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Andrea Guerrizio 01 Febbraio 2023
È stato necessario il viaggio di papa Francesco perché i media dedicassero qualche attenzione alla Repubblica democratica del Congo, dove migliaia di bambini sono sfruttati nelle miniere e dove negli ultimi trent’anni milioni di persone hanno perso la vita per le guerre dell’estrattivismo. Per cosa si combatte? Per per accaparrarsi qualche spicciolo delle ricchezze dirette al nord del mondo tecnologizzato e amante dei diamanti
Si dice che per ogni chilogrammo di coltan estratto nella Repubblica Democratica del Congo (RdC) muoiano due persone. E secondo uno studio dell’Institut d’études de sécurité dell’ottobre 2021, all’estrazione della maggior parte del coltan congolese si dedicano oltre quarantamila bambini e adolescenti. Il sottosuolo congolese è ricco di diamanti (la RdC è al quarto posto al mondo per quantitativi di diamanti estratti), oro (sedicesimo posto), ma ancor più significativa è la presenza di cobalto, rame e coltan, tre minerali sempre più importanti per i processi di produzione tecnologica. Ciononostante, la Repubblica Democratica del Congo è tra le cinque nazioni più povere del mondo secondo i dati UNDP: nel 2021 il 64 per cento circa della popolazione, poco meno di 60 milioni di persone, viveva con meno di 2,15 dollari al giorno. D’altronde, in buona parte proprio a causa di queste immense ricchezze del sottosuolo, è dal 1994 che quasi senza sosta il Paese è scosso da guerre civili e feroci conflitti con Stati confinanti, costati milioni di morti.
Due episodi in particolare della mia esperienza nel Nord Kivu – vissuta con l’allora Settore Educazione alla Pace e alla Mondialità della Caritas di Roma – nel luglio del 2007 mi aiutarono a leggere questi dati, che non sono oggi poi così diversi da allora. Il primo fu quando ricevetti la telefonata che mi consigliava di soprassedere dal viaggio che poche ore dopo io e il gruppo che accompagnavo avremmo dovuto compiere per raggiungere il Centro di Transito e Orientamento per bambini ex soldato il cui progetto stavamo accompagnando: non era “opportuno” partire, due fuoristrada con 8 europei a bordo a quel centro non sarebbero mai arrivate. Il secondo, sul cantiere del futuro ospedale di Bobandana, a qualche decina di chilometri da Goma, dove collaborammo per alcuni giorni con gli operai locali a tirar su qualche muro. Ci vollero diverse ore, forse un giorno intero, per conquistare la loro fiducia: in quel tempo, si leggeva chiaramente nei loro sguardi e nei loro comandi il gusto di poter finalmente avere ai propri ordini otto “bianchi”, che per una volta non avrebbero potuto, né voluto, sfruttarli.
«Questo Paese immenso e pieno di vita, questo diaframma d’Africa, colpito dalla violenza come da un pugno nello stomaco, sembra da tempo senza respiro» ha detto papa Francesco al suo arrivo il 31 gennaio a Kinshasa; aggiungendo poi che «si è giunti al paradosso che i frutti della sua terra lo rendono straniero ai suoi abitanti. Il veleno dell’avidità ha reso i suoi diamanti insanguinati».
Un dramma generato dall’avidità «davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca. Ma questo Paese e questo Continente meritano di essere rispettati e ascoltati, meritano spazio e attenzione». Un gesto forte come un viaggio di una delle poche voci forti che si levano contro le ingiustizie e lo sfruttamento dei più deboli, nella speranza che le luci sul Congo non si spengano ancora una volta subito dopo.