di Edoardo Turi
I lettori di “Lavoro e Salute” hanno già avuto modo
di leggere alcuni miei precedenti articoli sulla sanità
del territorio (Anno 37 n.11 novembre 2021; Anno 38
n. 1 gennaio 2022 e n. 2 febbraio 2022),ma la recente
pubblicazione del Decreto Ministeriale n. 77/
2022,comporta un nuovo sforzo di analisi del
tema,riprendendo tuttavia il filo conduttore di quegli
articoli.
Per capire cosa dovrebbero essere le Case di Comunità
(CdC) previste dal Piano di Ripresa e Resilienza
(PNRR) è necessario approfondire una tematica poco
conosciuta: il rapporto tra ospedale-territorio.
Si deve partire da un assunto, sconosciuto ai
più:l’ospedale, è una istituzione millenaria,già esistente
(templi greci ,infermerie militari romane,ospedali dei
regni romano-barbarici) prima delle Crociate,che con
esse si consolida,come luogo di ricovero e ospitalità
per pellegrini,viandanti,commercianti e soldati che
andavano e venivano per il Medio Oriente tra l’XI e il
XIII secolo (1096-1270). Luogo di cura,intesa come
assistenza,riposo,igiene,alimentazione,sicurezza più
che medicina che nel suo significato moderno che
muoverà lentamente i primi passi tre secoli dopo con
la rivoluzione scientifica (1543) e con cui si coniugherà
solo nel XVIII secolo.
La gestione anche da parte di ordini monastico-religiosi-
militari spiega la permanenza ancora oggi di
una terminologia e una estetica militari:reparti di
medicina,chirurgia,ecc.,divisioni uomini-donne,divise
di medici e infermieri, medico di guardia, una forte
gerarchia (primario,caposala).
L’ospedale moderno con grandi investimenti edilizi e
tecnologici è oggi un importante luogo della narrazione
e dell’immaginario collettivo,dove si trova sempre una
qualche risposta ai problemi di salute,celebrato in serie
televisive e momento identitario degli operatori che vi
lavorano.
Il territorio invece non è una istituzione,tanto meno
sanitaria,ma un concetto biologico,geografico,
urbanistico, politico e giuridico che non ha
immediatamente un rapporto con la salute. Per trovare
qualche traccia in tal senso bisogna pensare alle
istituzioni civili nate con i commerci delle repubbliche
marinare (Venezia) e le Signorie (Milano,Firenze) che
istituirono gli “Uffici di sanità” e i “lazzaretti” durante
la pestilenza del 1347 e nelle numerose epidemie
successive.Tali uffici non avevano nessuna cognizione
scientifica del problema,ma avevano collegato la
diffusione della malattia ai commerci via nave,ai ratti,ai
cadaveri e agli oggetti. Essi emettevano ordinanze e
norme: da questi primordi la forte connotazione
“amministrativa” della “medicina territoriale” che
ancora oggi stenta ad avere una fisionomia definita,
specifica e scientifica, permanendo invece una
immagine burocratica e autoritaria di “polizia
sanitaria”.
Rimanendo all’Italia bisogna arrivare a dopo l’Unità
(1861) per avere una prima sistematizzazione delle
norme sanitarie sul territorio con la Legge Crispi-
Pagliani (1888), il Testo unico delle Leggi sanitarie
(1901), rafforzato durante il fascismo (1934) e
l’istituzione del medico e dell’ostetrica condotti
,antesignani del medico della mutua prima e di famiglia/
di base o generale oggi e del consultorio,nonché di
una “sanità per i poveri”, il medico provinciale e
l’ufficiale sanitario. E infine le mutue, sistematizzate
dal fascismo nel 1943.
Certamente l’istituzione ospedale e la medicina
territoriale rimangono ben separate fino ad oggi
nonostante la medesima formazione universitaria degli
operatori o forse proprio a causa di essa. Ancora oggi
il permanere del numero chiuso, l’assenza di materie
come sociologia,economia e psicologia dal corso di
laurea in medicina o la loro parziale presenza nei corsi
di laurea delle professioni sanitarie,la mancanza di
periodi di formazione sul territorio soprattutto per i
medici, l’assenza di una specializzazione universitaria
per i medici di famiglia sostituita da corsi di formazione
triennali in medicina generale affidati alle Regioni e
da queste ai sindacati dei medici di medicina generale.
Ma soprattutto inizia nel passato della storia italiana la
forte dicotomia tra potere centrale: Governo, Prefetto,
Medico provinciale e livello locale (Medico condotto,
Ufficiale sanitario, Sindaco). Il Ministero della sanità
venne istituito solo nel 1958 e fino ad allora la “sanità
pubblica” era gestita dal Ministero dell’interno come
un problema di ordine pubblico. Da qui l’impostazione
“questurina” che la sanità territoriale tende ad assumere
nell’immaginario collettivo (vigili sanitari, ispezioni,
sportelli, code, liste di attesa,pratiche amministrative,
uffici che non rispondono,ecc.).
Il tardivo compimento della rivoluzione industriale
italiana del dopoguerra,il “boom economico”,
l’industrializzazione,l’urbanizzazione,le migrazioni
Sud-Nord, l’inquinamento lavorativo e ambientale,ma
al tempo stesso il miglioramento delle condizioni di
vita e di lavoro (reddito, casa, istruzione, alimentazione,
svaghi) e la conseguente spinta ai consumi, mandarono
in crisi il sistema sanitario preesistente,con l’esplosione
di nuovi quadri epidemiologici:la riduzione delle
malattie infettive e l’aumento delle malattie cronico-degenerative
(cardiovascolari,diabete,tumori,bronchiti
croniche),nuovi rischi per la salute (ambientali,
lavorativi,sociali,stili di vita,solo apparentemente
individuali, ma in realtà fortemente connessi ad aspetti
sociali collettivi) e l’esplosione delle lotte operaie e
studentesche degli anni ‘60 e ‘70. La società capitalistica
ebbe da sempre un grande interesse a combattere le
malattie infettive perché interferivano pesantemente
con il circuito produzione-consumo (come si è visto
anche con l’epidemia da Covid),mentre le malattie
cronico degenerative sono non solo compatibili con
lavoro e consumi,in quanto tardivamente invalidanti
e mortali,ma anzi occasione di nuovi profitti tramite
diagnostica,farmaceutica e assistenza convenzionata/
accreditata.
Questi processi sociali trovarono sbocco in normative
locali e nazionali che fecero da preludio alla Riforma
sanitaria realizzata con la L. n. 833/1978 con cui il
territorio assunse con difficoltà una sua fisionomia:
l’Unità Sanitaria Locale (USL ) e il Distretto trovarono
una prima raffigurazione in un articolo di G.A.Maccaro
nel 1972 “L’unità sanitaria locale come sistema”.e qui
compare per la prima volta il termine “Casa della
salute” come articolazione del Distretto in cui avviene
la partecipazione (G.A. Maccaro,Per una medicina da
rinnovare.Scritti 1966-1976.Feltrinelli.1979).
Il sociologo di area cattolica A. Ardigò già nel 1986 li
definisce un “esperimento sociologico”,il che
testimonia l’attenzione non da oggi del mondo
cattolico democratico a questo tema (La ricerca sociale
34.I Distretti socio-sanitari. Franco Angeli,1986).
Ma come sul Ministero della sanità gravò il passaggio
ad esso di funzionari del Ministero dell’Interno,peraltro
non epurati da elementi e cultura sabaudo-fascista
(come d’altronde in altri settori quali magistratura e
polizia),così le USL furono formate da funzionari
provenienti dagli Uffici del medico provinciale e dalle
mutue disciolte,rallentando e ostacolando il processo
di riforma. Così,tranne le regioni “rosse” (Emilia-
Romagna,Toscana, Umbria),il processo di realizzazione
dei Distretti e di una sanità del territorio fu lenta e
contraddittoria.
La L. n.833/1978 non definiva i Distretti se non come
una articolazione della USL di massimo 200.000
abitanti e “quali strutture tecnico- funzionali per
l’erogazione dei servizi di primo livello e di pronto
intervento”.
Le uniche culture sociosanitarie nuove sul territorio
erano la medicina del lavoro,la psichiatria e l’attività
consultoriale, figlie del lungo Sessantotto italiano, che
muovevano i primi passi con la costituzione dei
corrispondenti servizi. L’ospedale rimaneva nella USL
ma sempre come entità separata.I Medici di famiglia
con l’art 25 rimanevano convenzionati esterni al SSN
(anche se lo stesso articolo prevede la possibilità della
dipendenza dal SSN),come d’altronde le strutture
sanitarie convenzionate e riabilititave (artt. 26,42).Le
Leggi regionali avrebbero poi definito in modo diverso
tra le varie Regioni i Distretti,che per molto tempo
saranno prevalentemente dei poliambulatori.
Il successivo D.Lgs. n.502/1992 prevede i Distretti per
un minimo 60.000 abitanti e con questa
normativa,adottata da un ministro del Partito Liberale
Italiano (PLI),unico partito a non aver votato per la
Riforma sanitaria del 1978,e poi arrestato per
corruzione durante Tangentopoli, inzia il gigantismo
di Aziende Sanitarie (AS) Locali (ASL) e
Distretti,contrario ad ogni forma di prossimità e
decentramento amministrativo propri della cultura
politica della sinistra.
Le ASL accorpano le vecchie USL sino a diventare
provinciali e anche regionali, coprendo ampi
territori,se non come popolazione,senz’altro come
estensione geografica, bacini orografici,collegamenti
ma anche culture e caratteristiche sociali.
Solo con il D.Lgs. 229/1999,caduto il Primo Governo
Prodi, ma con il successivo Governo D’Alema,ministro
della salute R. Bindi, il Distretto ebbe per la prima
volta una sua configurazione precisa all’interno delle
ASL,individuando funzioni e attività,l’assegnazione
di specifiche risorse,definendo il ruolo del Direttore
di Distretto.Questo declinato poi a livello
regionale,sempre attraverso l’autonomia legislativa
regionale,a questo punto rafforzata dalla modifica del
titolo V della Costituzione,introdotta dal Governo G.
Amato nel 2001,che ha aperto la strada ai 21 Servizi
Sanitari Regionali che si venivano
configurando,anticipando l’Autonomia regionale
differenziata.
Sia l’Università Cattolica che L’ Università Bocconi
con il suo CERGAS,da molti anni ormai
dimostrano,non a caso, un grande interesse per i
Distretti del SSN con particolare riferimento alla
gestione delle risorse (Il budget e la medicina generale
con E. Vendramini, McGraw-Hill, 2001),a
dimostrazione della vera operazione di egemonia
culturale in corso da venti anni da parte di queste due
centrali del pensiero unico dominante neo liberale.
Per una panoramica della situazione dei Distretti del
SSN si rimanda all’unica pubblicazione ufficiale (8°
Supplemento al n. 27 di Monitor 2011) dell’Agenzia
Nazionale per i Servizi Sanitari- AGENAS (Agenzia
gestita dal Ministero della salute e dalle
Regioni),Ministero della salute, Università Cattolica e
CARD (Associazione dei Distretti):
”Il Distretto ha subito nel corso degli anni
un’evoluzione che lo ha portato ad essere configurato
come un “sistema integrato di unità organizzative che
interagiscono per realizzare le finalità dell’assistenza
primaria” – recita l’introduzione – “Tale evoluzione
nasce dalla necessità di offrire una risposta più adeguata
a un bisogno di salute in una fase di profonda
trasformazione, in cui il baricentro del Servizio
Sanitario Nazionale (SSN) si va spostando sempre più
dall’ospedale al territorio. Con il D. Lgs. n. 229/1999,
il Distretto ha assunto il ruolo di struttura operativa
dell’Azienda Sanitaria Locale (ASL) deputata a
contribuire alla garanzia dei Livelli Essenziali di
Assistenza (LEA) riferibili al sistema della primary
health care, che si traduce principalmente nella
proposizione, attuazione e verifica del processo
organizzativo di presa in carico istituzionale e nella
realizzazione della continuità assistenziale per pazienti
cronici e con bisogni assistenziali complessi”.
Al fine di comprendere meglio l’evoluzione del
Distretto e in seguito all’indagine svolta negli anni 2005-
2006, l’Agenas nel 2010 ha effettuato – in
collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Roma, la Confederazione delle Associazioni
Regionali di Distretto (CARD) e i referenti di ciascuna
Regione e Provincia Autonoma – una nuova indagine,
con l’obiettivo di ottenere una fotografia aggiornata
della rete distrettuale, affrontando alcuni aspetti
organizzativi connessi ad un’organizzazione complessa
formata da un’articolata rete di professionisti e servizi.
681 Distretti sanitari sul totale dei 711 attivati al
31.12.2009 nelle Regioni e Province Autonome hanno
partecipato alla rilevazione, con un’adesione quasi
totale (96%), consentendo di ottenere informazioni
s.u: caratteristiche generali dei Distretti (contesto
territoriale e caratteristiche organizzative); programmazione e integrazione sociosanitaria nel
Distretto; centralità del cittadino e della comunità nel
Distretto funzioni del Distretto nell’accesso dei cittadini ai
servizi e attori fondamentali dell’assistenza primaria; analisi delle relazioni tra alcuni aspetti salienti
dell’indagine.
Lo strumento adottato per la ricognizione di tipo
censuario è stato un questionario elaborato con la
collaborazione dell’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Roma, successivamente validato da un team
di esperti in materia di assistenza territoriale. Le
domande del questionario sono state strutturate sulla
base di quattro indicatori di collaborazione tra
professionisti all’interno di organizzazioni sanitarie,
secondo il modello D’Amour et al (BMC Health
Si consideri che le cosiddette Cure primarie (medicina
e pediatria di famiglia, ovvero Medici di medicina
generica e Pediatri di libera scelta convenzionati, medicina
specialistica di base convenzionata e dipendente,
incardinati nei bilanci delle Regioni e ASL non come
“personale” ma come “acquisizione di beni e servizi”
al pari di qualunque esternalizzazione,e la sanità
territoriale:vaccinazioni,consultori,ecc.)sono sempre
state al centro dell’elaborazione toscana senza mai
diventare,tuttavia ,una elaborazione ed un modello
nazionale se non nella vicina e politicamente omogenea
Emilia -Romagna (Le case della salute.Innovazione
buone pratiche.A. Brambilla e G.
Maciocco,Carocci;2016. Cure primarie servizi
territoriali.Esperienze nazionali e internazionali. a cura
di G. Maciocco et al. Carocci;2109).
Nel frattempo vengono a mancare su tali argomenti
anche le sedi di discussione nella sinistra
(partiti,sindacati,associazioni):i cosiddetti corpi
intermedi.
Inoltre le regioni Toscana ed Emilia Romagna negli
ultimi anni hanno sempre privilegiato la difesa del
proprio modello,anche nelle molte decisioni della
Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato e le
Regioni,con i suoi molti tavoli tecnici e amministrativi,e
nel rapporto con Governo e Ministero della salute. In
quella sede hanno continuamente concordato
decisioni con le altre Regioni forti del centro-nord a
scapito di quelle del centro-sud,che spesso disertano
le molte riunioni della Conferenza o mandano
funzionari poco esperti o senza indirizzo politico. In
questo anticipando un approccio “leghista” che
preludeva all’ Autonomia regionale differenziata. Si
può spiegare anche così il successo della Lega in regioni
rosse come l’Umbria o amministrate recentemente dal
centrosinistra e oggi passate al centrodestra come le
Marche.
La Casa della salute (CdS) è stata poi prevista dalla
legge Finanziaria 2007 (Legge n. 296 del 2006 – Art. 1,
comma 806, lett. a) (secondo Governo Prodi,Ministra
della salute L. Turco) che ha indirizzato specifiche
risorse, pari a 10 milioni di euro, per la sperimentazione
Service Research 2008; 8:188): governance, rapporti
formali, obiettivi condivisi e vision, rapporti interni.
I risultati sono stati presentati in occasione del
Convegno “La rete dei Distretti sanitari in Italia”
tenutosi a Roma il 30 marzo 2011, e sono stati pubblicati
in un numero monografico di Monitor (op.
cit) contenente, oltre al report finale dell’Indagine,
anche contributi di esperti e di referenti regionali”.
§Anche la Regione Toscana nei primi anni 2000 con
le Aree Vaste accorpa a sua volta le ASL provinciali tra
loro,al fine di centralizzare alcune procedure
amministrative (acquisti,concorsi,ecc.),mitigando
questo processo con le Società della salute: un tentativo
di istituzionalizzazione formale del rapporto Distretto-
Comuni nel quadro della integrazione socio-sanitaria.
Ed è in questo contesto che B. Benigni,già
amministratore locale del Partito Comunista Italiano
(PCI),nella consapevolezza che il nuovo gigantismo
delle ASL non avrebbe fatto bene alla sanità
territoriale,in un convegno del Sindacato Pensionati
Italiani (SPI) CGIL del 2003 “Le cure primarie,la casa
della salute” propone un’ “idea semplice”,come la
definisce lui stesso,ma che dopo molti anni riprende
il concetto di “Casa della salute” usato nel 1972 da G.
A. Maccacaro: “il Distretto si
configura,positivamente,come sede idonea per le
funzioni di programmazione,ma rischia di
essere,negativamente,un’area di accentramento delle
prestazioni in luoghi distanti dai cittadini,vanificando
il principio di prossimità e dalla agevole accessibilità
alle sedi di erogazione” (B. Benigni. La casa della
salute.Roma,SPI CGIL;2003) e ancora” un Distretto
grande…ha bisogno di articolarsi in aree elementari
,più ristrette,sub distrettuali (da 10 a 30000 abitanti),per
consentire di risolvere i problemi della integrazione
operativa nell’unità di spazio e di tempo e della
partecipazione diretta dei cittadini” (B. Benigni,La casa
della salute:idee di progetto.Firenze,Alinea;2007).
sanitaria.Scelta che si è pagata durante la pandemia da
Covid e che ha costretto le Regioni e le ASL a molti
convenzionamenti con il privato.
Ma per capire come si passa dalle CDS alla Case della
Comunità (CdC), bisogna leggere nei tipi della casa
editrice Derive-approdi ben due libri pubblicati sulle
CdS,dove,in una collana di riferimento per l’area
“antagonista” si ritrovano inspiegabilmente sacerdoti
cattolici, la Federazione Italiana Aziende Sanitarie e
Ospedaliere (FIASO), la Bocconi,un
ex Ministro della salute,Direttori
Generali ASL, un ex Assessore e
Deputato,e che,riprendendo il nome
dell’ associazione “Prima la
comunità”, Presieduta da Don V. Colmegna, cui partecipa L.
Turco,lancia il nuovo marchio (Famiglia cristiana 31/12/2020),più
ambiguo, ma consono al terzo settore
no profit (Salute partecipazione
democrazia.Manifesto per una
autentica casa della salute.Derive
Approdi.2018).
I finanziamenti del PNRR per le CdC
sono solo per ristrutturazioni di
strutture pubbliche,informatica e
attrezzature sanitarie e senza
assunzioni di personale nel SSN è
molto probabile che le CdC siano
oggetto di interesse del privato, dai
MMG organizzati in società anche
cooperative, al privato sociale.
Un caso? No di certo. La salute in
CdS è un termine con una definizione
chiara sia che si prenda la nota
formula dell’organizzazione Mondiale
della Sanità (OMS) del 1948 che la
più recente del 2011: la “capacità di
adattamento e di autogestirsi di fronte
alla sfide sociali, fisiche ed
emotive”,evoluzione del vecchio
concetto di salute del 1948 che
prevedeva la salute come “uno stato
di completo benessere fisico,
mentale, psicologico, emotivo e
sociale”. Oppure quella del medico
igienista A. Seppilli del 1966: “La salute è una
condizione di armonico equilibrio, fisico e psichico,
dell’individuo, dinamicamente integrato nel suo
ambiente naturale e sociale”.
Ma la comunità? Essa è parola più complessa ed
ambigua a seconda dei contesti socio,economici
,sociologici o religiosi in cui si inserisce. Ma ritornando
al citato intervento su Famiglia Cristiana (2020) ,
sembra leggersi il tentativo ,da parte del mondo
cattolico,di riprendere una egemonia persa in campo
sociale e sanitario dopo la lunga egemonia della sinistra
successiva al duraturo Sessantotto italiano, operaio,
studentesco e femminista, per oltre due decenni.
del modello assistenziale CdS. Con il Decreto del
Ministero della Salute del 10 luglio 2007 sono state
poi emanate linee guida per l’accesso al
cofinanziamento ai fini della sperimentazione
progettuale delle CdS quali strutture polivalenti in
grado di erogare in uno stesso spazio fisico prestazioni
socio-sanitarie integrate ai cittadini”. Decisione tuttavia
non obbligatoria demandata alle Regioni che si sono
comportate molto diversamente come emerge
impietosamente dal Documento della Camera dei
Deputati,XVIII legislatura (Documentazione e
ricerche.Case della salute e ospedali di comunità:i
Presidi delle cure intermedie.Mappatura sul territorio
e normativa nazionale regionale. N. 144, 1/3/
2021),sintetizzata nella tabella che segue. Senza
considerare che le CdS sono state spesso anche la
riconversione di presidi ospedalieri chiusi con la
politica di riduzione dei posti letto per tagliare la spesa
D’altronde la sinistra negli ultimi anni,egemonizzata
dal pensiero unico dominante neo-liberale, ha ceduto
volentieri alla Chiesa cattolica le tematiche sociali,
favorita dal pontificato Bergoglio: povertà,
immigrazione, pace,ambiente. Per pagare pegno
immediatamente dopo sul piano dei diritti civili (fine
vita, aborto, sessualità) e, naturalmente, scuole
private,sanità accreditata/convenzionata e terzo settore
no profit.
Tuttavia la parola comunità ci interroga: ha la stessa
origine etimologica di comunismo, comunione,
comune, tutti termini cari alla sinistra, che però mai ha
approfondito la identica etimologia: dal latino
commùnitas ‘società, partecipazione’, derivato di
commùnis ‘che compie il suo incarico insieme’,
derivato di munus ‘obbligo’, ma anche ‘dono’, col
prefisso cum-.un onere condiviso, splendidamente
ambiguo: perché il munus è l’obbligo ma anche (e
secondo alcuni è il significato più antico) il dono, il
favore, l’offerta in voto.
«Le società hanno progredito nella misura in cui esse
stesse, i loro sottogruppi ed infine i loro individui
hanno saputo rendere stabili i loro rapporti: donare,
ricevere e infine ricambiare. Per cominciare è stato
innanzitutto necessario deporre le lance. Solo allora
è stato possibile scambiare i beni e le persone, non
più soltanto tra clan e clan, ma anche tra tribù e
tribù, nazione e nazione e, soprattutto, tra individuo
e individuo.»
(Marcel Mauss,Saggio sul dono.1923).
In questo senso il cambio di nome appare preoccupante
perchè con il “ricambiare” obbliga chi riceve.
Comunità è un termine caro anche alla destra
neofascista che la intende “organica” (Totalità sociale
e comunità organica. Editore Gruppo di AR.1982;la
casa editrice fondata nel 193 da F. Freda neofascista già
Movimento Sociale Italiano-MSI e poi fondatore del
Fronte Nazionale implicato e condannato in numerose
stragi n.d.r.).
Z, Bauman, mostra l’avvenuta dissoluzione delle
“vere” comunità e il tormento e supplizio di dover
vivere attanagliati dall’insicurezza,anelando però
sempre alla comunità ideale,sognata.Ma la comunità
reale può essere ben diversa:in una comunità si cerca
libertà e sicurezza,ma avere entrambe non è possibile
(Z. Bauman.Voglia di comunità,Laterza,2003).
Lo stesso Comune, e il Sindaco,come autorità sanitaria
locale,è oggi il mediatore tra interessi che attraversano
la comunità contrapponendo più comunità tra loro e
al loro interno dentro quella conflittualità sociale
alimento della democrazia.
La Costituzione stessa all’art. 23 parla di collettività:
”La Repubblica tutela la salute come fondamentale
diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
Inoltre la CdC sembra rafforzare un’idea,già insita nell’
ospedale, che debba trovare risposta nella sanità tutto
ciò che la società non riesce a risolvere
altrove:vogliamo che esista il pronto
soccorso,ma,come i vigili del fuoco, non vorremmo
che operasse mai. Eppure vi arriva, come un matraccio,
tutto ciò che la società capitalistica produce o non sa
risolvere: infortuni sul lavoro,incidenti stradali e
domestici,violenza di genere,overdose o crisi di
astinenza da sostanze di abuso,episodi acuti evitabili
di patologie croniche.
Prevenire,cioè agire sui determinanti sociali di salute,
non può essere un compito della sola sanità,ma la salute
come tema intersezionale e la prevenzione dovrebbero
entrare in tutte le politiche istituzionali:la spesa per la
salute e la prevenzione come incomprimibili e come
investimenti. Invece è la spesa sanitaria che diventa
incomprimibile in quanto il privato guadagna in questa
mancata prevenzione,ora anche spostando gli interventi
della medicina riparativa dall’ospedale sul territorio e
le sue comunità,evitando i costi della prevenzione nei
settori della produzione e del consumo,dove avviene
la massima accumulazione di capitale.
Il “Libro azzurrro per la riforma delle cure primarie in
Italia.Applicare il modello della Primary health care”
(A. Panaja et al.) nel 2021 riprende e sistetimatizza le
elaborazioni toscane e confessionali sopra
citate,largamente riportate nella bibiografia, omettendo
però ogni riferimento a G.A. Maccacaro e B.
Benigni,quasi a depurarle di ogni ascendenza radicale
e di sinistra e senza mai citare non caso il SSN e le
ASL,se non in un link che riporta alla citazione delle
principali normative e in cui la Riforma sanitaria è
datata erroneamente al 1979 anziché al 1978.
Così per la prima volta nel Piano Nazionale di Ripresa
e Resilienza (PNRR) compare la denominazione “Case
della comunità” al posto di CdS,l’ospedale di comunità
e la Centrale Operativa Territoriale (COT), senza che
nessuna sede scientifica,istituzionale,politica o
sindacale ne avesse mai discusso prima. Come si è già
scritto su Lavoro e salute:ingegneria istituzionale
tecnocraticamente calata dall’alto per imporre in modo
surrettizio una quarta riforma della sanità,
approfittando dello shock prodotto dall’epidemia (N.
Klein. Shock economy,2007) e la fretta di acquisire i
finanziamenti,non certo a fondo perduto, dell’Unione
Europea.
Infine il 23/5/2022 vede la luce il Decreto del Ministero
(DM) della salute n. 77 di concerto,ma guarda un
po’,con il Minsitero dell’economia e finanze (Gazzetta
Ufficile anno 163°-Numero 144 del 22/6/2022) ,il vero
Ministero che ha governato la sanità negli ultimi venti
anni.
Il testo del DM è breve ma il corposo Allegato 1
riprende pedissequamente il Documento AGENAS
(Agenzia cogestita da Ministero della salute e Regioni),
benché sia ignoto il gruppo di lavoro che lo ha
redatto,farto salvo un’anticipazione sulla rivista
Monitor dell’Agenzia stessa,già noto ai lettori di Lavoro
e salute.
Colpisce nelle premesse del DM il riferimento alle
“mancate intese” nell’ambito della Conferenza
Permanente Stato Regioni e la necessità di intervenire
con delibarazione motivata da parte del Consiglio dei
Ministri se l’intesa non viene raggiunta entro trenta
giorni e la mancanza di ogni riferimento normativo
sia alla L. n. 833/1978 che al D.Lgs. n. 229/1999.
Ma venendo al merito dell’Allegato 1,si specifica che
ha solo valore descrittivo ,quindi non obbligatorio
per le Regioni, sebbene si chiarisca che la sua
attuazione sarà valutata nel tavolo dei Livelli Essenziali
di Assistenza (LEA),ma soprattutto la sua attuazione
dovrà avvenire “senza nuovi o maggiori oneri per la
finanza pubblica” ad eccezione dei finanziamentii del
PNRR,che però nulla prevedono per il personale.
L’Allegato 1 (Modelli e standard per l’Assistenza
territoriale nel SSN) descive con dovizia di particolari
come dovrà essere la CdC e cosa dovrà fare,ma senza
alcun riferimento alle CdS,che così scompaiono (o
convivono viste le normative regionali esistenti) con
le CdC, ma sembrano in realtà la loro dettagliata
evoluzione.Senza alcuna riflessione sul loro fallimento
e le criticità non risolte dal modello tosco-emiliano,
con una summa di tutte le pratiche che comunque
sono prassi abituale consolidata in molte Regioni e
nei Distretti,afflitti fondamentalmente dalla carenza di
personale e dalle conseguenti esternalizzazioni e
convenzionamenti/accreditameni con il privato profit
e nonprofit,a partire dall’assitenza domiciliare e dalla
neuropsichiatria infantile come previsto dalla stessa
Conferenza Unificata Stato Regioni.
Un Documento scritto nelle chiuse stanze
dell’AGENAS e del Ministero della salute senza nessun
confronto con chi quei temi vive quotidianamente sul
territorio tanto evocato e così diverso dal Trentino
alla Sicilia:perchè dovrebbe esservi la soluzione di
problemi irrisolti da decenni? La medicina di
popolazione, la sanità di iniziativa, la stratificazione
della popolazione e il progetto di salute sono il quadro
metodologico in cui viene inserito il Documento.
Tuttavia non si fa nessun riferimento al Chronic Care
Model,ampiamente descritto nella letteratura
scientifica internazionale (Il Chronic Care Model-CCM
è un modello di assistenza medica dei/delle pazienti
affetti da malattie croniche sviluppato da Wagner e e
colleghi del McColl Insitute for Healthcare Innovation,
in California.Wagner HC. The role of patient care teams
in chronic disease management. BMJ 2000;320:569-
72.Wagner HC, Austin BT, et al. Improving chronic
illness care: Translating evidence into action. Health
Aff 2001; 20(6): 64-78),e alla citata esperienza toscana
nochè alla sua trasferibiltà in altri contesti e per cui
manca ancora una robusta valutazione di efficacia in
Italia.
Mentre si introduce l’approccio olistico della “Planetary
health” che con “One health” rappresenta il nuovo
approccio culturale dell’OMS sucessivo alla persistente
pandemia da Covid. E tuttavia la sua origine dovrebbe
preoccuparci: nel 2015 la Rockefeller Foundation sulla
prestigiosa rivista The Lancet,tramite un Commissione
congiunta,ha lanciato questo nuovo concetto (The
Lancet,VOLUME 386, ISSUE 10007, P1973-2028,
NOVEMBER 14, 2015). Mentre il Governo con il
PNRR lancia il Sistema Nazionale Prevenzione Salute
dai rischi ambientali e climatici.
Non c’è dubbio che la sinistra in Italia,dopo essere
stata ideatrice di elaborazioni e motrice di prassi
originali in sanità a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70 del
Novecento,da tempo ormai si limita ad introdurre e
proporre i termini propri del mondo anglosassone
dai Diagnosis Related Group (DRG delle assicurazioni
USA per valutare e remunerare l’assistenza
ospedaliera,alla ormai apparentemente tramontata
Clinical Governance sino alla Evidenced Based
Medicine (EBM,medicina basata sulle provedi
efficacia).
Numerosi nel Documento i riferimenti ai modelli
organizzativi previsti dagli Accordi Collettivi Nazionali
(ACN) per la medicina generale (AFT, UCPP),senza
alcuna valutazione sul loro reale funzionamento
(introdotte in realtà più per giustificare incentivi
economici),soprattutto con un numero di 1500 assistiti
(oggi arrrivato a 1800) che servono ad aumentare la
retribuzione basata sul numero degli assititi,per cui ?
(1000) non verranno mai visti e il restante ?
(500),probabilmente anziano ed affetto da una o più
patologie, non potranno mai essere seguiti
proattivamente e personalizzato sia con il modello
attuale che con quello proposto (Progetto di
salute,Piani di Assistenza Individuale-PAI ,Piani
Riabilitativi Individuali-PRI fosse anche tramite la
Telemedicina).
Ma veniamo alle CdC. Una CdC Hub (mozzo) ogni
40-50.00 abitanti mentre nessuno standard n/abitanti
è previsto per quelle Spoke (raggio),formate
essnzialmente da MMG,1 infermiere di comunità ogni
3000 abitanti,1 Unità di Continuità Assistenziale-USC
(1 medico e 1 infermiere ) ogni 100.000 abitanti.
Numeri di operatori da capogiro rispetto alle dotazioni
di organico attuali di un Distretto in cui le CdC si
inseriscono. Ma nessun riferimento all’esperinza della CdS.
Ma gli standard organizzativi previsti sono proprio
quelle risorse umane e strumentali che i Distretti, tranne
rare eccezioni, non hanno mai avuto soprattutto su
quella scala per abitanti: presenza medica h. 24, 7 giorni
su 7, infermieristica h. 12, 7 giorni su 7,infermiere di
famiglia e di comunità, Punto Unico di Acesso
(PUA),prelievi,servizi ambulatoriali specialistici
(cardiologia,pneumologia,diabetologia),ambulatori
infermieristici,assistenza domiciliare,Centri Unici di
Prenotazione (CUP),integrazione con i servizi
sociali,ecc. con obbligatorio o facoltativo/
raccomandato tra CdC Hub e Spoke.
Ma non è quanto già presente in molti Distretti sotto
forma di grandi poliambulatori?
E allora cosa è mancato in questi decenni se non risorse
adeguate che avrebbero consentito l’espandersi di
nuove culture di sanità territoriale?
E’ il principio della “rana bollita” di N. Chomsky:
”Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel
quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso
sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto
diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e
continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua
è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si
stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso
è davvero troppo calda. La rana la trova molto
sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di
reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la
temperatura sale ancora, fino al momento in cui la
rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la
stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua
a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe
balzata subito fuori dal pentolone.” (Media e potere,
N. Chomsky.2014).
Poi compare la Centrale Operativa Territoriale
(COT),esposta per la prima volta nel citato “Libro
azzurro per la riforma delle cure primarie in
Italia”,come modello organizzativo che svolge la
funzione di presa in carico della persona e raccordo
tra i professionisti coinvolti nei vari setting assistenziali
tramite strumenti informatici (Fascicolo Sanitario
Elettronico-FSE,database,software di registrazione
chiamate):1 COT/100.000 abitanti con circa 5-10
operatori infermieristici e di supporto, 7 giorni su 7.
Cosa è se non un “numero verde “ del Distretto? E si
capisce meglio nel raccordo previsto con la Centrale
operativa 116117, il Numero Europeo Armonizzato
(NEA) per le cure mediche non urgenti:servizio
telefonico h.24, 7 giorni su 7, 1/1-2 milioni di abitanti.
Sullo sfondo l’Infermiere di famiglia/comunità :1/3000
abitanti (sempre numeri da capogiro), l’Assistenza
Domiciliare,già ampiamente esternalizzata tramite
erogatori privati e l’Opedale di Comunità (20 posti
letto/100.000 abitanti,anche qui numeri da capogiro:
15 operatori tra medici,infermieri,tecnici dela
riabilitazione e personale di supporto),già previsto dal
DM n. 70/2015 e da intesa Stato-Regioni del 2020, ma
mai realizzati come risulta nel citato Documento della
Camera dei Deputati.
E infine le Cure palliative (1/100.000 abitanti) e gli
Hospice :8-10 posti letto/100.000 abitanti, i Consultori
(1/20.000 abitanti e 1/10.000 nelle aree rurali e interne),il
Dipartimento di Prevenzione: tutte attività già prevsite
ma affidate al privato o in crisi per la cronica carenza
di personale.
Si chiude con la Telemedicina che,come panacea di
tutti mali, consentirà a pochi operatori anche distanti
di gestire dati e informazioni sanitarie e la diagnostica
da remoto, portando sul territorio quanto già avviene
in ospedale,che però,ricordiamo, non ha ancora una
cartella clinica informatizzata unica sul territorio
nazionale mentre manca un sistema di notifica in tempo
relae delle malattie infettive o di registrazione nazionale
delle vaccinazioni come la pandemia da Covid ha
mostrato.
Senza risporse per personale pubblico tutte le funzioni
del DM n. 77/2022 potranno essere svolte anche dal
privato.
Che fare? E’ ovvio che i movimenti e gli attivisti per la
salute,gli operatori,le organizzazioni sindacali e
politiche,il volontariato e le collettività locali,i Comuni
e in Municipi, dovranno impegnarsi per contrattare e
controllare l’attuazione del DM n. 77/2022 attraverso
una vertenzialità diffusa che veda come interlocutrici
le Regioni. Ma questa vertenzialità è possibile senza
una elaborazione e una piattaforma condivisa di
obiettivi?
Togliere il blocco delle assunzioni nel SSN,bloccare
le convenzioni/esternalizzazioni e avviare un processo
di reinternalizzazioni integrato con un piano
straordinario di assunzioni; prevedere un Contratto
Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) per la sanità
pubblica e privata;riportare la medicina,la pediatria di
base e la specialistica convenzionata alla dipendenza
dal SSN come già previsto dalla L. n. 833/1978 e ridurre
il numero di assistiti per MMG/PLS tramite un modello
innovativo e originale;eliminare le assicurazioni
sanitarie integrative dai CCNL e abolirne gli sgravi
fiscali;istituire nelle Università la formazione del
medico di famiglia;avviare un processo di
democratizzazione del SSN e delle AS superando la
figura monocratica e anacronistica del Direttore
Generale attraverso una sua contrattualizzazione
nell’ambito del CCNL della sanità e un concorso unico
nazionale;istituire modelli di gestione decentrate e dal
basso delle decisioni con il coinvolgimento della
collettività.
Ma inziare a ripensare l’opedale e la medicina territoriale
e i loro operatori,in modo critico,senza una loro difesa
astratta e corporativa, ma con un punto di vista
alternativo che fermi la corsa ai profitti in medicin
nello spirito dell’art. 32 della Costituzione.
Edoardo Turi
Medico, Direttore di Distretto
ASL, attivista di Medicina
Democratica e del Forum per
il Diritto alla salute.