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Pubblicato il 10 novembre 2021
Il Ministero del Lavoro del governo di unità nazionale della Libia ha rivelato la propria intenzione di assumere manodopera straniera da cinque Paesi specifici, in base alle specializzazioni richieste. L’obiettivo principale è portare avanti i progetti dell’iniziativa “Ritorno alla vita”, promossa dall’esecutivo provvisorio.
La notizia è stata riportata da al-Araby al-Jadeed, sulla base di un rapporto rilasciato dal suddetto dicastero e visionato dal quotidiano panarabo. I cinque Paesi di provenienza dei lavoratori stranieri che la Libia intende assumere sono l’Egitto, Paese ritenuto specializzato in opere di costruzione e progetti edili, la Turchia, per opere di ingegneria e nel settore dell’elettricità, la Tunisia per la tecnologia, le Filippine per i settori sanitario e petrolifero e, infine, il Bangladesh, Paese la cui manodopera è ritenuta essere specializzata in servizi e igiene pubblica.
Come racconta al-Araby al-Jadded, durante l’era di Muammar Gheddafi, dal 1969 al 2011, i lavoratori stranieri residenti in Libia provenivano perlopiù da Paesi africani, asiatici e dell’Europa orientale e soprattutto da Egitto, Tunisia, Sudan, Ciad e Niger. Inoltre, dopo l’adesione della Libia all’Unione del Maghreb arabo e all’Unione africana, sono stati diversi i cittadini maghrebini e africani che sono riusciti ad accedere ai territori libici senza visto. Al momento, le stime indicano che sono circa 2 milioni i dipendenti stranieri impiegati nel Paese Nord-africano, i quali lavorano in una serie di settori, dall’agricoltura, allo sviluppo, all’edilizia, fino a pulizie e ristorazione. Tuttavia, secondo quanto emerso dal rapporto, oltre il 60% dei lavoratori emigrati in Libia lavora in modo illegale, il che non consente loro di godere dei diritti previsti dalla legislazione libica.
Ora, però, la Libia e, in particolare, il governo provvisorio guidato da Abdulhamid Dabaiba, intende portare avanti l’iniziativa di “Ritorno alla vita”, la quale include una serie di progetti volti a ricostruire il Paese a seguito del decennale conflitto. A tal proposito, uno studio della Commissione economica e sociale delle Nazioni Unite per l’Asia occidentale (ESCWA) ha stimato che i Paesi confinanti con la Libia potrebbero rappresentare circa 160 miliardi di dollari del valore totale dei piani delineati, nell’arco di quattro anni, il che contribuirebbe a ridurre il tasso di disoccupazione di circa il 6% in Tunisia, del 9% in Egitto e del 14% in Sudan.
Secondo quanto riporta al-Araby al-Jadeed, l’esecutivo ha destinato 7,9 miliardi di dinari per tale iniziativa, corrispondenti all’incirca a 1,76 miliardi di dollari, il che equivale a quasi il 52% degli stanziamenti totali previsti nella voce sviluppo della legge di bilancio 2021, al momento non ancora approvata. I progetti inclusi nell’iniziativa riguardano la rete elettrica, la costruzione e riabilitazione di strade, stadi sportivi, oltre a una raffineria di petrolio e un impianto di gas da cucina nel Sud della Libia. Al momento, però, non è chiaro quale sia la somma di cui la Libia ha effettivamente bisogno per realizzare i progetti di ricostruzione previsti. Secondo il ministro dell’Economia e del commercio, Muhammad Ali al-Huwayj, la cifra potrebbe raggiungere i 200 miliardi di dollari, mentre per il ministro di Stato per gli affari economici, Salama al-Ghweil, la cifra potrebbe scendere a 111 miliardi. Il Consiglio di pianificazione nazionale, invece, ha previsto un costo di 120 miliardi di dollari.
Di fronte a tale scenario, oltre a stanziamenti e finanziamenti, la Libia necessita altresì di lavoratori stranieri. A tal proposito, il ministro del Lavoro libico, Ali al-Abed, ha di recente affermato che il Paese necessiterebbe di circa un milione di lavoratori soprattutto egiziani. Non sono disponibili statistiche aggiornate sul numero di dipendenti egiziani presenti attualmente in Libia. Secondo i dati diffusi dal Ministero del Lavoro, alla fine del 2013, questi erano circa 800.000, mentre studi non ufficiali stimavano una cifra superiore a 1,5 milioni. Il 90% dei lavoratori egiziani risulta essere impiegato in fabbriche di materiali da costruzione, forni, macellerie, e come barbieri e venditori ambulanti.
Ad ogni modo, proprio l’Egitto si è posto in prima linea nei progetti di ricostruzione in ambito elettrico della Libia post-bellica. Il ministro dell’Elettricità egiziano, Mohamed Shaker, ha precedentemente affermato che l’avvio di progetti elettrici per il collegamento con la Libia, oltre all’ampliamento delle centrali già esistenti, è un obiettivo fondamentale e strategico per i due Paesi. Già il 2 marzo scorso, Shaker aveva riferito che il suo Paese era disposto ad aumentare la capacità della linea di interconnessione elettrica tra Egitto e Libia fino a 450 megawatt, e in futuro si potrebbero raggiungere i 1000 MW. Commentando le linee che collegano i territori egiziani ad altri Paesi del mondo arabo, il ministro aveva affermato che esiste già un collegamento con Libia, Sudan e Giordania, e da quest’ultima si prevede di raggiungere anche l’Iraq.
Secondo alcuni, le mosse egiziane sono da inserirsi nel quadro dei tentativi del Cairo di ritagliarsi una fetta nel processo di ricostruzione libico, con l’obiettivo di rilanciare anche la propria economia. Tuttavia, stando a quanto riferito dal presidente della Camera libico egiziana, Nasser Bayan, la partecipazione delle compagnie egiziane nei lavori di ricostruzione dipenderà dalla stabilità politica della Libia e da quanto avverrà a seguito delle elezioni previste per il 24 dicembre e con la relativa formazione di un nuovo governo. A detta di Bayan, le società egiziane dovranno competere con le controparti di Tunisia e Turchia, ma gli imprenditori del Cairo sembrano essere i favoriti. Motivo per cui, lavoratori e compagnie dell’Egitto, ha riferito il presidente, avranno priorità nelle operazioni di ricostruzione e si prevede acquisiranno circa il 25% dei progetti, attraverso partenariati con le controparti libiche.