PROBLEMI ADATTIVI

Dalla pg FB di Pierluigi Fagan

J.R. McNeill, oltre ad esser figlio del grande William H., è uno dei più grandi storici americani, presidente nel 2019 dell’American Historical Association, dopo averne diretto per diversi anni il dipartimento di ricerca. È anche l’iniziatore di un nuovo filone di studi storici ovvero gli studi storico-ambientali.

Questo è il suo libro più famoso di cui non consiglio la lettura se non vi serve per apposita ricerca. Molto più interessante in senso attuale quello scritto con P. Engelke dal titolo “La Grande accelerazione” (Einaudi, 2018). Questo da cui partiamo per il nostro ragionamento è del 2000 e data la mole di informazione e studi ivi contenuti, deve aver richiesto almeno cinque-sei anni di lavoro; infatti, gran parte dei dati su serie lunga si fermano al 1990. Ma questo è proprio l’arco di tempo che serve all’Autore, per mettere a fuoco ciò che contraddice l’Ecclesiaste (1-9-11) che sosteneva una sorta di eterna immutabilità del mondo.

In breve, tra 1890 e 1990, il mondo muta ed aumentano le seguenti cose coi seguenti numeri: popolazione umana 4 volte come quella bovina. Di 7 volte la produzione carbonifera e di 9 la popolazione suina, nonché il consumo delle acque dolci. Di 13 volte la percentuale della popolazione urbana così come le emissioni di biossido di zolfo (di 8 quelle di piombo nell’atmosfera). Il valore complessivo dell’economia mondiale è aumentato di 14 volte, di 16 volte il consumo energetico, di 17 volte le emissioni di biossido di carbonio (CO2). Di 35 volte la pesca marina, di 40 volte la produzione industriale. Tutto ciò ha portato alla ribalta un nuovo problema: il problema della compatibilità tra umanità, suo stile di vita e ambiente planetario.

Da notare: 1) la velocità del fenomeno; 2) per volumi ed intensità il suo essere inedito nella nostra storia; 3) la sparizione di riserve di spazio e possibilità in cui gli impeti di civiltà precedenti hanno potuto sfogare la propria occasionale esuberanza; 4) il porre un problema per l’umanità che però è un aggregato statistico con vari livelli di sviluppo, così come nelle singole società ci sono vari livelli di classe sociale, stile di vita e ricchezza.

L’Autore non è un ecologo o un politico o un filosofo, è uno storico piuttosto sobrio; quindi, nel volume non c’è alcuna isteria o più di tanto ammonimenti e reprimende etico-morali, diciamo che è di tono “fotografico”. Lo studio praticamente non parla di cambiamento o riscaldamento climatico, si occupa di ambiente in senso ampio. E direi molto ampio, visto che indaga: litosfera, atmosfera (in senso regionale e globale), l’idrosfera (consumo ed inquinamento acque, dighe, deviazioni etc.) e la biosfera (foreste, mari, invasioni specie aliene, impatto agricolo e suoli etc.). Poi c’è demografia, città, combustibili ed analisi energetica, ideologie economiche e politiche, politiche internazionali e guerre (l’esercito USA, da solo, è il maggior sistema inquinante del mondo, pari a quello di 140 Paesi secondo il Watson Institute della Brown University, anche senza fare guerra in quanto tale).

Decine le questioni nel particolare, dal peso smisurato delle nuove macchine per l’agricoltura industriale che però compattano troppo il terreno che diventa sterile, alle specie aliene che viaggiano nelle acque di zavorra delle navi e poi sterminano ecosistemi non avendo competitor. Problema noto anche in superficie con l’incredibile storia del coniglio europeo importato in Australia.

Due cose emergono tra le altre. La prima è la non intenzionalità. Gli umani fanno cose per risolvere problemi a breve e creano quasi sempre problemi a medio lungo. Come dice il McNeill, se vivessimo 800 o 8000 anni, ne avremmo consapevolezza dall’esperienza, ma poiché ne viviamo solo 80 (se va bene) allora dovremmo studiare la storia, cosa che lui ci invita a fare con un pizzico di utopismo.

Giusto ieri, ad un comizio, Trump lanciava l’idea di abolire il Dipartimento dell’Istruzione e negli USA hanno un incredibile problema di reperimento insegnanti (sottopagati, maltrattati da genitori ignoranti di alunni ancora più ignoranti e da ultimo anche invitati a frequentare corsi di porto d’arma per difendere le scolaresche) per il quale in alcuni stati repubblicani hanno addirittura promosso i reduci di guerra per insegnare non si sa cosa, se non -meglio ancora- non mandare i figli a scuola ed istruirli in famiglia rendendo perpetua la trasmissione dell’ignoranza.

Ma l’attacco all’istruzione, la scuola, il diritto allo studio, la partizione classista delle università private, la cultura in genere, i nuovi contesti elettronici è di ben più vasta portata e decennale trovando solidali tra loro tutti i tipi di élite che poi si lamentano perché la gente è troppo ignorante per votare o gli lisciano il pelo perché ora la lotta è tra alto e basso di modo ci sia una élite buona che guida il popolo contro un’altra élite cattiva (la stupidità umana è la sola cosa oltre la paura della morte che giustifica il concetto di “infinito”).

La seconda è una citazione del Machiavelli che già cinque secoli fa notava come nelle cose dello Stato, i mali vengono fatti crescere non notati fino a che, quando poi si notano, è tardi per porvi rimedio (Il Principe III).

Quindi, in breve, il problema adattivo è dato da:

1) un gigantesco problema che è nuovo nella nostra storia;

2) un problema che deriva dal nostro modo di stare al mondo e stante che non tutti vi partecipano allo stesso modo ed in genere chi più vi partecipa non è chi ne subisce gli effetti dal ché il negazionismo dei primi che vedrebbero azzerate le condizioni di possibilità del loro potere personale, di classe o di nazione o di civiltà dominante;

3) l’incertezza su quanto tutto ciò potrà durare prima di rischiare concretamente un grande reset di estinzione parziale di specie (tra cui buona parte della nostra); 4) il fatto che il fenomeno è cumulativo ed a soglia critica per lo più ignota e quando manifesta la sua drammatica attualità è sempre troppo tardi.

Conclusione: poco sappiamo, pochi ne sanno, molti non hanno interesse a saperne e che si sappia.

Da cui sorge per simmetria la diagnosi del fatidico: “ed allora che fare?” ammesso noi si sappia e condivida di quanto riportato nell’ultima riga di conclusione. La ricetta è semplice a dirsi, tutt’altro a farsi ovvero promuovere conoscenza migliore, sbugiardare chi nega e mente, promuovere sistemi di diffusione di conoscenza allargata.

Da tempo, abbiamo capito che per la specie umana i tempi dell’evoluzione biologica (genetica) non sono sincroni col tempo della nostra trasformazione del mondo e delle nostre società, dobbiamo affiancargli l’evoluzione culturale. Ma anche questa conoscenza è ristretta, limitata a pochi, avversata da più parti. Chi vi fa appello è visto come un romantico intellettuale dallo scarso senso pratico rispetto al più concreto “si vabbe’ ma domani che se magna?”.

Ogni forma di emancipazione sociale ed individuale, nella storia, è stata accompagnata da un salto di conoscenza e sua condivisione. Il motivo è semplice, gli esseri umani agiscono in base a ciò che pensano e pensano in base a ciò che sanno. Se volete cambiare il mondo, cosa terribilmente pratica e tutt’altro che astratta, non c’è altra via che fargli sapere le cose, fargli pensare in modo adeguato, farli agire da soli in conseguenza.

Purtroppo, ciò non piace a molti, inclusi quegli aspiranti “cambiatori del mondo” che però vorrebbero esser loro l’individuo eroico e potente sommerso di “riconoscimento” che ha indicato e guidato il cambiamento.

Le due più grandi rivoluzioni umane nella storia recente del mondo sono state la conversione agricola di cinquemila anni fa e la c.d. rivoluzione verde di settanta anni fa che ha prodotto la grande inflazione demografica del nostro nuovo mondo complesso. È sempre una questioni di campi da coltivare e non di ingegneria con capimastri, ingegneri, archistar, imprese di costruzioni. Seminare, dare acqua, proteggere i processi di emancipazione che vanno lasciati svolgersi e non tirati di qui e di là affinché l’élite dei giusti prenda il posto dell’élite degli sbagliati.

Non esiste una élite dei giusti, è contraddizione di concetto, l’unica giustizia è quella che solo i Molti possono decidere sia tale, dandosi il nomos (Νόμος) da soli (auto-nomia). Nel caso in oggetto più specificatamente, una giustizia che introietti anche i due concetti di: limite e catene delle conseguenze. Salvo poi riceverne conferma o meno dal mondo che vivono ovvero verificare un positivo adattamento o l’uscita dal registro della storia.

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