fiscali: aumentare la tassazione sulle imprese transnazionali, tassare i super ricchi, avere tasse progressive, mettere un tetto alle retribuzioni dei top manager, introdurre il reddito minimo di cittadinanza, detassare le piccole attività economiche ecc., sono tutte misure che vanno contro la logica della scarsità e generano equità. 

Manifesto della Londa School of Economics

Condividiamo infine un manifesto che condensa le idee proposte nei cinque principi del working paper della Londa School of Economics in dieci punti per una nuova grammatica della provocazione economica. Se si scrive «Londa» su una tastiera, il correttore automatico lo considera un errore suggerendo di cambiarlo in Londra o in l’onda. Le idee eterodosse in economia non sono errori, ma le innovazioni di cui abbiamo bisogno. 

  1. Etica come sintassi del fare impresa 

L’idea che l’egoismo e il profitto siano gli incentivi dell’impresa è sbagliata. Non si può separare il fare impresa dalla società e dai territori in cui si inserisce. Fare impresa è un progetto etico da costruire con cura dando valore ai processi, e a soluzioni collaborative.

  1. Finanza è un futuro prossimo

Le risposte sul futuro che vogliamo passano anche attraverso i rischi che la finanza gestisce e le scelte di credito e investimento attuate. Più economia reale e meno speculazione, tanto per iniziare.

  1. Cooperare è un verbo transitivo 

Crediamo nella cooperazione come processo di apprendimento continuo, che arricchisce sia le persone che le comunità. Meglio insieme per scelta, strategia e cultura. 

  1. Prosperità è una finalità di causa

Crediamo nella prosperità come bene comune, perché la vera ricchezza non è accumulare, ma condividere. Scegliamo un’economia da costruire insieme, che alimenti legami, prospettive e futuro condiviso, al di là del solo profitto individuale.

  1. Stare bene si coniuga al plurale  

Crediamo che lo stare bene dipenda dall’«I care», che non ci sia salute psico fisica senza benessere eco sociale, senza relazioni sane, senza sicurezze, senza un destino comune. I soldi sono solo una delle tante sfaccettature.

  1. Salute ha significati multipli  

Scegliamo la salute pubblica e la redistribuzione di risorse a favore di comunità e territori, perché sia veramente un diritto e non una speculazione. Processi partecipativi e approcci integrati garantiscono migliore prevenzione e soluzioni efficaci nell’interesse collettivo. 

  1. Natura come complemento d’unione 

Siamo natura: riconoscere l’interdipendenza tra umanità e ambiente è punto di partenza per coltivare relazioni sinergiche e non gerarchiche. Umano e non umano hanno pari dignità. 

  1. Limitare è un verbo generativo

Porre limiti all’attività economica è il presupposto del contrasto al cambiamento climatico. Saper dire dei no è il cuore della nostra evoluzione culturale. 

  1. Territorio vuole l’articolo (auto)determinativo

Crediamo che la vera forza dei territori risieda nell’autodeterminazione. Non esistono luoghi marginali ma aree marginalizzate: invertire lo sguardo permette di rimetterle al centro come luoghi di sperimentazione e innovazione.

  1. Governare è sinonimo di libertà 

Crediamo che governare sia un atto collettivo: partecipazione, strategie di lungo periodo e politiche pubbliche attente ai desideri e bisogni delle persone valorizzano la complessità dei luoghi e aprono nuove opportunità per amministrarli. 

*Ugo Biggeri, già presidente di Banca Etica, è direttore scientifico della Londa School of Economics. Il working paper da cui trae ispirazione questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del comitato scientifico della scuola: Filippo Barbera, Federico Benassi, Ugo Biggeri (Direttore Scientifico), Chiara Bodini, Nicoletta Dentico, Paola Imperatore, Dario Leoni, Laura Secco, Alessia Zabatino, e da Fiorenzo Polito e Alessandra Zagli. Hanno inoltre dato consigli: Leonardo Becchetti, Mario Biggeri, Francuccio Gesualdi, Sara Horowitz, Adriana Kocornik Mina, Clara Mattei, Peru Sasia, Wolfgang Sachs, Katherine Trebeck.

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