Dal blog dorsogna@substack.com
Probabilmente da USA, Algeria, Qatar, Azerbaijan, Norvegia con enormi costi finanziari ed ambientali. E se invece puntassimo davvero sulle rinnovabili?
Maria Rita D’OrsognaMay 16 |

L’Europa dipende dal gas russo, che ci piaccia o no. Trovare sostituti che possano sostituire nell’immediato questa fonte energetica non sara’ ne facile ne indolore perche’ ci servira’ qualcosa subito e ce ne servira’ tanto.
Abbiamo avuto 50 anni per liberarci da petrolio e gas e non l’abbiamo fatto.
E ora siamo qui.
Sono gia’ diverse settimane che la casa Bianca ha reso noto che gli USA aumenteranno le esportazioni di gas liquefatto dagli USA verso l’Europa. Il principale cliente sara’ la Germania che dipende fortemente dalle importazioni russe visto che circa circa il 60% delle case tedesche e’ alimentato dal gas di Mosca.
Nel 2021 gli USA hanno fornito 22 miliardi di metri cubi di gas all’Europa, quest’anno saranno 37, quasi il doppio. Secondo protocolli stabiliti da ambo le parti dell’oceano, entro il 2030 si arrivera’ a 50 miliardi.
Per fare un raffronto, dalla Russia nel 2021 sono arrivati 155 miliardi di metri cubi di gas. E quindi questi 15 miliardi di metri cubi in piu’ americani non saranno assolutamente sufficenti a coprire il buco dei 155 miliardi russi che mancano.

L’Europa ha firmato accordi o discute anche con Azerbaijan, Qatar, Norvegia, Algeria per la fornitura disperata di gas visto che gli USA non puo’ bastare. Parte dell’accordo USA-UE stabilisce che ci saranno anche scambi di tecnologia verde e che la crisi russa deve essere di sprono per aumentare la produzione di energia dalle rinnovabili in loco.
Tutto questo e’ una risposta ad un problema impossibile, in tempo di crisi e a cui nessuno era preparato. Ovviamente spero che queste nuove esportazioni di gas siano un cerotto temporaneo alle follie di Putin.
Allo stesso tempo, persistere sugli idrocarburi, lo sappiamo tutti, non aiutera’ la lotta ai cambiamenti climatici, e temo che questi accordi, nonostante le belle parole sulle rinnovabili prolungheranno ancora la nostra dipendenza dalle fonti fossili che immettono CO2 e metano in atmosfera.
Ma non sono solo le emissioni. Se lo scambio di gas a volume sostenuti fra USA (o dagli altri paesi) ed Europa dovesse diventare permanente dovemmo per forza di cose costruire nuova infrastruttura dedicata, come porti per il carico e scarico di gas liquefatto, rigassificatori, gasdotti. Questi impianti dovranno essere attivi per decenni per ammortizzare i costi e renderanno meno urgente l’impeto verso le rinnovabili.
Il Nord Stream che collega Russia e Germania e’ costato 11 miliardi di dollari. Vedremo altri nuovi impianti sparsi in giro per l’Europa dedicati all’arrivo di gas da altri paesi? E quando finisce la nostra soggiogazione ad oil and gas?
Certo, il fatto che il gas americano venga estratto usando il fracking e’ di cattivo auspicio, visto che e’ questa una tecnica invasiva che consiste nello spaccare roccia porosa “di scisti” in cui madre natura ha intrappolato metano ed affini. Per spacare la roccia e sprigionare il gas nei pori si usano grandi quantita’ di acqua mista a sostanze chimiche ad alta pressione, che spesso finiscono con l’inquinare le falde acquifere e/o con il causare terremoti. Il fracking e’ stato devastante per le comunita’ che vivono vicino agli impianti estrattivi.
La Russia non usa fracking, perche’ le loro tecnologie sono meno avanzate ed il gas che hanno e’ piu’ abbondante e piu facile da estrarre, pero’ i record ambientali russi non sono certo migliori di quelli americani, anzi, sono spesso caratterizzati da noncuranza per l’ambiente, fitti misteri, poca trasparenza.
La maggior parte del gas russo arriva dalla Siberia e dall’Artico.
L’inizio delle operazioni estrattive di gas e petrolio risale ai tempi dell’URSS. Furono spietati. Nessuno si curo’ dei diritti delle popolazioni indigene locali, che vivevano di caccia, di renne e in simbiosi con la natura e che hanno dovuto convivere con acqua e terreni inquinati per anni. Alla fine, molti hanno dovuto lasciare le loro case. E siccome sono territori distanti e poco densamente abitati hanno potuto un po’ fare quello che hanno voluto. A tuttoggi gli oleodotti sovietici, arrugginiti e con scarsa manutenzione, soffrono perdite che nessuno controlla e che a volte vanno avanti per mesi. Non e’ raro vedere fiumi che brillano di colori innaturali provenienti da sostanze chimiche. In Russia i malfunzionamenti ed i riversamenti sono all’ordine del giorno ma nessuno ne parla (o ne puo’ parlare?). Basta mettere la domanda a google: in Russia nel 2019 ci sono state 17,000 perdite di petrolio e/o gas. In Canada, dove pure l’industria petrolifera e’ vitale per l’economia e dove le condizioni climatiche sono simili, nel 2019 le perdite sono state solo 57.



Morale della favola: non c’e’ un gas migliore ed uno peggiore. C’e’ l’industria degli idrocarburi che per sua natura intrinseca non porta mai niente di buono a chi ci vive vicino nell’immediato, e sul pianeta a lungo termine ed e’ per questo che, dopo 150 anni di petrolio, occorre trovare vie nuove per la nostra sete energetica.
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Ovviamente i petrolieri americani saranno ben contenti di aumentare le esportazioni verso paesi terzi, quali che siano i motivi. E visto che i prezzi in Europa sono alle stelle in questo momento, esportare gas dagli USA all’UE sara’ una manna per loro.
Ma non credo che abbiano dovuto convincere Biden piu’ di tanto, anche se da oil and gas uno deve aspettarsi di tutto. Semplicemente la politica non ha saputo proporre alternative migliori a maggiori smistamenti di gas USA verso l’Europa e forse non ce n’erano.
Non credo neppure che ci sia un grande disegno imperialista per il futuro da parte dei produttori americani, credo invece che seguiranno gli eventi e saranno molto cauti e non per amore del pianeta ma per amore del denaro.
Perche’? Perche’ come si vede dai numeri di cui sopra, gli USA non producono gas a sufficenza per poter davvero esportarne di piu’ verso l’estero. Non e’ un mercato flessibile e a crescita smisurata e garantita, nel senso che I tempi di attivazione sono lunghi e i petrolieri vogliono certezze e qui ce ne sono ben poche.
La prima cosa di cui tener conto e’ che il gas per essere trasportato oltre oceano deve essere prima sottoposto ad altissima pressione e liquefatto, in modo da poterlo mettere in contenitori vari e spedito per nave. Questo e’ un processo difficile e costoso e ci sono impianti appositi la maggior parte dei quali in Texas e Louisiana. Per garantire il passaggio dai 22 miliardi di metri cubi ai 37 verso l’Europa di cui abbiamo parlato prima gli americani hanno gia’ massimizzato l’output di gas liquefatto (ed hanno dimunito le quote che mandavano in Asia).

Impianto di liquefazione, Brownsville Texas
Non e’ fisicamente possibile liqufarne di piu’ senza costruire altri impianti. Quando il gas liquefatto poi arriva a destinazione deve essere trasformato di nuovo in gas allo stato aeriforme, e di qui la necessita’ di altri impianti , quelli di “rigassificazione”. Se gli USA non riescono a produrre piu’ gas liquefatto di quel che hanno gia’ prodotto, l’Europa non ha in questo momento sufficenti rigassificatori in azione.
Cioe’ ci sono limiti in partenza e limiti in arrivo.
In Germania ce ne sono esattamente zero di rigassificatori perche’ hanno sempre pensato di potersela cavare con il gas russo, che arrivava via gasdotto senza dover essere liquefatto.
Ora, uno potrebbe dire: costruiamone di piu’, di impianti di liquefazione negli USA e di rigassificazione in Europa e specie in Germania. E certo ci si pensa.
Ma non e’ cosi semplice. Si parla di un miliardo di dollari ad impianto e cinque-dieci anni di tempo, se tutto va bene. Investiori, banche, governi locali, e petrolieri stessi, devono essere ben sicuri che si tratti di un investimento con buon potenziale di rendita prima di spendere un cosi grande capitale finanziario e politico. E se la guerra finisce fra una settimana? E se le rinnovabili vincono davvero prima che queste strutture fossili possano essere completate? E se ci sono proteste di attivisti dell’ambiente che andranno a rallentare tutto? In piu’, l’estrazione di gas dai pozzi americani da fracking si e’ molto abbassata a partire dall’inizio del 2020 a causa della pandemia, calo della richiesta e del crollo dei prezzi. Non e’ garantito che i petrolieri abbiano voglia di tornare ad aumentare la produzione ora proprio grazie a tutte le incertezze di mercato.
Le guerre sono imprevedibili.
Prima di aumentare la prodiuzione dunque I petrolieri, secondo me almeno, aspetteranno sussidi governativi, certezze finanziarie, e/o garanzie che non vengano incolpati di distruggere l’ambiente.
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Questa rincorsa al gas e’ stata una emergenza nata dall’impreparazione. Le crisi pero’, una volta trovati rimedi per l’immediato, devono essere strumento di crescita e di miglioramento.
Siamo qui alla fin fine perche’ abbiamo bisogno di energia e stiamo cercando di raccattarla dove possiamo: Russia, USA, Qatar, Algeria, etc etc, Eppure sono anni che parliamo di transizione ecologica e di rinnovabili. La crisi del 1973 avrebbe dovuto essere un primo campanello di allarme. Avremmo dovuto gia’ allora organizzarci, pianficare, puntare sull’energia “sana”, fatta in casa o in nazioni stabili e democratiche, per liberarci delle catene di paesi poco affidabili, governati da dittatori. Ancora di piu’ la crisi ecologica e climatica degli ultimi decenni avrebbe dovuto convincerci ad abbandonare gli idrocarburi il piu’ in fretta possibile.
Non si puo’ tornare indietro ma spero davvero che questa guerra e gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici portino ad innovazione e creativita’ nel campo delle rinnovabili. Non siamo partiti 50 anni fa, siamo stati timidi 30 anni fa. Iniziamo oggi e per bene. Come?
Dovremmo meglio sfruttare l’energia eolica dai mari ventosi del nord o dal Mediterraneo e favorire questo tipo di scambio energetico. Dovremmo avanzare ricerca per lo stoccaggio di energia verde, favorire incentivi per la produzione dai singoli residenti con i pannelli sul tetto e per le auto elettriche, dovremmo ottimizzare la rete, e l’uso dell’idroelettrico esistente, e aprire dialoghi con l’industria per lavorare con loro. Se l’IKEA puo’ diventare 100% green cosi possono tutte le altre. Se invece che di un mega gasdotto Germania-Russia avessimo pensato ad un sistema di scambio di energia rinnovabile dal deserto marocchino o dal vento scozzese fino in Europa?
Ovviamente la risposta non e’ il nucleare perche’ non possiamo aspettare 20 anni e non sapremmo dove mettere le scorie nucleari, ne tantomeno trivellare l’Italia in lungo e in largo perche’ ne abbiamo troppo poco di gas e di petrolio nostrani.
La risposta e’ accelerare con le rinnovabili, con la stessa solerzia in cui adesso rincorriamo il gas da mezzo mondo. Come se si trattasse di mettere l’uomo sulla luna nel 1969, come se si trattasse di un enorme piano Marshall per la stabilita’ delle democrazie mondiali nel 1948, e cioè’ come qualcosa di cosi urgente, di cosi fondamentale per il futuro, che l’unica strada e’ quella di mettercela tutta e di volerlo con tutti noi stessi.