Dal blog https://www.labottegadelbarbieri.org
La campagna «#IChoose GMOFree». A seguire articoli di Alessio Lerda, Antonello Mangano, Marta Albè, Sabrina Del Fico e un documento del Consiglio nazionale dei vescovi del Brasile.
#IChoose GMOFree
“Transform! Italia” è parte del Coordinamento Italia libera da OGM – CILO – composto da 29 associazioni contadine, ambientaliste e della società civile. E si unisce alla campagna #IChooseGMOFree, insieme a un’ampia coalizione di organizzazioni europee, e lancia una petizione in cui esorta l’UE a mantenere rigorosamente regolamentati ed etichettati gli alimenti geneticamente modificati.
Abbiamo il diritto di decidere cosa mangiamo e coltiviamo nei nostri campi, per questo chiediamo ai cittadini dell’UE di firmare la petizione, rivolta ai decisori nazionali e ai membri del Parlamento europeo, chiedendo loro di prendere posizione contro la deregolamentazione nuovi OGM in Europa.
I responsabili politici nazionali e gli eurodeputati sono stati rispettivamente nominati ed eletti per rappresentare i nostri migliori interessi ed hanno il potere di fermare il piano della Commissione europea https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_21_1985 che mira ad allentare le regole per i nuovi OGM che presentano rischi per la nostra salute, l’ambiente e la nostra sovranità alimentare. Ricordiamo loro che vogliamo mantenere la nostra libertà di scegliere o meno alimenti OGM!
Il governo italiano è favorevole a questa follia: FERMIAMOLO!
Chiediamo che i nuovi OGM siano sottoposti alle stesse regole di quelli “vecchi”, cioè tracciabilità ed etichettatura, procedure che fino ad oggi hanno impedito l’arrivo degli OGM sulle nostre tavole e nei nostri campi.
E chiediamo che l’Italia si schieri contro la loro coltivazione, difendendo il Made in Italy e la scelta di restare un paese libero da OGM!
Firma la petizione anche dalla nostra pagina, seguendo le indicazioni che troverai in home a breve.
COSA STA ACCADENDO
Le grandi aziende chimiche e sementiere vogliono spingere sul mercato nuovi organismi geneticamente modificati, forzando l’ingresso di prodotti geneticamente modificati sui nostri campi e piatti a nostra insaputa.
Queste aziende hanno fatto pressioni per anni sulla Commissione Europea per escludere i nuovi OGM dal regolamento europeo sugli OGM, facendo affermazioni infondate sui presunti benefici per la sostenibilità, la riduzione dei pesticidi e il clima ma, poiché detengono anche brevetti sui semi ingegnerizzati con queste tecniche, la loro vera motivazione rimane quella di aumentare i loro profitti.
Ora la Commissione europea prevede di escludere i nuovi OGM, che chiamano nuove tecniche genomiche (NGT), dai processi di approvazione della legislazione UE esistente sugli OGM. Secondo le norme attuali, vecchi e nuovi OGM sono soggetti all’autorizzazione dell’UE, che garantisce la valutazione dei rischi per la salute umana e l’ambiente, la trasparenza per i produttori e gli agricoltori e l’etichettatura chiara per i consumatori. L’esclusione di nuovi OGM impedirebbe agli agricoltori, ai produttori alimentari, ai rivenditori e ai cittadini di optare per scelte prive di OGM. Abbiamo il diritto di decidere cosa mangiamo e coltiviamo nei nostri campi!
Se passerà la proposta europea, nel 2023 i prodotti creati con queste tecniche di manipolazione genetica verranno esclusi dalle regole oggi in vigore per gli OGM: significa che non saranno etichettati come OGM, non saranno tracciati in alcun modo e arriveranno nei nostri piatti privandoci della libertà di scelta. Gli agricoltori vedranno potenzialmente contaminate le loro produzioni perché gli agenti atmosferici potranno diffondere i nuovi OGM anche su terreni di produttori che non vogliono coltivarli. Con un rischio enorme per la loro sostenibilità economica, perché i consumatori non si fideranno più di loro.
Occorre condurre ulteriori ricerche sui rischi ambientali, di biodiversità e per la salute dei nuovi OGM, sul loro impatto socioeconomico per gli agricoltori e il sistema alimentare e sullo sviluppo di metodi di individuazione. Finora solo l’1,8 % dei fondi europei per la ricerca sulla biotecnologia viene effettivamente speso per identificare e sviluppare metodi di sperimentazione per nuovi OGM e per esaminare i potenziali rischi causati dai nuovi OGM. Il denaro dei contribuenti viene utilizzato per sviluppare nuovi OGM, controllati da una manciata di società, ma non per controllare ed evitare potenziali rischi per la natura e gli esseri umani.
I governi, e i responsabili delle decisioni dell’UE, devono promuovere e sostenere soluzioni comprovate per un’agricoltura sostenibile e resiliente ai cambiamenti climatici e proteggere la libertà degli allevatori di operare senza essere limitati dalla portata di vasta portata dei brevetti sulle sementi prodotte con nuovi OGM.
I “VECCHI” OGM
Le multinazionali hanno presentato i primi OGM come il cibo che avrebbe nutrito il mondo e ridotto l’uso di sostanze chimiche tossiche. In realtà, ovunque siano stati utilizzati, gli OGM hanno peggiorato le cose. La maggior parte degli OGM in uso oggi sono ingegnerizzati in uno dei due tipi di piante: un tipo che rimane in vita dopo essere stato spruzzato con diserbanti, come l’erbicida glifosato; l’altro tipo che produce sostanze chimiche tossiche per gli insetti. Alcuni OGM hanno entrambe queste caratteristiche.
Soia, mais, colza e cotone sono le colture più comunemente soggette a questi cambiamenti genetici. Lungi dal ridurre l’applicazione di sostanze chimiche tossiche, l’uso di OGM ne ha effettivamente aumentato l’uso. In Europa, gli OGM sono stati finora in gran parte respinti sia dal pubblico che dai decisori, con una varietà di mais GM attualmente l’unico OGM coltivato commercialmente in alcuni paesi. Diciannove paesi dell’UE hanno esplicitamente deciso di non coltivare quel mais geneticamente modificato. Tuttavia, un esercito di lobbisti aziendali ha lavorato a tempo pieno allo smantellamento dei regolamenti OGM dell’UE per molti anni.
I “NUOVI” OGM
La Commissione le chiama “nuove tecniche genomiche” (NGT), ma le NGT non sono fondamentalmente diverse dai processi di modificazione genetica – o come i loro sostenitori ora preferiscono chiamarlo, “editing genetico” dei vecchi OGM.
I processi sono rimasti sostanzialmente gli stessi negli ultimi trent’anni. Ciò che è cambiato è che la modificazione genetica sta ora utilizzando una serie di nuove tecniche che hanno ridotto il costo del processo in base al quale il materiale genetico viene trasferito all’interno della stessa specie o di specie strettamente correlate. La più famosa di queste tecniche, che ha fatto guadagnare ai suoi pionieri un premio Nobel e milioni di euro in diritti di brevetto, è conosciuta come CRISPR / Cas9.
L’industria biotecnologica ha inventato una varietà di termini alternativi agli OGM, come “nuove tecniche di allevamento” o “allevamento di precisione”, per seminare confusione mentre, decine di lobbisti finanziati dalle imprese, stanno tentando di influenzare i responsabili politici dell’UE sostenendo che i nuovi OGM aiuteranno l’umanità ad adattarsi ai cambiamenti climatici e a riparare i sistemi alimentari “rotti”.
Eppure già i “nuovi” impianti GM che le multinazionali hanno in cantiere sono progettati per essere tolleranti agli erbicidi su cui le stesse società hanno il monopolio. La loro coltivazione aumenterebbe necessariamente la presenza di residui di pesticidi nel suolo e nell’acqua, così come nel nostro cibo.
Inoltre le nuove tecniche sono tutt’altro che precise, in quanto generano una serie di effetti “fuori bersaglio” su altre parti del genoma rispetto a quelle che vengono prese di mira, con rischi ancora sconosciuti per la salute degli organismi ingegnerizzati e per coloro, compresi gli esseri umani, che potrebbero consumarli.
Che anche le nuove biotecnologie di editing del genoma, affermatesi negli ultimi dieci anni, producano a tutti gli effetti degli OGM, è sancito da una sentenza della Corte di Giustizia Europea del 25 luglio 2018.
Questa sentenza oggi rischia di essere messa in discussione e aggirata riscrivendo le norme che regolano il settore ed esentando le nuove biotecnologie dal perimetro della legge europea.
Ciò aumenterebbe i rischi di contaminazione irreversibile delle colture convenzionali e biologiche da parte dei nuovi OGM, con la ovvia conseguenza di compromettere tutti i vantaggi derivanti dall’aver perseguito una politica che ha tenuto il nostro paese libero da OGM.
Riassumendo quindi questi sono i rischi della produzione di nuovi OGM.
- Sono legati all’uso di sostanze chimiche tossiche che colpiscono la salute umana, animale e ambientale
- Implicano un’ulteriore intensificazione della monocoltura e dell’agricoltura industriale
- Minacciano la sovranità alimentare degli agricoltori e dei pescatori
- Ci sono rischi sconosciuti da effetti “off-target” non intenzionali di tecniche di ingegneria genetica.
- Minacciano la biodiversità
- Minacciano la sicurezza alimentare
- Alimentano la monopolizzazione e la concentrazione del mercato delle sementi già esistenti
- Minacciano le varietà di semi tradizionali e il patrimonio culturale delle comunità locali
- Non ci sono abbastanza informazioni su una potenziale diffusione incontrollata di tratti ingegnerizzati agli ecosistemi agroecologici e ad altri ecosistemi privi di OGM
- Gli organismi gene drive potrebbero spazzare via intere specie e potenzialmente spazzare via interi gruppi di specie con funzioni chiave in un ecosistema, come l’impollinazione.
Le donne invisibili dell’agricoltura – Alessio Lerda
Un rapporto di ActionAid mostra le difficoltà del lavoro agricolo femminile nell’Arco Ionico
«Lavorare in modo che abbia sempre più spazio la cultura dell’agricoltura delle relazioni, quella cioè che non guarda solo alla produzione ma anche a sistemi sociali più sostenibili per l’intera filiera». È questo l’obiettivo di Cambia Terra, progetto di ActionAid Italia che è attivo nell’Arco Ionico dal 2016 ed è orientato, in particolare, a cogliere le difficoltà delle lavoratrici del settore agricolo.
A descriverlo in questo modo è Grazia Moschetti, la responsabile programma intervistata all’interno della trasmissione Cominciamo Bene, su RBE, in occasione della pubblicazione di Donne Invisibili (*) un rapporto che mostra le pesanti problematiche alle quali vanno, spesso, incontro le donne impegnate nel lavoro agricolo della zona.
Facciamo un passo indietro, rispetto al rapporto. Che cos’è Cambia Terra?
«Noi abbiamo iniziato a lavorare in un comune della Puglia, Adelfia, e abbiamo ascoltato le lavoratrici agricole, per capire quali fossero le loro condizioni del lavoro. Assieme ad una psicologa le abbiamo ascoltate, in uno spazio protetto. In base ai bisogni che sono emersi le abbiamo messe in rete con le istituzioni, le associazioni e le imprese agricole del territorio, per studiare soluzioni di welfare di comunità. È stato così creato un servizio di cura per bambine e bambini che nel mese di agosto non trovano servizi pubblici aperti, anche se agosto è il mese di punta del raccolto (qui si coltiva prevalentemente uva). Grazie a questa sperimentazione, il comune di Adelfia ha ancora adesso l’asilo nido comunale che alle 4 del mattino apre in pre-accoglienza, per i bambini e bambine delle lavoratrici agricole. Diversamente, erano affidati in maniera informale a giovani ragazze per un piccolo compenso, senza quelle condizioni di sicurezza necessarie».
Un punto importante di questo progetto e del rapporto Donne Invisibili è proprio quello di portare in superficie il lavoro agricolo femminile, visto che spesso diamo per scontato che a lavorare nei campi siano gli uomini
«Dalla morte di Paola Clemente [la donna 49enne che morì per un colpo di calore nel 2015, nei pressi di Andria, NDA] si è molto parlato di ghetti. Le cronache giudiziarie avevano riportato delle violazioni di diritti gravissime, fino alla riduzione in schiavitù, di giovani provenienti da paesi terzi. In realtà, questa è un’area caratterizzata storicamente dal lavoro agricolo femminile. Stiamo parlando dell’Arco Ionico, che dalla provincia di Taranto attraversa la Basilicata e si estende fino alla provincia di Cosenza. Secondo i dati Istat, all’incirca 230mila donne sono occupate in agricoltura, e la metà di loro risiede nel mezzogiorno. (Sono dati incompleti: secondo il ministero del lavoro l’irregolarità purtroppo interessa 160mila lavoratori e lavoratrici). Le aziende dell’Arco Ionico contano 6mila lavoratrici. Questi dati riflettono solo una parte del fenomeno: molte sono donne comunitarie, provengono da Romania e Bulgaria, perciò non hanno necessità di documenti per potersi spostare. La mobilità interna all’areale ionico è altissima e a questa mobilità purtroppo non corrispondono servizi adeguati: alloggi, trasporti, welfare. Questo rende le donne ancora più vulnerabili in quanto donne, o in quanto proveniente da paesi dell’est europa, o rispetto all’età, o perché sono discriminate per il lavoro che svolgono. Perché, purtroppo, il lavoro agricolo non è rappresentato positivamente nel dibattito pubblico, né le donne sono adeguatamente prese in considerazione dalla politica pubblica. Quindi le molestie e gli abusi che subiscono nei campi trovano le loro cause non necessariamente all’interno dei luoghi di lavoro, ma all’interno del sistema ben rodato che organizza i flussi di manodopera, da una coltura all’altra o da un’azienda all’altra, che fornisce loro il welfare parallelo. Dove lo stato non c’è, interviene l’intermediazione illecita, ed è qui che abbiamo rilevato gravissime forme di sfruttamento in particolare verso le donne in quanto tali».
Nel rapporto si legge proprio dei tanti abusi e anche ricatti sessuali che ricevono molte di queste lavoratrici. Al centro, c’è il caporalato?
«È un sistema di illegalità che fa danno come prima cosa alle tante aziende che lavorano nella legalità e tengono ai diritti delle loro lavoratrici. Accade che le donne hanno un contratto regolare, presso un datore di lavoro che ne rispetta i diritti, e poi magari vengono intercettate dall’intermediario illecito per proseguire la loro giornata di lavoro presso campi e magazzini che le regole non le rispettano. In merito alle retribuzioni, [queste] già variano tra donne e uomini, ma poi accade anche che alle donne non venga retribuita la giornata, e che questa venga retribuita a persone che in campo non hanno mai messo piede. Questo è uno schema molto ben organizzato, che fa danno a tutta la filiera. Noi interveniamo perché le filiere agricole siano sostenibili, non solo dal punto di vista economico ma anche sociale».
Infatti ActionAid non si limita soltanto al prezioso lavoro di monitoraggio, ma anche ad interventi sul territorio. Quali sono i progetti in corso al momento all’interno di Cambia Terra?
«L’intero Arco Ionico è una porzione di territorio estremamente vivace dal punto di vista della società civile, della cultura aziendale orientata ai diritti. Cambia Terra introduce delle azioni di programmazione condivisa del welfare e dell’orientamento lavorativo tra le lavoratrici, le istituzioni, le aziende agricole e la società civile. Ed è uno strumento complementare, non sostitutivo delle politiche pubbliche, che devono continuare ad agire per creare quelle condizioni utili per far affermare e crescere le buone pratiche. Abbiamo avviato 4 servizi di welfare di comunità, in cui collaborano tutte le istituzioni, le imprese, le associazioni datoriali e i sindacati, per orientare le donne sia ai servizi pubblici sia al lavoro regolare. Le imprese portano azioni di sensibilizzazione all’interno delle aziende agricole stesse».