Dalla pg FB di Marco Zuanetti
Dal blog Huffington post
400mila sfollati dopo l’eruzione del Nyiragongo, scosse continue, crepe nel terreno e la paura di potenti esplosioni dal sottosuolo. Il vulcanologo Dario Tedesco all’Huffpost: “Questa è casa mia. Servirebbe essere più furbi del vulcano, ma non abbiamo dati”.“Questa è casa mia” dice all’Huffpost Dario Tedesco, vulcanologo e consulente delle Nazioni Unite, qualche ora dopo essere atterrato a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo.
Qui l’eruzione del Nyiragongo, considerato tra i vulcani più pericolosi al mondo, sabato scorso ha spazzato via interi villaggi, lasciando dietro di sé 34 morti, un numero imprecisato di dispersi e distruzione. Tedesco è di casa in Congo da 26 anni e conosce benissimo la gente e il vulcano: “La situazione è precipitata nel momento in cui è stato emanato un rapporto dove si leggeva che l’eruzione sarebbe potuta avvenire in qualsiasi momento nel centro della città. Le autorità politiche sono state messe spalle al muro, non potevano far altro che ordinare l’evacuazione”.Fa paura il Nyiragongo, ma non solo. Ci sono scosse continue, crepe nel terreno e la paura di potenti esplosioni dal sottosuolo.
Fortunatamente, la lava non è arrivata nella città del Nord Kivu – dove a febbraio scorso hanno perso la vita l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista che li stava trasportando – fermandosi a Buhene, qualche isolato più distante, a trecento metri dall’aeroporto della città, fondamentale centro di soccorso. Così come un importante snodo era costituito dall’autostrada, travolta dalla colata infuocata larga quasi cinquecento metri. “Quello che posso dire è che la situazione è fortemente precaria, la zona non era preparata”.Mancano i servizi essenziali, acqua compresa, e Goma è senza elettricità, completamente al buio.
Circa 3mila case sono state distrutte dalla lava. Ieri sono state evacuate circa 400mila persone, sui 650 mila abitanti di Goma, nella cui area urbana vivono circa 2 milioni di abitanti. Molti sono i bambini sfollati, nella fuga diversi hanno perso i loro genitori, anche se “siamo riusciti a trovarne 530” e di questi “360 li abbiamo riportati dalle loro famiglie”, ha riferito il capo dell’Unicef Jean Meteni alla BBC martedì. L’ordine di evacuazione “rimarrà in vigore” fino a quando “non si potrà escludere un’eruzione sul monte o sotto al lago” spiegano le autorità locali.Le ong tengono alta l’attenzione sull’emergenza che centinaia di migliaia di persone stanno vivendo.
Sono stati organizzati aiuti umanitari per fornire acqua, cibo e altre provviste. Edouard Niyonzima, operatore umanitario di Save the Children a Goma, parla dell’imprevedibilità di una situazione in continuo mutamento, con centinaia di scosse di terremoto che si sono susseguite durante tutta la settimana, non lasciando tregua a una popolazione già allo stremo. Nel Paese vive infatti una delle più numerose comunità di sfollati al mondo, circa 5,2 milioni a cui vanno ora aggiunti quelli che hanno perso tutto durante l’eruzione, rendendo difficilissima una situazione già di per sé complessa da gestire. Dieci dei diciotto quartieri sono stati evacuati mercoledì in seguito a un video ripreso dall’aereo dell’operazione Monusco, la missione di peacekeeping delle Nazioni Unite in Congo, durante la sua ricognizione sopra il cratere, che mostrava la colata di lava spostarsi verso l’aeroporto della città: è stato così lanciato l’allarme ed è scattato l’ordine di allontanarsi dalla zona.
Migliaia di persone si sono spostate 25 km più a ovest, verso la città di Sake, altre hanno attraversato il confine in macchina creando ingorghi sulle strade o navigando il lago Kivu (inizialmente chiuso per la sua pericolosità) o, ancora, a piedi portandosi dietro i pochi averi in cerca di riparo nel vicino il Ruanda. Fenomeno che si è ripetuto all’inverso qualche ora dopo, per approfittare di un momento di relativa tranquillità e provare a recuperare quel poco che rimaneva. Tra coloro che si sono messi in viaggio si contano per lo più donne e bambini, lasciando ai giovani, preoccupati ma più abili e reattivi in caso si dovesse fuggire, il compito di sorvegliare case e attività dallo sciacallaggio, dato il numero esiguo di forze dell’ordine. Le autorità del distretto ruandese di Rubavu si sono attrezzate a ricevere diecimila persone, disposte in tre siti: quello di Inyemeramihigo per ospitarne seimila e di Busasamana e di Nyundo in grado di accoglierne duemila ciascuno. L’Unhcr ne ha costruito uno nel campo di Rugerero, dove i camion scaricano continuamente persone: al momento, secondo le stime di Save the children, ne sono arrivate tremila settecento. Tra questi c’è Jean-Baptiste Kamandwa, di sessantuno anni, da sabato alla ricerca dei suoi cari. “Non riesco a trovare la mia famiglia. So che non sono morti ma che sono solo persi e non so cosa fare.
Domenica sono andato a casa per vedere se erano tornati ma ho trovato solo le macerie di una casa distrutta. Sono tornato ieri in Ruanda, ho passato una notte allo stadio e ho guardato ovunque ma non ho trovato mia moglie e i miei due bambini”, afferma all’AFP.In quello stadio ci è passata anche Alice, di undici anni, prima di arrivare al campo affamata. “Ci hanno dato dei biscotti, ma adesso ho fame”, racconta alla ong esprimendo tutto il desiderio di “tornare nel mio quartiere, nella mia casa”. Tra chi si è messo in cammino per attraversare il confine tra Congo e Ruanda ci sono molte donne ma soprattutto bambini, per il 60%, con indosso solamente dei vestiti. I più fortunati riescono a farlo con i loro genitori vicino, altri sono soli. “Ho lasciato indietro mia madre e mio padre. Ora siamo orfani”, dice una ragazza con un bambino al seguito. “Chiedo aiuto perché non abbiamo più niente, neanche una pentola”.
Non sono pochi però quelli che hanno deciso di rimanere. I giovani per esempio, più agili e pronti qualora si presentasse una fuga improvvisa, e incaricati di sorvegliare case e attività di famiglia dallo sciacallaggio, atto impuro di fronte cui qualcuno si arrende: “So che il mio negozio verrà saccheggiato, ma devo proteggere me stesso e la mia famiglia”, ammette un altro uomo. Tra quelli rimasti, poi, ci sono coloro che non possono mettersi in cammino per le difficoltà fisiche o chi radicalmente non lo accetta, come Herman Paluku. “Non posso mai andarmene da qui in questa situazione. Ne ho vissute tre di eruzioni”, sottolinea riferendosi a quelle più drammatiche del 1997 e del 2002. “Non posso”. Novantaquattro anni, una vita da contadino trascorsa in quelle terre che conosce alla perfezione e di cui si fida. “Resto in città, so di essere in pericolo imminente ma non ho scelta”, gli fa eco Aline Uramahoro, più giovane di lui e titolare di una birreria a Goma. “Me ne andrò quando il vulcano inizierà a eruttare”. L’incertezza in cui regna l’intera area sottostante al Nyiragongo sembra accomunare comunità civile ed esperti. “Ci ha sorpreso alle 19.30. Nessuno ha mangiato, alcuni bambini sono morti. Io ho perso la mia casa, laggiù in fondo. C’erano mia madre, i miei fratelli, le mie mucche. Non capisco più a cosa serva l’Osservatorio vulcanologico”, dice uno dei sopravvissuti all’eruzione di sabato, probabilmente esprimendo il pensiero di molti altri.
Testimoni di un evento drammatico che non si verificava da inizio secolo, quando la lava aveva raggiunto la città soffocando interi quartieri e fu causa della morte di duecentocinquanta persone e di sfratto per altre centomila, rimaste senza casa. Tuoni e scosse di terremoto accompagnano la loro vita da più di una settimana, anche prima dell’eruzione, come a presagire quello che sarebbe stato potrebbe essere, di nuovo, quello che sarà. I vulcanologi locali hanno riscontrato infatti del magma a 2,5 km di profondità e hanno avvertito che un’eruzione del Nyiragongo sotto il lago, accompagnata da una scossa sismica, sarebbe in grado di innescare un rilascio di anidride carbonica dal fondo del lago capace di disperdersi nell’aria che respira la popolazione. Un luogo che solitamente è un’attrazione turistica e che potrebbe trasformarsi in trappola per chi lo abita. Su questo punto, però, il vulcanologo Tedesco si discosta. “Se così fosse, dovremmo evacuare immediatamente dieci milioni di persone –
Goma registra ufficialmente 650mila abitanti, ma le stime parlano di circa due milioni. Non soltanto la città, ma anche tutte le altre della zona perché il gas si estenderebbe per cinquanta chilometri. La situazione è complicata”, continua il vulcanologo che sottolinea l’importanza di osservare i fatti con oggettività. “Sembra una copia dell’eruzione del 2002”. Anche allora l’allarme del gas sottostante preoccupava gli scienziati, poi fortunatamente non avvenne niente di tutto ciò. Ora il problema ritorna, con lo stesso approccio e la stessa paura. “Servirebbe essere più furbi del vulcano, ma non abbiamo dati” per riuscirci. Il generale Kongba ha dichiarato che la città di Goma è stata risparmiata dall’ondata di lava. Ma Goma è una città di grandi dimensioni e la parte nord è quella che ne ha risentito di più, con le case sommerse dalla lava. La città “affronta quattro tipi di rischi: l’accentuazione dei terremoti, una nuova eruzione vulcanica, l’esplosione di sacche di gas sotto il lago e la tossicità dell’ambiente”, ha dichiarato la portavoce del governo Patrick Muyaya durante la conferenza stampa di mercoledì in cui veniva annunciata l’ordinanza di evacuazione, citando quanto gli avevano riferito ma ammettendo come gli scienziati non abbiano “una risposta chiara a ciò che sta accadendo”. Gli esperti hanno monitorato per anni i cambiamenti del Nyiragongo, che dall’altezza dei suoi 11.385 piedi minaccia costantemente la popolazioni.
Eppure, quello di sabato scorso non è stato l’evento più drammatico che il Congo ha vissuto con la sua montagna. Ancor prima del 2002, ci fu l’eruzione del 1977 quando la lava cadde a una velocità pari a 60km/h lungo le pendici uccidendo mille persone. “Neferinite. È questa la caratteristica del Nyiragongo”, dice ad Huffpost Mario Mattia, dell’Osservatorio Etneo dell’INGV. Questa, infatti, rende la lava “estremamente fluida, molto di più di quella dell’Etna o di Stromboli, per capirci”. La pericolosità del vulcano congolese risiede proprio qua: “Spesso le sue eruzioni sono legate allo svuotamento improvviso del lago di lava, che corre a velocità tremende raggiungendo grandi distanze, non lasciando così il tempo per scappare. Sono caratteristiche quasi uniche al mondo.
Nel 2002”, ricorda il ricercatore, “le piogge acide, dovute alle emissioni di gas dell’eruzione causarono la morte di molte persone per malattie terribili”. La popolazione locale, sfruttando l’acqua piovana come fonte di alimentazione, era come se bevesse direttamente anidride carbonica. “Ha causato la fluorosi, un eccesso di fluoro, una malattia terribile che colpisce i denti e le ossa dei bambini, che diventano come vetro”. Queste informazioni sono state raccolte nel corso degli anni ovviamente anche dai vulcanologi locali, che hanno installato diversi dispositivi per osservarlo più da vicino. E allora, come si è chiesto uno dei cittadini, perché il Goma Volcano Observatory (OVG) non è riuscito ad avvertire in tempo dell’imminente pericolo? La risposta non va limitata all’impreparazione degli esperti, che sicuramente non hanno a disposizione tutti gli strumenti necessari per fronteggiare situazioni di questo tipo – alcuni sono stati anche in Sicilia, per imparare e approfondire la materia attraverso i nostri vulcanologi. Piuttosto, bisogna porre l’accento sulla grave instabilità della politica che regna in Congo.
La Banca Mondiale ha deciso di tagliare i fondi all’Osservatorio a causa della corruzione e di appropriazione indebita delle risorse da parte dell’ente che gestisce l’istituto. Il programma di finanziamento quadriennale da due milioni di euro, progetto di cui Dario Tedesco faceva parte, non è stato rinnovato per la mancanza “di esperienza e c’erano dei punti deboli nell’attuazione di una simile sovvenzione”, aveva scritto in un documento l’istituzione internazionale, sottolineando le rigide regole a cui dover sottostare per beneficiare dei suoi finanziamenti. Un anno fa, poi, l’Office for Good Governance and the Fight against Corruption (OBLC) del governo congolese ha deciso di aprire un’indagine che ha portato al sequestro di documenti bancari e fatture emesse dell’OVG. Due settimane dopo, tutto è stato sospeso facendo rimanere l’indagine in una situazione di stallo.
Un limbo nocivo solamente per il Congo e la sua popolazione, che non permette di effettuare i controlli con la dovuta periodicità aumentando così il rischio di esser colti impreparati. Secondo la stazione radio dell’Onu Okapi, erano sette mesi che il vulcano non veniva monitorato. In un articolo della Reuters di inizio marzo, Honore Ciraba, esperto vulcanologo del luogo, affermava che “se non effettuiamo misurazioni regolari e annunciamo l’eruzione pochi giorni prima, la popolazione non avrà il tempo di evacuare e le persone moriranno”.Due mesi e mezzo dopo le sue parole sono diventate realtà e non si tratta affatto di una profezia. I vulcanologi – Dario Tedesco incluso – da anni avvertono su come il Nyragongo sia uno dei vulcani più pericolosi in virtù dell’urbanizzazione che caratterizza l’area e che spinge le persone a vivere sempre più a ridosso delle pendici della montagna, aumentando il rischio di una tragedia. Negli ultimi vent’anni, la popolazione di Goma è triplicata.
Gli esperti avevano notato nell’attività degli ultimi cinque anni del vulcano una somiglianza a quella che si era verificata nel 1977 prima e nel 2002 poi, sbagliando di poco la previsione della prossima eruzione, ipotizzata tra 2024 e il 2027, come avevano scritto in uno studio pubblicato dalla rivista Geophysical Research Letter. A settembre scorso la BBC, ascoltando le parole del capo dell’Osservatorio, Katcho Krume, sul rapido riempimento di lava del lago, si domandava se il vulcano “fosse una minaccia”. Un segnale che secondo lui lasciava presagire un evento simile a quello accaduto sabato scorso nel giro di pochi anni. Un piccolo errore nella tempistica, non nei risultati.
L’instabilità della Repubblica Democratica del Congo, da anni asfissiato da guerre intestine dovute alla conquista di risorse minerarie (nel Paese si trovano alcuni dei più vasti giacimenti di rame, zinco, cobalto, alluminio, oro e diamanti), risentimenti regionali mai sopiti tra parti belligeranti (come Huto e Tutsi, le due comunità della guerra in Ruanda che coinvolse anche gli Stati vicini), estremismi religiosi (gruppi di islamisti hanno rivendicato vari attacchi a scuole e chiese negli ultimi anni), precarie condizioni sanitarie e da una corruzione dilagante nelle istituzioni (il Congo è negli ultimi dieci posti della classifica di Transparency International), ha ripercussioni anche su quella scienza che vorrebbe fare la sua parte e aiutare a prevenire tragedie naturali, ma non le viene concesso. E si rimprovera, come fa Ciraba dall’alto del Nyragongo, seppur certe questioni non possono dipendere da lui. “L’Osservatorio”, afferma, “ha una grande responsabilità per la vita delle persone laggiù”.