Dalla pg FB di Appesi a un Phylum
Dal punto di vista paleontologico, la Toscana ci restituisce dei tesori straordinari, ed uno di questi è la famosa Balena di Orciano Pisano. Come ben sapete, la Toscana alcuni milioni di anni fa si trovava ‘sotto l’acqua, e questo lo sappiamo sia per gli studi geologici che paleontologici, che restituiscono periodicamente resti fossili di squali, di conchiglie e di mammiferi marini come le balene.
Venne recuperata nel 2007 una balena dalle colline di Orciano Pisano (Pi), ed è conservata in una sezione museale dedicata alla stessa ed alla fauna associata a questo grande mammifero, all’interno del Museo di Storia Naturale di Firenze (Sezione di Geologia e Paleontologia), tanto da crearne un allestimento che ricorda un ambiente marino.
Questa balena visse 3 milioni di annifa circa (nel Pliocene), ed era lunga circa 10 metri. A livello museale, quest’esposizione la giudico davvero molto stimolante perché permette al visitatore di “immergersi”, nel vero senso della parola, nell’ambiente in cui viveva la balena, sia con luci che con colori tipici di un ambiente marino. Con annessa la presenza di fotografie di organismi marini che stimolano tutti i sensi del visitatore. Insomma, è una bella esposizione multimediale.
Questa scoperta è molto interessante ed importante in quanto ci aiuta a capire cosa accade quando una balena si decompone, quali sono le faune che si susseguono sulla carcassa dell’organismo, e altre informazioni che tra poco vedremo nel dettaglio. Infatti, assieme alla balena, sono stati trovati resti di squali, di razze, bivalvi, gasteropodi che si nutrirono della carcassa. Questa successioni di faune si crearono attorno alla carcassa a 100-150 metri di profondità circa.
Vediamo un po’ più nel dettaglio lo studio in questione.
Qui siamo entrati nel campo della tafonomia, ovvero quella branca della paleontologia che studia ciò che accade dal momento della morte dell’organismo fino alla fossilizzazione e al sui ritrovamento, eventualmente, come fossile. Pertanto, questo studio, ci darà qualche informazione su ciò che accade alle balene dopo la morte e che ruolo ecologico svolgono alcuni organismi in questo “nuovo” ecosistema in formazione.
La prima possibilità: la carcassa si spiaggia, gonfiandosi fino ad esplodere (letteralmente) per via dei gas viscerali;
Seconda possibilità: la carcassa affonda sul fondale, e attorno alla carcassa si forma una (paleo)comunità, o comunque un susseguirsi di comunità nel corso del tempo (successioni ecologiche).
A livelo ecologico, una balena morta risulta essere una buone fonte di cibo per una miriade di organismi, soprattutto perché sul fondale non vi sono chissà quali grandi fonti alimentari. Sono desertici i fondali. Sostanzialmente, possiamo dire che esistono diversi stadi ecologici che si susseguono, ed ogni fase è caratterizzata da diverse specie e diverse reti trofiche, che talvolta possono anche sovrapporsi.
Vediamo le varie fasi legati anche ai vari trofismi:
1)Spazzini mobili, o scavengers. Questa fase dura mesi, o anche alcuni anni, ed è caratterizata dalla presenza di squali e missine, e da molti invertebrati spazzini che rimuovono i tessuti della balena, con un tasso estremamente elevato (parliamo di circa 50-60 kg al giorno);
2)Opportunist stage. Questa seconda fase è caratterizzata dalle ossa esposte, in quanto nella prima fase i tessuti sono stati consumati quasi tutti, tanto da esporre tutte le ossa. Oltre alle ossa esposte, i sedimenti risultano essere arricchiti da materia organica e sono colonizzati da crostacei e policheti, immense popolazioni di organismi opportunisti. Un organismo che spicca tantissimo è il polichete del genre Osedax, che è conosciuto anche come “mangiatore di ossa”;
3) Sulfophilic stage. In questo stadio, succedono molte cose interessanti:
-Il solfato dell’acqua marina, penetra nelle ossa ed inizia un processo che porta alla riduzione del solfato, questo a carico di batteri anaerobici. Questi batteri decompongono i lipidi delle ossa producendo solfuro di idrogeno;
-Questo solfuro di idrogeno, tenderà a diffondersi sia nell’acqua che nei sedimenti che si trovano attorno alle ossa per essere utilizzati da batteri solfuro-ossidanti. Questi batteri sono chemiosintetici che convertono le molecole di carbonio in materia organica, e questo grazie all’ossidazione di composti inorganici (come H2S). Di conseguenza, questi batteri produrranno idrogeno solforato, che viene utilizzato da altri batteri (sulfofili) per produrre energia.
A loro volta, questi batteri supportano invertebrati come vermi o cozze, in quanto si nutrono di questi batteri, e questi invertebrati a loro volta verranno predati da altri invertebrati come aragoste, che a loro volta… Insomma, avete un po’ capito.
Sapete quanto dura tutto questo processo? Circa 50 anni. Però c’è da aggiungere un altro stage, che è quello finale: dopo che la materia organica viene consumata, le ossa agiscono come una sorta di reef, costituendo una specie di “oasi nel deserto” colonizzata da organismi sospensivori.
Ph. Mattia Papàro