Una rivoluzione incompiuta

Dalla pg FB di Giustiniano Rossi

A Le Havre, il 2 marzo 1848, un certo « Mr. Smith” sale a bordo di un vapore diretto a Newhaven. Si tratta, in realtà, di un re sfuggito a fatica a coloro che l’hanno deposto. Dice addio alla Francia per rifugiarsi in Inghilterra. La Francia è di nuovo una repubblica e Louis-Philippe, il “re dei francesi”, salito lui stesso al trono 18 anni prima grazie a una rivoluzione, è solo un cittadino in fuga. La Rivoluzione di luglio 1830 fa cadere i reazionari dell’era post-napoleonica. In Francia, con l’aiuto degli artigiani, operai e studenti parigini, vince il liberalismo moderato. Presto i suoi esponenti, grandi proprietari e nobili riformisti, non vogliono più saperne dei loro alleati. Formalmente monarchia costituzionale con istituzioni liberali, a comandare sotto la reggenza del “re borghese” Luigi Filippo è, di fatto, un’oligarchia che esclude dalla politica la stragrande maggioranza dei 34 milioni di francesi. Il diritto elettorale è legato al pagamento di una certa quota fiscale. Si tratta, durante la monarchia di luglio, di 166.000 cittadini (più tardi 241.000) abilitati all’elezione dei deputati. Le donne sono escluse.

E’ una società di transizione. Non più divisa in ceti, non ancora in classi, l’oligarchia dominante, che comprende nobiltà e grande borghesia – nella letteratura si parla di una società di notabili – si definisce attraverso la proprietà della terra e non ancora dei mezzi di produzione. Dato che gli introiti dello Stato vengono quasi esclusivamente dall’imposta fondiaria, la proprietà terriera è per i notabili la premessa dell’influenza politica e rende possibile, in un sistema bancario ancora poco sviluppato, l’accesso al credito ipotecario. La nomina alla testa del primo governo di un banchiere, Casimir Périer, dimostra le ambizioni della classe borghese in un periodo di rapidi cambiamenti. Fra il 1830 e il 1848 il numero delle macchine a vapore passa da 600 a 4.800, la quantità di carbone estratto è moltiplicata per 5, la produzione di ferro aumenta, vengono create numerose banche, la speranza di vita cresce con la popolazionez, l’urbanizzazione accelera. Diventa chiaro che la condizione sociale e politica del paese non è più al passo con lo sviluppo economico.

Non è all’ordine del giorno la rivoluzione contro il capitalismo ma al suo interno, il superamento del dominio dell’aristocrazia del denaro. Ma nello stesso tempo la “questione sociale” dovuta alla miseria di un proletariato in ascesa e alla rovina di molti artigiani, si acutizza. Alla richiesta di estensione e democratizzazione del diritto elettrorale abbassando il censo il primo ministro Guizot risponde con la cinica raccomandazione: “arricchitevi”. Diversamente dall’Inghilterra, più progredita economicamente, in Francia non esiste ancora un movimento di massa delle classi lavoratrici. I dirigenti del movimento operaio francese fra il 1830 e il 1848 sono artigiani ed apprendisti delle città e lavoratori a domicilio. La linea è dettata da Pierre Proudhon, rappresentante di idee anarchiche piccolo-borghesi, dal socialista riformista Louis Blanc e, anzitutto, dall’incrollabile Blanqui, i cui sostenitori adeguano la forma organizzativa delle società segrete alle condizioni proletarie e si pongono l’obiettivo della conquista del potere politico, la “dittatura del proletariato”. Il malcontento della nuova borghesia, le condizioni delle classi lavoratrici e l’agitazione dei circoli socialisti si intersecano, negli anni 1846/47, con una crisi mercantile e agraria. Cattivi raccolti in gran parte d’Europa aggravano la miseria. Un capovolgimento dei rapporti è atteso e non sorprenderebbe nessuno. Manca solo la scintilla.

Il 22 febbraio 1848 un “banchetto repubblicano” è vietato. Mentre l’opposizione liberale protesta ma fa appello alla moderazione, nei sobborghi orientali di Parigi artigiani, piccoli commercianti, studenti, operai e intellettuali di sinistra dimostrano con la parola d’ordine: “Viva la riforma. Abbasso Guizot!” ed erigono le prime barricate. Il re borghese licenzia Guizot. Ma al “peuple” non basta più. La Guardia nazionale fraternizza con i rivoltosi. Sulle barricate sventola la bandiera rossa. In Boulevard des Capucines i soldati sparano. I morti sono dozzine. La rabbia esplode. Le armerie sono saccheggiate, le barricate si moltiplicano. La mattina del 24 febbraio Parigi è in mano ai rivoluzionari. Il Palazzo reale è invaso. Il trono è bruciato in Piazza della Bastiglia. Louis Philippe abdica e taglia la corda. La repubblica è proclamata da Alphonse de Lamartine. Ampie misure sono adottate. E’ garantita la libertà di stampa, d’opinione e di manifestazione, abolita la pena di morte e la schiavitù nelle colonie, annunciate libere elezioni, proclamato il “diritto al lavoro. Il governo provvisorio spinge per rapide elezioni di una costituente. La sinistra, male organizzata, ne chiede il rinvio. Il blocco di febbraio si sgretola. Alle elezioni del 23 e 24 aprile la sinistra è sconfitta. Prevalgono i repubblicani liberali. Il 15 maggio la Guardia nazionale e l’esercito reprimono nel sangue una manifestazione di massa per un governo rivoluzionario. I dirigenti sono arrestati, i circoli rivoluzionari chiusi e le manifestazioni vietate. Parigi si prepara alla battaglia decisiva. Il 23 giugno operai e artigiani erigono nuove barricate nei quartieri orientali di Parigi. Le parole d’ordine sono “diritto al lavoro “ e “per la repubblica democratica e sociale”. Il generale Cavaignac lancia le guardie mobili contro i rivoltosi. Più di 1.500 sono giustiziati dopo la sconfitta. Il numero dei morti in battaglia resterà ignoto. La disfatta dell’insurrezione di giugno segna la fine della rivoluzione. E della repubblica.

Si profila all’orizzonte un nuovo personaggio. Si chiama Luigi Bonaparte, nipote di Napoleone I…

Giustiniano

18 febbraio 2023

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