Minatori turistici in Laguna

Dal blog https://jacobinitalia.it/

Giancarlo Ghigi 3 Agosto 2022

In venti anni a Venezia i posti letto affittati ai turisti sono raddoppiati per due volte: la rendita si mangia la città e assomiglia sempre più alle speculazioni finanziarie virtuali

Oggi il senatore Nicola Pellicani è con le spalle al muro, affiancato da pochi e fedeli compagni di partito. Ha davanti a sé un tavolino con qualche appunto, una ventina di sedie, gli sguardi sono tesi. La piccola compagine del Pd è assediata da una Vandea coi fischietti, il clima a tratti si fa proprio pesante. Quando arrivo dalla calle longa già li sento rumoreggiare in lontananza, eppure l’orologio mi dice che l’incontro pubblico è iniziato da cinque minuti appena. 

Il senatore è uno spilungone allampanato, sulla sessantina, ed è figlio di Gianni, che a sua volta fu vicesindaco di Venezia negli anni settanta e poi noto deputato dell’ala migliorista del Pci. In tarda età Gianni venne anche traghettato nel ruolo di amministratore delegato e regista – parzialmente mancato – della prima «privatizzazione secca» della Save, l’azienda un tempo pubblica che da decenni gestisce l’aeroporto internazionale di Venezia.

Anche il senatore Pellicani è una presenza autorevole in città, in odore di prossima candidatura a Sindaco. Eppure oggi a vederlo così, quasi dimesso e sulla difensiva, sembra che la fortuna gli abbia temporaneamente girato le spalle. Sta tentando di parlare sotto le bandiere sfilacciate di quella che un tempo era la più importante sezione veneziana del Pci, quella di campo Santa Maria Formosa, una sede che – allora come oggi – per il resto della giornata diventa la porta d’un immaginario campo da calcio per scatenati ragazzini che rubacchiano quel poco di spazio libero che rimane tra i plateatici. L’altra porta per le loro partitelle è offerta dalla facciata goticheggiante del futuro hotel Donà, ex sede dei servizi sociali recentemente venduta dal Comune a un imprenditore di Singapore, il signor Kwong. Pare che il magnate trasformandola in albergo abbia fatto qualche lavoretto in più e qualche pagamento in meno, e così –almeno finché durano i contenziosi – vincono i dribbling rionali. Poi ci sono gli spalti di destra, rappresentati dall’imponente e bianchissima facciata del Ruzzini Palace Hotel e infine quelli di sinistra, che si ficcano nell’immenso plateatico verde dell’Ozio Bar. Già mi chiedo dove si siano rifugiati oggi gli instancabili ragazzetti che ogni giorno tengono la posizione a pallonate, in questo che è uno dei pochi brandelli di suolo non ancora mercificato di questa città contesa.

L’incontro del Pddi oggi è sul «turismo sostenibile e il governo delle locazioni turistiche»ed è uno di quelli che ambiscono ad incidere sui processi di governance della città. Non a caso – almeno sulla carta – si è mobilitata l’intera compagine cittadina del partito, come non si vedeva da molto tempo. È  la prima vera «tribuna di piazza» dalla quale il senatore vorrebbe presentare la sua ultima fatica, il frutto d’un tiramolla nelle commissioni riunite Bilancio e Finanze, cioè l’art.37 bis della legge Legge n.91 del 15 luglio 2022, un codicillo inserito – come tanti altri – nella conversione in legge del famoso decreto aiuti, una norma che conferisce al Comune di Venezia una parziale competenza in materia di locazioni turistiche in città. 

Due i punti salienti del dispositivo introdotto: la facoltà comunale di definire con strumenti urbanistici zonizzati «limiti e i presupposti [alla locazione turistica…] nel rispetto dei principi di proporzionalità, di trasparenza, di non discriminazione e di rotazione, tenendo conto della funzione di integrazione del reddito esercitata dalle locazioni brevi per i soggetti che svolgono tale attività in relazione a una sola unità immobiliare»e che le attività di locazione turistica che superano i 120 giorni locativi l’anno siano subordinate «al mutamento della destinazione d’uso e della categoria funzionale dell’immobile». Un primo varco seppure locale alla regolamentazione di Airbnb e Booking.com in Italia.

Un fulmine inatteso, giunto proprio al crepuscolo della legislatura, capace di far risuonare tutti i campanelli d’allarme di Confedilizia e delle associazioni dei proprietari da subito risolute a passare all’offensiva. Un tam tam sui social ha portato in poche ore più di un centinaio di associati in piazza con tanto di striscioni e fischietti. È oggettivamente un’entrata a gamba tesa quella fatta oggi da queste categorie tradizionalmente portate a un più pacato ed ordinario lavoro lobbistico; una mobilitazione di piazza che nessuno in fondo si aspettava, almeno non con questi numeri.

La comprensione di queste dinamiche richiede un po’ di antefatti, almeno per chi non viva a Venezia. Partiamo dal dire che l’iniziativa di Pellicani non è – in vero – una iniziativa individuale, né è la prima. Già nel decreto milleproroghe del 2020 il senatore tentò di inserire una limitazione forse ancor più radicale all’affitto turistico in città. Voci di corridoio dicono poi che in commissione il testo del nuovo art. 37 bis sia stato rimaneggiato personalmente dallo stesso ministro Brunetta (altro veneziano) per essere infine approvato abbastanza convintamente da tutta la maggioranza, tranne l’immancabile distinguo-segnaposto di Italia Viva. D’altro canto non sono mancate iniziative simili da parte di altri singoli esponenti della maggioranza (come la cinquestelle Orietta Vanin) e soprattutto sul piano sociale il regista Andrea Segre ha contribuito all’apertura del dibattito in città dapprima con il suo film Welcome Venice e poi con due proiezioni pubbliche che si sono trasformate in riunioni di rilievo. Un dibattito civico che si è anche coagulato nell’iniziativa denominata «Alta Tensione Abitativa», figlia della fruttuosa collaborazione tra l’Osservatorio Civico sulla casa e la residenza di Venezia (Ocio) ed altre realtà associative cittadine, capace anche di partorire una proposta di legge di natura senz’altro più organica e di respiro nazionale.

A Venezia, in effetti, la situazione abitativa è semplicemente disastrosa. Il mercato della locazione residenziale nella città insulare si è sostanzialmente dissolto, i dati ci dicono che nel portale immobiliare più frequentato risultano attive solo 175 offerte di appartamenti in locazione residenziale – di cui appena 10 sotto gli 800 euro al mese – a dispetto dei 44.543 appartamenti presenti dell’insula veneziana e documentati dal geoportale comunale. Persino il Prefetto in una recente audizione alla Camera ha dovuto riconoscere che «la massificazione della domanda turistica ha portato con sé la scomparsa delle locazioni ordinarie, trasformate in locazioni turistiche molto più redditizie». 

E così ogni giorno migliaia di pendolari giungono in città per cucinare e servire nelle strutture ricettive, obbligati a risiedere nell’entroterra per non veder evaporare l’intera paga in locazioni o mutui impossibili. Anche su questo il Prefetto Zappalorto riconosce: «I prezzi degli affitti sono talmente elevati che nessun pubblico dipendente potrebbe permettersi di sopportarne il peso […] è perfettamente inutile fare concorsi per i posti da coprire a Venezia. I vincitori quando va bene se ne vanno nei primi tre mesi di permanenza e sono costretti a farlo a causa del prezzo degli affitti»

Per la prima volta nella storia millenaria della città insulare (non più serenissima) i residenti scenderanno sotto la quota psicologica dei 50.000. Accadrà proprio in questi giorni. Nemmeno la peste del 1348 decimò in questo modo la città lagunare. Un esodo che è ormai cinquantennale, frutto del combinato disposto tra mirate politiche di espulsione del proletariato e una riconversione a uso turistico dell’intero tessuto urbano, una migrazione forzata sulla quale abbondano tanto gli studi quanto il fatalismo rassegnato delle troppe mosche cocchiere che negli anni si sono succedute alla guida della città, capaci solo di ridurre il loro ruolo a quello di cinghia di trasmissione degli interessi economici più strutturati. Amministra la città, incontrastato da decenni, il dogma neoliberista. 

E così nel centro abitato Ocio documenta in questi ultimi anni il raggiungimento di un incredibile parità tra i posti letto nelle strutture ricettive e quelli occupati da residenti. In alcune aree (come nell’isolato 270420261) accanto alla casa-riserva degli ultimi due indiani lagunari si turnano ogni giorno 55 esploratori della «vera vita veneziana» dei quali 24 soggiornanti in locazioni turistiche. Una vera distopia si è materializzata.

In soli due decenni i posti letto turistici sono prima raddoppiati (1997-2007) per poi raddoppiare ulteriormente (2008-2019) con una impressionante accelerazione negli ultimi anni, frenata pro-tempore solo dalla pandemia. Ci sono ormai più letti nelle strutture ricettive «complementari» che negli stessi alberghi.

Interi palazzi si presentano così con i tradizionali campanelli di ottone ornati da sequenze di numeri e sigle che hanno soppiantato le usuali targhette con i cognomi, imprese multinazionali differenziano il loro portafoglio trasformando interi rioni popolari in locazioni diffuse grazie alla complicità di una tassazione di favore (cedolare secca) che irresponsabilmente non distingue locazione residenziale e turistica, quasi che la triplicazione della redditività al metro quadro delle medesime tipologie edilizie non creasse alcuna tensione intorno ad un bene primario. Una vera corsa all’oro che non ha risparmiato i piccoli investitori, i minatori di prossimità, degli avventurieri del Klondike che, affascinati dall’idea di mungere in quota minore la vacca sacra dei mattoni di Venezia, hanno ampiamente approfittato della connivenza del sistema bancario che ha finanziato con priorità assoluta i loro mutui turistici “sicuri”, mutui che ormai rappresentano il 75% di quelli negoziati. Una corsa all’estrazione alla cui coda sta una plebe di avventurieri che ora rischia di rimanere appiedata. 

Il fatto che l’investimento «di famiglia» possa presto trasformarsi in una semplice casa «affittata a dei residenti» li atterrisce. Non ripaga certo la ristrutturazione barocca che il mercato leccato ha preteso da catalogo sui portali, né ripaga le fosse settiche scavate nel fango del sottosuolo per ottenere l’agognata «agibilità»dell’immobile. 

Questi soci minori della corsa all’oro hanno tenuto duro durante il Covid, hanno portato ceri alla Madonna della Salute perché la marea pandemica rientrasse, ma ora si ritrovano sotto la minaccia di una normazione che potrebbe divorare le plusvalenze delle loro attività, costringendoli infine ad accettare la triste idea di essere riconosciuti titolari di un’attività d’impresa visto che locano «la casa di nonna» oltre i 120 giorni l’anno. In piazza ci sono il tassista e il disoccupato cinquantenne che ha riconvertito l’appartamento appena ereditato, ci sta la moglie che fa le pulizie a scuola e poi la sera nell’appartamento, ci sta il ricercatore universitario che mette su Airbnb la casa gravata dal mutuo e affitta per sé un monolocale a Mestre. Mancano invece gli investitori di medio calibro. Forse qualcuno di loro ha già fiutato il prossimo affare nello sconvolgimento che verrà e tutti annusano nell’aria. Recenti studi dell’università di Siena hanno dimostrato una progressiva tendenza alla concentrazione delle gestioni e una distribuzione della redditività molto diseguale tra gli host. Secondo Ocio già oggi «Il 5% più ‘accentratore’ gestisce il 33% degli annunci» delle piattaforme.

Come capita per i minatori di criptovalute anche l’eldorado del nuovo mercato immobiliare pare velocemente giunto all’inizio del suo declino, come in un romanzo di Zola. La fase «artigianale», «avventuristica», quella dei soldi facili con la sharing [sic!] economy, lascerà presto il campo ad altre realtà più strutturate, capaci di economie di scala e processi lobbistici ben più autorevoli. Il senatore Pellicani ha definito la sua norma «un sasso nello stagno», un’immagine senz’altro efficace anche se un po’ improvvida per una laguna frequentemente sopraffatta da ondate di marea. La regia di un cambiamento richiede ovviamente una visione più organica che però, dopo molti troppi decenni di esodo forzato, oggi manca decisamente di forze sociali locali che siano veramente all’altezza della sfida.

*Giancarlo Ghigi, laureato in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Padova, è libero professionista nel settore della comunicazione e attivista nella tutela dei beni comuni. Ha collaborato con Pearson, Il Mulino, Inchiesta, Stati Generali, Il granello di Sabbia

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