Vandalismo culturale

Dalla pg FB di Giustiniano Rossi

La settimana scorsa l’UNESCO ha inserito, con procedura d’urgenza, nell’elenco del patrimonio culturale mondiale in pericolo le pietre miliari dell’antico Regno di Saba, nello Yemen centrale. I sette siti archeologici testimoniano di “conquiste architettoniche, estetiche e tecnologiche dal primo millennio che precede la nostra era all’arrivo dell’Islam nel 630”. Questo patrimonio culturale mondiale si trova nel governatorato di Marib, che fa parte dei territori più aspramente contesi nella guerra che imperversa in Yemen da quasi otto anni. L’omonima capitale è l’unica grande città del nord del paese controllata dal “governo” illegittimo dell’ex presidente Abed Rabbo Mansur Hadi, sostenuto dall’alleanza militare guidata dall’Arabia saudita e, indirettamente, da USA, Germania e altri paesi “occidentali”.

All’inizio del 2021 gli Ansarollah (Huthi) avevano dato inizio a un’offensiva per la conquista del governatorato, importante strategicamente, considerato la chiave per impadronirsi del sud, dove si trovano gran parte delle riserve di petrolio del paese. Dato che la regione è al centro del fronte, le pietre miliari di Saba non sono state inserite nell’elenco regolare del patrimonio culturale ma, direttamente, sulla lista rossa dei siti in pericolo. Significa che questi ultimi sono riconosciuti come appartenenti al patrimonio culturale mondiale “ma che la comunità internazionale deve essere vigile e impegnarsi in una protezione adeguata”. A causa della guerra, tutti i siti culturali dello Yemen si trovano sulla Lista rossa dell’UNESCO.

Già dopo l’inizio delle ostilità il più importante patrimonio archeologico dello Yemen, Marib, è stato preso di mira dall’Arabia saudita. La famosa diga di Marib, nota anche come “meraviglia dell’Arabia”, costruita più di 2.500 anni fa, era la costruzione tecnicamente più importante dell’antichità. Nel maggio del 2015 caccia sauditi bombardano più volte il sito distruggendo parti della chiusa settentrionale della diga, come riferito da National Geographic. A fame ed epidemie si aggiunge un altro aspetto della condotta di guerra contro la popolazione yemenita da parte della coalizione diretta dall’Arabia saudita: la sistematica distruzione del ricco patrimonio architettonico e culturale dello Yemen, definito spesso un “museo vivente” e dell’identità culturale della popolazione.

Secondo dati dell’osservatorio “Yemen Data Project”, la coalizione ha bombardato 46 siti storici; 52 moschee e 29 centri culturali. “La nostra storia immortale è stata distrutta dalla guerra”, denuncia nel 2018, sulla rivista scientifica “Science”, Mohanad Ahmed Al-Sajani, presidente dell’organizzazione yemenita per i musei e le antichità. Gli attacchi sono parte di una campagna per minare il morale della popolazione. Anche l’archeologa Sarah Japp, dell’Istituto archeologico tedesco, dice che le distruzioni di beni culturali non sono danni collaterali. I militari sauditi hanno ricevuto “informazioni, coordinate comprese, sui siti importanti” come dichiara Sapp a “Science”. Invece che a difenderli, servono a scegliere gli obbiettivi da colpire.

Già nel giugno del 2015 l’archeologa Lamya Khalidi riferisce sul “New York Times” del Dhamar Regional Museum, per il quale ha eseguito scavi in Yemen per più di 10 anni, “ridotto in polvere dalle bombe saudite con i suoi 12.500 reperti”. L’archeologa paragona il comportamento dell’Arabia saudita alla “barbara distruzione di musei e siti archeologici” da parte della milizia jihadista “Stato Islamico” in Siria e in Irak e accusa l’Arabia saudita di “vandalismo culturale”. Gli eserciti “occidentali” applicano una strategia diversa.

A titolo d’esempio, metà dei 15.000 reperti catalogati, rubati vent’anni fa nel saccheggio del Museo nazionale di Baghdad dalle truppe USA, accorse in Irak per ristabilirvi la democrazia, non si sa dove siano finiti…

Giustiniano

3 febbraio 2023

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