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Adesso che anche dirsi «ciao, come stai» contiene un’eco di apprensione, quasi fosse l’attesa non di una risposta ma di un referto. Adesso che per la seconda volta in meno di un anno il male oscuro ha schiantato le nostre difese e stravolto le nostre abitudini. Adesso che il domandone sembra diventato come passeremo il prossimo Natale. Ecco, adesso, l’unica certezza onesta che abbiamo è che del coronavirus, anzi del Sars-CoV-2, sappiamo ancora troppo poco per sperare di liberarcene a breve.
«Ma non c’è niente di strano in questa incertezza. L’unico virus che finora l’umanità ha completamente debellato è il vaiolo. Qualsiasi prospettiva di un’uscita rapida da questa pandemia, compreso l’arrivo dei vaccini, è un’ipotesi consolatoria».

Il richiamo al realismo viene da uno dei primi scienziati che sono riusciti a prendere prigioniero «il nemico» e a cominciare a studiarlo: una donna dell’isola di Procida, figlia di una maestra elementare e di un navigante, la dottoressa Maria Rosaria Capobianchi (a sinistra), 67 anni, gli ultimi venti passati a guidare uno dei laboratori di virologia più accreditati d’Europa, presso lo Spallanzani di Roma. Una veterana molto autorevole, che non ha partecipato alla recente e permanente giostra degli esperti in tv, ma che ha combattuto nella trincea della ricerca molte battaglie insidiose, dalla prima Sars del 2002 all’influenza suina del 2009, fino all’Ebola, identificato nel 1976 nel cuore dell’Africa e protagonista nel 2014 di un’ epidemia che ha sfiorato il mondo occidentale.
Lo scrittore David Grossman sostiene che quello da cui siamo aggrediti è più forte di qualsiasi nemico in carne e ossa che abbiamo affrontato. In Italia ci avviamo verso i 48 mila morti (20 mila nella sola Lombardia), il mondo ne conta già un milione e 300 mila, l’Europa perde per Covid-19 una persona ogni 17 secondi.
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E per fortuna che la seconda ondata sembra attenuarsi.
«L’avversario che abbiamo davanti è poderoso, ma ne abbiamo conosciuti di più letali. Senza andare alla peste del 1600, che era però causata da un batterio e non da un virus, l’influenza spagnola del 1918 ha provocato più di 40 milioni di vittime e mezzo miliardo di contagi. Ed è andata a cicli, come tutte le pandemie. Succederà anche stavolta».